Cilento comatoso!

Giuseppe Lembo

Cari primi cittadini del Cilento, siamo ormai a tempo scaduto.Il Cilento è in una condizione da allarme rosso; il suo territorio è, purtroppo, in una grave sofferenza fisica e soprattutto antropica. Ancora sono tanti i mali inguaribili del Cilento all’inizio del nuovo millennio; il suo ingresso nel XXI secolo è da allarme rosso. L’Italia della cattiva politica, della cattiva amministrazione e della cattiva burocrazia, sta morendo. Come era da prevedere, le prime a morire sono le realtà più deboli del Paese; sono, in particolare, le realtà del Sud, dove la politica del niente ha dato sempre poco; fragili come sono, per degrado umano dovuto ad abbandoni ed indifferenza, inevitabilmente scivolano a valle, determinando la loro fine, da tempo annunciata, perché prive, tra l’altro,  dei guardiani naturali di sempre legati ad un mondo contadino che, per non morire, è stato costretto ad abbandonare le terre dei padri, dove l’uomo ingeneroso non ha saputo fare il suo dovere di umana ed intelligente governance. Tanta è la sofferenza antropica del Cilento sedotto ed abbandonato; pochi nascono, tanti invece invecchiano e muoiono determinando quella desertificazione che sta ormai prendendo di sé gran parte del territorio del Cilento con impressi i segni di un malessere infinito dove tutto è ormai compiuto. Solo un miracolo, per chi crede ai miracoli, può cambiare le cose cilentane; solo un miracolo può ridare albe nuove ad un Cilento che è ormai rassegnato al suo inarrestabile, continuo e crescente avanzare dei tanti sepolcri imbiancati. Purtroppo nel Cilento, il clima è sempre più da temporale prossimo alla tempesta; è difficile pensare al sereno e ad albe nuove in un Cilento che se ne sta cadendo a pezzi, dove, tutto ma veramente tutto, è sempre più abbandonato a se stesso. L’unico vitale ossigeno della sopravvivenza viene dalle sole realtà locali e dai suoi governi del territorio che, impegnati nella sempre più difficile sopravvivenza, sono ormai rassegnati al non c’è niente da fare. Qualcuno ottimisticamente ancora spera che le cose cilentane prima o poi si dovranno aggiustare e che dovrà pur passare la nottata e che ci saranno, prima o poi, tempi migliori per tutti. La speranza è veramente l’ultima a morire; intanto che si spera in un domani migliore, il Cilento abbandonato a se stesso ed ormai privo della stessa sussidiarietà della sopravvivenza sta inarrestabilmente morendo. Il degrado territoriale si tocca con le mani da tutte le parti; i segni dell’abbandono sono ovunque ed ovunque ben visibili. Cresce l’instabilità territoriale; cresce il degrado ambientale. Le coste sempre più erose, le strade sempre più sconnesse ed impraticabili sono gli ultimi segnali di un Cilento in agonia, dove niente e nessuno si potrà mai salvare.

Mentre i territori se ne scivolano a valle, in modo inarrestabile, i pochi giovani cilentani ancora rimasti sui territori dei padri, a malincuore se ne scappano, non trovando nella Terra dove sono nati alcuna ragione per rimanerci e con protagonismo cambiare le cose purtroppo dal destino negativamente segnato.

Il Cilento è istituzionalmente indifferente a chi dovrebbe occuparsene, garantendone il futuro.

Una realtà che muore nell’indifferenza del governo di Roma e della Regione Campania che pensa alla sopravvivenza delle sue sole aree forti, dove vive la maggior parte della gente campana.

Il Cilento non esiste per chi è chiamato a Roma come a Napoli a decidere; sul Cilento si è abbattuta la mannaia dei tagli scriteriati soprattutto nei servizi (chiusura degli uffici postali, delle scuole e di strutture per la salute senza le quali è difficile non solo vivere, ma anche semplicemente sopravvivere).

Il Cilento usato abusandone, ha visto spesso le sue parti migliori soprattutto lungo il litorale inopportunamente cementificate con grave danno ambientale e con una impropria sottrazione di suoli agricoli per la destinazione di case-vacanze che fanno bella mostra di sé in tante realtà costiere, sempre più come case fantasma, poco utilizzate e sempre più abbandonate a se stesse.

Il Cilento come la Campania ed il Sud, ha subito, scippo dopo scippo, un grave ed inarrestabile furto di futuro; un furto di futuro senza appello, per cui è veramente difficile rimettere in piedi quello che è stato diabolicamente reso inservibile perché trattasi ormai di una realtà dal futuro negato.

Purtroppo al Sud ed al Cilento in particolare è mancato tutto; è mancata soprattutto e prima di tutto, quella spinta antropologica senza la quale non si va da nessuna parte.

Si è sempre proceduto in modo miope, incamminandosi per strade assolutamente sbagliate.

Sono mancate, tra l’altro, le idee forti, sia pubbliche che private. È mancato quel fare virtuoso che, a tutto il Cilento, ha fatto venir meno quelle condizioni infrastrutturali necessarie allo sviluppo possibile.

Il Cilento naturalmente vocato a fare turismo, ha al 2014, una viabilità dalle caratteristiche borboniche; in tante sue parti, per abbandono e degrado, se ne è ormai caduta a pezzi, intervallando così interruzioni vecchie e nuove con un crescente disagio di una realtà abbandonata a se stessa e per niente sfiorata dal progresso necessario per adeguarsi ai tempi e per favorire quello sviluppo socio-antropico assolutamente necessario ai fini di tenere in piedi i territori, riempiendoli così come dovuto, di vivibilità e di quella attrazione umana utile alla sua crescita.

Qui, invece, c’è un diffuso clima da sepolcri imbiancati; c’è un senso diffuso di rassegnazione che domina su tutto e tutti creando quella depressione diffusa, tale da apparire come vera e propria crisi permanente; una crisi, male oscuro, che spinge soprattutto i giovani a fuggirsene; tanto per non morire.

L’allarme immobilismo è scattato nel Cilento (che strano, ce n’era proprio bisogno, per potersene accorgere!), dopo la recente venuta dell’ex ministro per la coesione territoriale Fabrizio Barca, invitato nel Cilento per riconoscere alle aree interne del Parco Nazionale del Cilento – Vallo di Diano – Alburni, quelle realtà territoriali vocate ad essere “aree pilota” capaci di generare sviluppo e quindi crescita, in virtù delle caratteristiche possedute.

Barca, senza mezzi termini, ha messo il dito sulla piaga. Non siamo, a suo avviso, di fronte a territori dove è possibile creare sviluppo.

Nell’immobilismo di sempre, nelle sue condizioni di arretratezza e di mancato sviluppo, nell’inarrestabile fuga delle sue risorse migliori, c’è l’amara e tuttora presente condizione di un Cilento, terra di non sviluppo.

Siamo di fronte a realtà dove a mancare non è una sola componente per lo sviluppo possibile; purtroppo, mancano tutte e tutte insieme.

Manca, soprattutto la componente antropica, senza la quale siamo alle sole inevitabili condizioni dello sviluppo negato; dello sviluppo assolutamente impossibile da immaginare, per conclamate condizioni di abbandono e di degrado.

Questo è oggi il Cilento, in un contesto più ampio di sottosviluppo e di abbandono che si chiama Campania; che si chiama Sud, un mondo che ha da sempre goduto l’inopportuno ruolo della marginalità italiana, abbandonato ad essere solo serbatoio di voti e di manodopera a basso costo da utilizzare là dove era necessaria nel Paese.

E così anche i tempi moderni non hanno prodotto quell’atteso cambiamento e quello sviluppo possibile che poteva dare al Sud e ad una realtà bella da vivere come quella del Cilento, nuove condizioni di vita.

Si è continuato a sbagliare; si è continuato con il protagonismo suicida di un uso – abusato dei territori, scriteriatamente lasciati nelle mani di uno spontaneismo da rapina che ha prodotto i risultati ormai conosciuti di un senza sviluppo di cui oggi ci lecchiamo le ferite sempre più inguaribili.

Al punto in cui siamo è assolutamente inopportuno recriminare contro i responsabili e le responsabilità di un tale e tanto sfascio.

Uno sfascio che, purtroppo, viene da lontano e che i più hanno subito nell’indifferenza dei loro destini che hanno compromesso non solo la loro vita, ma anche quella dei loro figli, a cui è negato vivere nel Cilento, perché sono assenti le condizioni di un vivere possibile.

Non si vogliono celebrare processi e/o alzare indignati il dito accusatore; ma certamente non si possono sottacere le responsabilità esterne di chi non ha saputo dare le giuste linee guida ai territori, garantendone il futuro.

Tutto è stato governato nello spirito di una confusione estrema che ha inevitabilmente prodotto quel disastro oggi sotto i nostri occhi.

Roma lontana da sempre aveva delegato alla rappresentanza territoriale Napoli con l’ingresso nel 1971 delle Regioni; una rappresentanza che è stata altrettanto assente ed ha malfunzionato, ponendosi con distacco e distante indifferenza dalle attese di cambiamento e di sviluppo dei territori, che hanno continuato a degradarsi nella più generale indifferenza umana.

Programmare il futuro è un diritto-dovere di tutti; compete a tutti.

Nel Cilento, purtroppo, è ancora oggi sconosciuto ai più; è, assolutamente indifferente ai tanti che vivono la loro quotidianità legata ad un presente assorbente dove lo stomaco prevale sulla mente e sull’anima, riducendone la vita ad una semplice materialità fine a se stessa e non ad altro con caratteristiche  nobilmente ed umanamente positive.

Programmare il futuro significa, prima di tutto e soprattutto, ideare, progettare, creare, tradurre le tante idee in fatti concreti; tanto, per cambiare le condizioni di vita dei territori.

Significa trasformare il pensiero del singolo in azioni aventi come obiettivo ultimo il bene comune, un bene che va necessariamente arricchito a più mai e che, cammin facendo, deve contenere quell’innovazione e tutti quegli utili processi formativi, culturali e comunicativi, il lievito naturale alla base di ogni possibile processo di cambiamento e di sviluppo territoriale.

Il Cilento, pur essendone sprovvisto, non si è mai preoccupato di correre ai ripari, impossessandosene e dotandosi così di tutti quegli strumenti utili a creare i presupposti di una sua crescita, liberandosi così da lunghi ritardi storici che tanto male hanno fatto al suo territorio ed alla sua gente costretta ad andare in giro per le vie del mondo alla ricerca disperata del pane e del lavoro che inopportunamente le veniva negato là dove era nata.

Il Cilento ha subito in silenzio le condizioni di una mala sorte con radici profonde in un mondo antropico lungamente fermo ed assolutamente indifferente ai cambiamenti che venivano visti dai più, come inopportuni per gli equilibri sociali e di potere ormai consolidati, alla base di una vita normale dove tutto aveva e doveva necessariamente avere il volto mummificato di sempre.

Questo è l’immobilismo che, senza equivoci, ci ha rinfacciato l’ex ministro Fabrizio Barca; un immobilismo devastante che non può essere tollerato più a lungo, se non si vuole compromettere ogni prospettiva di futuro possibile per un Cilento che, partendo oggi da zero, deve sapersi intelligentemente interrogare, per sapere dove vuole andare e con quanto impegno d’insieme pensa di uscire dal tunnel, innovandone le condizioni di vita e dandosi quelle infrastrutture primarie, senza le quali non si va da nessuna parte, rimanendo, come sempre, in un immobilismo pietrificato, che cancella ogni prospettiva di sviluppo possibile.

Cari Sindaci, cambiando mentalità, si può tentare di salvare il Cilento.

Occorre con forza agire e reagire. Occorre farsi sentire a Roma ed a Napoli e non ultimo in quel carrozzone assolutamente inutile che si chiama Ente Parco Nazionale del Cilento – Vallo di Diano – Alburni, un organismo sempre più silenziosamente inutile per il futuro del suo territorio, che non ha saputo difenderne e tanto meno promuoverne l’immagine, nonostante il suo prezioso patrimonio storico-naturalistico e le sue caratteristiche paesaggistiche dall’inconfondibile ricchezza.

Anche il suo patrimonio immateriale dai saperi eleatici alla dieta mediterranea, vivono momenti di una sofferta dimenticanza che tanto male fanno al futuro del Cilento che, per uscire dalla crisi in cui vive deve rigenerarsi; deve sapersi rigenerare rendendo dinamico tutto ciò che è invece immobile e pietrificato.

Occorre, da parte del mondo della cultura un sostegno-guida per rilanciare come merita questo povero, maltrattato Cilento, per la cui rinascita non bastano i soliti pannicelli caldi che non portano al superamento di una fragile imprenditorialità ormai al collasso, causa di un malessere infinito che spinge come e più di prima, anche gli ultimi giovani cilentani a scappar sene per luoghi amici dove poter vivere lavorando e progettandosi un futuro possibile.

Occorre un forte senso di responsabilità ed un altrettanto forte impegno per voltare pagina; occorre una forte rivoluzione culturale che incida sulle coscienze addormentate della gente.

Sindaci del Cilento suonate la sveglia! È giunta l’ora di cambiare il Cilento!

O adesso, o mai più!

Con il coraggio e l’intelligenza che non vi manca, da protagonisti di un diverso futuro decidete tutti insieme, di voltare pagina, rivendicando al vostro Cilento quel cambiamento e quello sviluppo da troppo lungo tempo negato, oggi causa drammaticamente viva di quel Cilento ormai moribondo e senza futuro, di cui è venuto opportunamente a parlarci l’ex ministro Fabrizio Barca, profeta di una sventura da tempo conosciuta; di una sventura che si chiama Cilento dall’immobilismo pietrificato; che si chiama, Cilento sedotto ed abbandonato, con la sua gente silenziosamente tradita e mai protagonista, ma sempre e solo docilmente suddita di una realtà che si è andata rigenerando uguale a se stessa, producendo solo e sempre immobilismo, immobilismo, immobilismo che cammina a passi da lumache per le tante strade rotte ed interrotte di un Cilento non rigenerato ma assolutamente negato.