Capaccio Paestum: Toni Servillo chiude Paestum Festival

Sarà il ritratto di una città dalle mille anime e altrettante contraddizioni a porre, venerdì 5 settembre (ore 21,30) il sigillo sul Paestum festival, così come nell’interpretazione di uno dei mattatori più apprezzati della nostra scena drammaturgica: con “Toni Servillo legge Napoli” calerà il sipario sulla kermesse di teatro, musica e danza diretta dall’omonima fondazione nelle persona del presidente Mario Crasto De Stefano. Napoli, in tutta la sua profonda vivacità contaminata dal malessere , prenderà vita nella voce di Toni Servillo che condurrà la platea lungo le tappe di un percorso nel ventre della città per fuggire dai luoghi comuni più obsoleti sulla napoletanità, senza rinunciare al contempo ad una forte, profonda identità testimoniata da quattro secoli di letteratura e musica. Da “Lassammo Fa’ Dio” di Salvatore di Giacomo a brani di Eduardo e Ferdinando Russo, Servillo ci pone il suo omaggio alla cultura partenopea che è anche la descrizione di una realtà divisa fra l’estrema vitalità e un atavico disagio, una città di cui la lingua è il più antico segno, sedimentatosi nei secoli e modellato dalle contaminazioni. “Ho scelto questi testi – rivela Servillo in una sua recente intervista – perché ne emerge una lingua viva nel tempo, materna ed esperienziale, che fa diventare le battute espressione, gesto, corpo. Insieme alle icone sacre del Novecento napoletano, tra cui ad esempio “De Pretore Vincenzo” di Eduardo De Filippo, due liriche di Ferdinando Russo, “A Madonna d’ ‘e mandarine” e  “‘E sfogliatelle”  e la sempre attuale “Fravecature” di Raffaele Viviani.  Ci sarà spazio, nel repertorio, anche per l’invettiva racchiusa ne “A sciaveca” di Mimmo Borrelli, e non mancheranno incursioni nel linguaggio contemporaneo di “Litoranea” di Enzo Moscato, sagace e amara considerazione sul degrado di Napoli, con cui, nel 1991, si concludeva “Rasoi”, spettacolo di Teatri Uniti diretto da Mario Martone e dallo stesso Servillo. E ancora, in scaletta; le inedite “‘O vecchio sott’ ‘o ponte” di Maurizio De Giovanni, in cui è custodito il disumano dolore per la perdita di un figlio, e “Sogno napoletano” di Giuseppe Montesano, in cui, dichiarata la dimensione onirica, l’apocalisse cede il passo a un’invocata rinascita collettiva.