Se il condannato è De Magistris

Angelo Cennamo

Il Tribunale di Roma ha condannato Luigi De Magistris a un anno e tre mesi di reclusione per abuso d’ufficio in relazione all’inchiesta Why not che il sindaco di Napoli condusse quando era pm a Catanzaro. “Why not” – locuzione che nello slang partenopeo evoca i peggiori guai, si abbattè, manco a farlo apposta, come una mannaia sul governo Prodi bis (2007) causandone indirettamente la caduta. Ricorderete che tra gli inquisiti eccellenti di quell’indagine sfortunata risultava niente di meno che l’allora guardasigilli, Clemente Mastella. Il clamore del suo coinvolgimento – proprio lui che rappresentava l’anello debole della frastagliatissima coalizione di sinistra-centro, destò non poco imbarazzo tra gli altri ministri, i quali non si può dire si affannassero per prendere le difese del collega. Anzi. Fu così che Mastella – poi uscito assolto dal processo – preferì togliere il disturbo da quello schieramento che fino ad allora lo aveva tollerato per mero conteggio elettorale, e far crepare con lui  tutti i filistei ( altro che compravendita dei senatori, caro DeGregorio). La ridondanza di Why not e dei suoi strascichi politici catapultarono intanto la figura del giovane Giggino, pm coraggioso e pure bellu guaglione, sulla ribalta nazionale. Il paragone con un altro celebre inquisitore della classe politica ( Antonio Di Pietro) fu talmente facile e scontato che il magistrato napoletano, una volta abbandonata la toga, venne reclutato a furor di popolo proprio dall’Italia dei Valori. De Magistris e Di Pietro divennero così la coppia simbiotica ed inseparabile di quel filone moralizzatore e manettaro che mirava a ripulire la classe politica per via giudiziaria. Al grido di “via gli inquisiti dal parlamento”, Toto’ e Giggino  si imposero come figure eticamente superiori alla media della classe dirigente, troppe volte compromessa in inchieste penali e scandali di vario genere. I due protagonisti della politica pura e specchiata finirono, però, ben presto per calpestarsi i piedi a vicenda: un partito minuscolo come l’Idv non poteva permettersi due leader cosi ingombranti e narcisi; uno era di troppo. Ed allora Giggino con uno scatto di reni, da vice-capo partito, si reinventò nel ruolo di rivoluzionario arancione, e, indossata la bandana, lanciò la sfida per Palazzo San Giacomo. “Amma scassà Napule” divenne il grido di battaglia e la promessa che i suoi numerosi seguaci ripetevano ai comizi e nelle scorribande elettorali. De Magistris la sfida la vinse, e mantenne pure la promessa. Oggi, la doccia fredda della condanna – in primo grado, è bene ricordarlo. Ma la legge Severino, la stessa che ha sottratto l’agibilità politica a Berlusconi, ora rischia di azzoppare anche lui attraverso una lunga sospensione. Io non mi dimetto – va ripetendo il sindaco ferito, rincarando la dose contro i giudici come lui che lo hanno condannato. Ma le sue parole appaiono stonate e non poco. Ma come, il paladino della giustizia che per anni  ha puntato il dito contro dei semplici indagati, ora, di fronte alla sua di condanna, decide di tirare dritto e di non mollare? No, caro sindaco: non erano questi i patti.