Sant’Antonino patrono di Campagna e di Sorrento

don Marcello Stanzione

Ad un certo punto, anche Antonino avvertì l’esigenza della solitudine e, dopo averlo tanto pregato, ottenne dal vescovo Catello, tornato nel frattempo a Stabia, di isolarsi sul vicino monte Aureo (Faito), dove trovò una grotta che rispondeva alle proprie esigenze. Ma non vi restò a lungo solo. Un bel giorno, San Catello, nominato un nuovo vicario, lo raggiunse sulla montagna. Una notte, mentre i due eremiti separatamente stavano pregando ebbero, entrambi, una visione: un torchio ardente, simile a una colonna di fuoco, che illuminava la cima del monte. Stupiti dal prodigio chiesero al Signore di spiegarne il significato e a ciascuno di loro apparve l’arcangelo Michele che diceva: “Il Signore vuole che in quel luogo, ove siete soliti pregare e dove vi è stato mostrato il torchio ardente, gli costruiate un oratorio che porti il mio nome” (Raffaele e Alfonso D’Ambrosio, San Antonino Cacciottolo ed i villaggi di Furano, Edizione Grafica Ebolitana, Eboli, Febbraio 2006).Quando i due eremiti si riunirono scoprirono di aver avuto la stessa visione. Fu Antonino allora a progettare l’oratorio ed a seguirne i lavori perché, secondo i biografi, conosceva l’arte della costruzione. Pare sia innata anche nella comunità di Santa Maria Nova, questa specializzazione nella costruzione, poiché la maggior parte dei suoi abitanti è dedita alla carpenteria ed alla muratoria.La loro pace però non durò molto: un chierico, che aveva il compito di portare sul monte l’occorrente per il culto divino, cominciò a lamentarsi per la fatica giungendo fino a rifiutarsi di salire all’eremo sostenendo che, non soltanto il vescovo si comportava male, perché aveva trascurato la cura della sua Chiesa, ma si abbandonava ad un culto idolatrico nell’oscurità delle caverne e delle foreste insieme con un monaco apostata. Come succede molto spesso, quelle vaghe accuse suscitarono preoccupazione nel clero e nel popolo, tanto da spingere alla decisione di avvisare papa Sabiniano (604-606). Antonino, che pure era stato accusato di apostasia, non venne stranamente arrestato, ma, per quale motivo, non lo sappiamo; la tarda “Passio”, che risale al IX secolo e le cui contraddizioni sconfinano nella leggenda, non ci aiuta a tal riguardo (Ignazio Della Calce, Vita del santo Abate Antonino, Napoli 1760). Fatto sta, comunque che, dopo un breve tempo, i due furono prosciolti dalle accusa – grazie anche all’intervento diretto di papa Bonifacio III – e poterono, quindi, riprendere le loro attività di ampliamento della chiesa sul monte che, ben presto, divenne meta di intensi pellegrinaggi dalla vicina città di Sorrento.Certo è che la sua fama di santità, non solo lo salvò da tale accusa, ma spinse anche il popolo di Sorrento ad acclamarlo, quale abate del cenobio di Sant’Agrippino, dopo la morte del suo predecessore, espandendo oltremodo la sua fama di santità anche per i numerosi miracoli di cui sarebbe stato protagonista. Nei pochi anni trascorsi a Sorrento si distinse per la fedeltà alla regola benedettina, per la cura dei poveri, per lo zelo apostolico e per il rigido atteggiamento penitenziale (Antonino Cuomo, Sant’Antonino e i quattro Vescovi Santi protettori di Sorrento, Tip. D’Onofrio Stampatore, Sorrento 1991). Erano appena trascorsi tre anni dalla sua elezione, quando una malattia lo ridusse in fin di vita. In punto di morte, chiamati a sé i monaci, espresse lo strano desiderio di essere seppellito “né dentro né fuori” la città (Op. cit Raffaele e Alfonso D’Ambrosio, pag.187). L’abate Antonino morì il 14 Febbraio del 625, mentre era console di Sorrento Probiano e reggeva l’Impero Eraclio (610-641). Il suo corpo fu messo in una cassa deposta nella muraglia del convento, come aveva detto ai suoi monaci, che non voleva essere seppellito “né dentro, né fuori la città”.