Ricordando…La Pantasema

Claudio Di Mella

Da piccolo sentivo parlare della pantasema, come sentivo parlare della janara, del monacello, della magnatesima e di altre figure incorporee, che, di tanto in tanto, si facevano vedere. La pantasema si immaginava vestita di bianco, evanescente e, suppongo, incapace di fare del male, così anche la magnatesima. Diverso è il discorso che riguarda la janara. Un uomo simpatico e spiritoso, bonariamente spiritoso, che io ricordo sempre con affetto, ripeteva spesso: “la comare Maria me pare ne na’ pantasema”. Ed io cercavo di immaginarla, lavorando di fantasia: una donna sciatta, con una vestaglia lunga e pantofole, o anche scarpe rotta, discinta, scapigliata, secondo una prima tipologia; oppure con capelli lunghi, volto pallido, coperta da un lungo lenzuolo, scalza, lenta nei movimenti e quasi bella. Nessuno mi seppe dire la differenza tra la pantasema e la magnatesima. A spiegarmela ci provarono mia madre e mia nonna e francamente non ricordo in che cosa la facessero consistere. Chiesi a mio padre, ma lui che aveva fretta di andare al lavoro, mi rispose: “non dare retta alle fesserie, fai camminare un poco la giumenta, che, oggi ha le coliche e attento a non darle da mangiare paglia di biada o fieno suciato”. Suciato significa mangiato dai topi, i sorci, dialettalmente suci, che rosicchiavano i semi delle erbe secche, soprattutto la lupinella e il fieno greco, che qualcuno chiamava fieno rèo. Ora ho scoperto che nella provincia di Frosinone, forse ad Isola Iri, alla fine dell’estate, si festeggia la pantasema. Per curiosità sono andata a vedere in che cosa consistesse questa festa, ed ho notato che è tutta giovanile. In pratica, rappresenta la fine dell’estate, quando la gioventù studiosa ritorna nelle grandi città, per riprendere il suo lavoro quotidiano. Certamente c’è una grande differenza tra quello che sentivo io e quello che rappresenta la festa ciociara.