Un esorcista sardo: padre Salvatore Vico

 don Marcello Stanzione

 Padre Salvatore Vico nacque nell’isola della Maddalena (OT) il 12 agosto 1896 da Giovanni Maria Vico e da Giacomina Luccioni, settimo di otto figli. Era nipote del parroco della Maddalena, don Antonio Vico che tenne quella parrocchia per 51 anni, dal 1882 al 1933: una vera istituzione per l’isola. Sia per l’ambiente famigliare che per la guida dello zio parroco, ben presto nel piccolo Salvatore sbocciò la vocazione sacerdotale. A circa dieci anni fece la sua Prima Comunione che lo accostò maggiormente all’altare. Dopo le classi elementari fatte in paese, nel 1906 fu mandato a Tempio ad iniziare il ginnasio, ospite di una zia ivi residente. Ma l’anno successivo entrò nel seminario di Sassari per continuarvi gli studi ginnasiali e liceali. Quel seminario era retto dai Vincenziani, missionari nati, e così ben presto si sviluppò in lui il desiderio delle Missioni, anzi addirittura di andare missionario in Cina, che si accrebbe alla lettura del martirio dio un missionario cinese (Theophane Vanad), beatificato proprio in quegli anni (1909), al punto che all’insaputa dei genitori si recò a Torino per farsi accettare nell’Istituto missionario dei Padri Vincenziani. Ma questi lo rimandarono subito a Sassari a continuare gli studi e maturare la vocazione. Però l’ideale missionario rimase un punto fermo nella sua vita, e di tanto in tanto riaffiorò sino alla fine. Nel 1916 fu chiamato alle armi ed assegnato ad Oristano per alcuni mesi, e presto congedato per motivi di salute. Rientrò immediatamente in seminario a Sassari a continuare i suoi studi per il sacerdozio. Studiava in quel seminario, ma egli apparteneva alla diocesi di Tempio Pausania. Per appunto nel 1918 la diocesi di Tempio dovette chiudere il proprio seminario di residenza a Castelsardo. Il vescovo Mons. Giovanni Maria  Sanna, si affrettò a riaprirlo a Tempio, ma in mancanza di sacerdoti disponibili da mettervi a capo, richiamò da Sassari il giovane Salvatore Vico, non ancora sacerdote, ed affidò a lui quell’incarico. La mancanza di clero era dovuta ai tanti sacerdoti richiamati alle armi; di qui la decisione del vescovo di supplirvi col Vico ancora seminarista. Perciò accelerò la sua consacrazione sacerdotale, ed il 19 aprile 1919, sabato santo, a soli 22 anni e mezzo, fu ordinato sacerdote nella Cattedrale di Tempio. Con impegno e sacrifici di ogni genere, ed aiutato dalla gente, il Vico ridiede vita dal nulla a quel seminario che diresse fino al 1923. quasi tutti i suoi seminaristi divennero ottimi sacerdoti e parroci nei diversi paesi. Durante quell’impegno, nel 1922, si trovò davanti ad un fatto che lì per lì sembrò piccola cosa, ma che poi cambiò il corso della sua vita sacerdotale: il caso di 4 orfanelli abbandonati, per i quali non ci fu posto in nessuna parte, nonostante egli avesse bussato a tutte le porte. Con l’incoraggiamento del Padre Vincenziano Manzella se ne occupò personalmente, facendoli assistere da due ragazze volontarie che si prestarono con bontà materna ad occuparsi di loro, ed il popolo le chiamò “mammine”. E così nacque da nulla, ma con tanto sacrificio, e l’aiuto spontaneo della gente, il primo orfanotrofio dedicato a s. Francesco, e che in seguito ebbe incredibile sviluppo. Nel 1923 il giovane sacerdote viene eletto parroco della cattedrale, ufficio che terrà fino al 1931. per necessità di cose dovette lasciare l’incarico del seminario ed occuparsi delle tante incombenze pastorali della parrocchia, fra le quali le varie associazioni esistenti, specialmente l’Azione Cattolica, allora fiorente. E fu l’Azione Cattolica, ad aprirgli, senza volerlo, la strada della sua “Missione”, voluta da Dio. Al termine di una “Settimana sociale” a Telti, la Presidente locale di Azione Cattolica, Ernestina Benelli, lo invitò a recarsi nel suo “stazio” di Aratena per il precetto pasquale di quei pastori. Col permesso del vescovo vi andò; parlò ad essi, circa 150; e, seduto sotto una grande quercia, confessò fino a mezzanotte gli uomini, e nella mattina le donne; poi la Messa. Per molti era la prima che ascoltavano; per altri la prima comunione; il resto si può immaginare. Per quella gente ci sarebbe voluto altro che una presenza affrettata del sacerdote ed una confessione improvvisata! Ed allora, proprio lì sotto quella quercia quella notte di grazia, Padre Vico ebbe  l’ “ispirazione” di fondare le suore “Figlie di Gesù Crocifisso” per l’istruzione religiosa dei pastori dei tanti “stazi” della Gallura e dell’Anglona dove si trovavano oltre ventimila pastori sparsi dappertutto, in preparazione dell’opera sacerdotale. Ne parlò alle cinque giovani assistenti dell’orfanotrofio, che ne furono entusiaste. Ma da parte dei confratelli sacerdoti incontrò subito vive opposizione che gli misero addosso seri dubbi su quel progetto; per cui si recò a Gravina di Puglia a consultare il suo vescovo Mons. Sanna che vi era  stato trasferito da Tempio; e poi a pregare la Madonna di Pompei sul pensiero di abbandonare tutto e andare missionario in Cina. Ma lì, nel santuario della madonna sentì dirsi da un vecchio sacerdote da lui consultato: “Ritorni a Tempio, il Signore lo vuole lì, per dare compimento ai suoi disegni divini”.a questo punto nessuna difficoltà al mondo lo arresterà più dal compiere la missione affidatagli da Dio. E con l’approvazione del nuovo vescovo Mons. Albino Morera, la notte di Natale 1925, fecero la vestizione religiosa le prime cinque suore del nuovo istituto. Per gli impegni sempre crescenti, nel 1931 lasciò l’ufficio di parroco della Cattedrale; ma il vescovo gli affidò per un anno (1932) il piccolo centro di Nuchis, di appena 500 anime, che portò avanti con lo stesso impegno avuto per la Cattedrale. Poi si diede totalmente allo sviluppo delle sue Opere e delle missioni negli “stazi”. Nello stesso ano 1932, come l’orfanotrofio così nacque dal nulla l’Ospizio dei vecchi abbandonati. Poi, via via, gli handicappati, gli asili ed altre opere di assistenza parrocchiale dappertutto in Sardegna ed anche all’estero, in Brasile ed in Africa (Zaire). Rimase incompiuta la sua aspirazione alla missione in Cina, da lui sognata fino all’ultimo, sperando di mandarci le sue suore a prendere il suo posto. Che Dio lo faccia al momento da lui stabilito! Morì a 95 anni, spesi tutti per la causa di Dio. Disse di lui il vescovo Paolo Gibertini: “…Chi vive accanto al calvario si insanguina: chi prende sul serio il Vangelo deve necessariamente versare gocce di sangue, altrimenti non è il Vangelo di Cristo. Io non so che cosa abbia sopportato Padre Vico nei suoi lunghi anni, non posso esentarlo dalla croce e devo dire che i suoi abiti qualche volta saranno stati, se non insanguinati, almeno però intrisi di lacrime”. Il famoso esorcista della diocesi di tempio don Gianni Sini così descrive il Padre Vico che egli definisce il suo maestro:

“Nei mesi di aprile e maggio del 1989 ebbi la fortuna di intervistare per ben due volte il padre Salvatore Vico. A quell’epoca aveva 93 anni. Data la frequentazione e l’amicizia che mi legavano a lui fu facile, per me, fissare un incontro. Considero il padre Salvatore Vico come il mio primo maestro che, con la sua esperienza di sacerdote e di missionario, ha saputo infondermi la forza ed il coraggio, ma anche una attenzione particolare per quelle persone che hanno non solo esigenze spirituali, ma anche materiali e portano con sé delle ferite e delle sofferenze, che nessuno accetta e a cui nessuno crede perché, apparentemente non trovano una giustificazione o una cura medica appropriata. A me colpiva, particolarmente, un altro aspetto di questo sacerdote, un lato più nascosto, anche più oscuro, che non è mai stato evidenziato nelle celebrazioni a lui dedicate e nei convegni di studio: era un sacerdote esorcista. Questo ministero l’ha esercitato, ininterrottamente, per oltre sessant’anni, fino a quando, ormai ultra novantenne, le forze glielo hanno permesso. Ed  è proprio l’intervista a lui fatta che voglio riportare integralmente.

Lei crede al diavolo?

Certo! E’ una realtà già presente nel Vangelo. Non l’ho inventato io.

Il male è una realtà spirituale?      

Si, però è l’uomo che, con la sua volontà, partecipa alla realizzazione del male. Il male lo fa anche il diavolo, però lui lo fa per natura, perché in origine era un angelo buono, poi si è ribellato e ha fatto il male. Il diavolo è un angelo ribelle, si è creato da solo l’inferno.

Che dire di quelli che non credono al male e al diavolo?

Non è possibile. Fanno il male perché credono al diavolo.

 Ci sono segni evidenti oggi, nella società, che il diavolo agisce e lavora per realizzare il male?

La Massoneria è un segno evidente, perché offre il culto a Satana, attraverso parodie del nostro culto cattolico e cristiano, ha una sua liturgia, un proprio rituale e dei paramenti. In America, addirittura, esistono due sette protestanti che vengono chiamate “I figli del diavolo”.

Quali sono i gesti o i comportamenti che favoriscono la presenza del Maligno?

I malefici e gli stessi maghi che li confezionano sono al servizio del diavolo. Chi porta il maleficio si pone al servizio del male. C’è un danno fisico perché coloro che sono al servizio del diavolo fanno certamente il male e, dall’esperienza che nessuno è portato alla violenza, perché essa è contro natura. Quando vengono da me, ossessi o straiati dalla presenza di questi malefici, consiglio, come prima cosa, la distruzione di essi nel fuoco.

Ma com’è realizzato un maleficio?

E’ un oggetto cucito strettamente in un primo strato, poi troviamo un involucro di carta o di tela con una preghiera, nel terzo mostrato c’è il maleficio. Esso può essere del filo incrociato e chi ha preparato la magia ha messo l’intenzione e la forza diabolica di nuocere a chi crede in quella magia. A questo punto è bene ricordare che cosa dicono i manuali e i dizionari di teologia riguardo al maleficio: “Maleficium est vis nocendi aliis ex daemonis cooperatione comparata”. Ovvero: è l’arte di nuocere al prossimo con l’aiuto del demonio. Si capisce subito che il maleficio è un atto di magia a danno del prossimo. Ne conosciamo due tipi: il filtro amatorio, col quale si cerca di infondere in una persona un amore o un forte odio verso l’altro, sempre per opera del demonio , e il veneficio col quale si danneggia un’altra persona o i suoi beni (il lavoro, l’attività commerciale, la casa, i campi). Tra i diversi modi di operare a danno del prossimo vi è anche la legatura o l’incatenamento dei maritati, con il quale si pretende di impedire all’altro la consumazione del matrimonio.

Nei nostri paesi c’è gente che ricorre a delle donne con un presunto potere particolare, anche miracolistico. Che responsabilità morale c’è in chi ordina queste cose e in chi le esegue?

C’è una responsabilità evidente, perché nuoce ad una o più famiglie. Io non credo che queste donne abbiano poteri “miracolosi”.

Ritiene che ricorrere a tali donne sia mancanza di fede?

Sì, perché c’è l’intento e il fine cattivo.

E come conciliare queste “pratiche” con la frequenza ai sacramenti?

Non hanno la coscienza del male, quindi si confessano e si  comunicano senza avere coscienza di avere commesso il male. Il sacerdote, però, se è a conoscenza di queste cose, deve illuminare il penitente sulla gravità del gesto e sull’impossibilità successivamente di ricevere il sacramento della Penitenza e dell’Eucarestia, se non cambia atteggiamento.

Quindi lei consiglierebbe di fare ricorso a questi maghi o donne che promettono soluzioni miracolistiche?

Ho il dovere come sacerdote di dire: “Voi, se continuate, siete in stato di peccato!”.

Lei quando ha iniziato a fare l’esorcista?

E’ difficile precisare l’ano per uno che ha settant’anni di sacerdozio, ma certamente già dal tempo di mons. G. Maria Sanna, vescovo di Ampurias e Tempio [Ndr: mons. Sanna fu vescovo di Tempio dal 1915 al 1922].

Ricorda il primo episodio in cui è dovuto intervenire come esorcista?

Mi trovavo in ferie a Lu Bagnu [Castelsardo], un giorno mi portarono un vero indemoniato, tanto furioso che sei uomini non riuscivano a calmarlo. Gli gridai con forza: “Stai fermo! Vuoi guarire?”. Mi rispose di si. Gli levai la magia che aveva in corpo e così si calmò. Più tardi lui stesso chiese di volere guidare la macchina, ma non glielo permisi in quanto notai che era molto stanco per le magie subite.

In che anno successe questo episodio?

Durante i primi anni del mio ministero, quando andavo a Castelsardo.

Come mai il vescovo aveva scelto lei in diocesi, già dall’inizio?

Allora c’era mons. Albino Morera (1922-1950) il quale aveva paura degli indemoniati. “Vedi, dice, proprio l’altro giorno è venuto un uomo che mi ha detto di aver preso l’acqua santa da cinque chiese nello stesso giorno”.

Come mai?

Così, dice, gli avevano suggerito. Questo è proibito, basta, infatti, prenderla una sola volta ed è sufficiente, perché prenderla da più chiese è già superstizione. Allora ho preso una bottiglietta di acqua benedetta,m gli ho gettato  addosso poche gocce e la magia  è scomparsa. Prima di congedarlo ho raccomandato all’uomo di confessarsi e comunicarsi, perché ciò che aveva fatto era peccato. Per stare in pace, il giorno dopo si comunicò.

Solitamente la possessione non riguarda soltanto gli adulti, ma a volte anche i piccoli. Lei ha avuto casi di bambini?

Di bambini, si, portati in braccio dalla mamma.

Come mai, se il bambino non ha commesso alcuna colpa, avviene questo?

Se non c’è stata una responsabilità personale? La magia non è un fluido, essa è possesso. Il diavolo entra attraverso quella magia e prende possesso di quella povera anima, ci sta e la tormenta, finché non viene scoperto e mandato via.

Come si fa a distinguere chi è realmente posseduto da chi è invece malato? Non so, per degli squilibri psichici oppure mentali? Un esorcista come fa a rendersene conto?

Se ne rende conto, perché constata quella che presentano come magia, tolta la quale, la persona respira ed è libera. Liberandosene riacquista la normalità, ecco la dimostrazione che non era matto, ma posseduto. Si tratta di una persona normale che, nel periodo in cui era dominata dall’influsso malefico della magia, era tormentata ed aveva disturbi.

Nella Bibbia ci sono diversi casi di indemoniati e di ossessi, solitamente il posseduto ha una qualche responsabilità da un punto di vista personale? Per ciò compie nel periodo della possessione gli  si può attribuire una responsabilità?

Credo di no!

Una volta fatto l’esorcismo non ricordano più nulla. Come mai?

Perché dopo l’esorcismo acquistano nuovamente la normalità ed è un bene che non ricordino nulla, infatti, si sentirebbero sempre in colpa, sarebbe un continuo tormento di spirito, a parer mio.

Che differenza c’è  tra la tentazione di Gesù e quella che solitamente ha la gente comune?

C’è differenza in Gesù. Egli come ha voluto subire anche la tentazione. “Siete creati ad immagine e somiglianza di Dio, il Padre celeste ha detto al verbo di farsi uomo, perché fosse l’uomo ad attuare la sua salvezza”. Gesù, portato dal diavolo nel deserto, digiuna per quaranta giorni, per tanto tempo ha sopportato questa tentazione, vincendo sul Maligno. Oggi l’esorcista dà al demonio, che si è impossessato della persona, lo stesso comando che Gesù dette a Satana nel deserto: “Vade retro, Satana”. L’indemoniato ha però in sé una certa responsabilità, lui ha peccato ed è per questo appunto che è stato posseduto, dipenderà da lui non peccare più. Egli è liberato, perché Dio è disposto a dargli la grazia della liberazione.

Tra le opere compiute da Gesù e narrate dai Vangeli gli esorcisti assumono uno spazio molto importante. L’evangelista Marco narra che, “venuta la sera, gli portarono tutti i malati e gli indemoniati, guarì molti che erano afflitti da varie malattie e scacciò molti demoni”. Oggi, come mai sono soltanto alcuni sacerdoti a svolgere questo ministero? Quali requisiti richiede il vescovo?

Il potere che è già nel sacerdote.

Tra i casi che lei ricorda di esorcismo ve n’è qualcuno particolare? Lei ha seguito un caso di levitazione. Come lo spiega teologicamente?

Teologicamente si spiega con la forza del diavolo che, in qualche caso, contrasta con la forza di gravità, non segue le leggi fisiche, l’individuo viene sollevato in alto e poi cade senza farsi male. Quando la persona venne da me, non avendo con me il rituale, feci un viaggio apposta e così, grazie al rituale e all’aspersione dell’acqua, guarì. Anche per lui ci fu bisogno della Confessione, anche se in realtà si trattava di una colpa non sua. La possessione produce un danno fisico e morale. Danno morale perché lo agita e lo turba, danno fisico non può esercitare più la sua professione.

Lei è stato ordinato il 19 aprile del 1919, in tutti questi anni quanti casi ha avuto?

Di preciso non ricordo, ma sono tantissimi, circa un centinaio.

Ci sono persone che si dicono religiose, ma negano l’esistenza del diavolo. E’ vero che il diavolo agisce su questi? Visto che non esiste Satana, tutto è lecito, tutto è permesso?

Non credo! La gente è convinta che sia legata alla potenza del diavolo. Dopo l’esorcismo, colui che l’ha subito, riacquista la fede e , se riacquista la fede, vuol dire che il diavolo lo lascia.

Può capitare che uno rimanga posseduto per la seconda volta? Come si spiega che alcuni cambiano anche l’aspetto fisico e la voce?

 

Si. Avere il diavolo dentro è una sofferenza; finché non gli si dà il comando di uscire dal corpo, si è in balia di un altro.

Oggi, secondo lei, c’è una presenza più forte del Maligno rispetto al passato?

Si, certo! Perché pochi vivono la vita cristiana pienamente.

Il diavolo è un essere personale?

Si, rispondo come avrebbe risposto Paolo VI. Quando si chiede se il diavolo sia una persona, si dovrebbe giustamente rispondere che egli è la non persona, la disgregazione, la dissoluzione dell’essere persona e, perciò, costituisce la sua peculiarità il fatto di presentarsi senza faccia, il fatto che l’irriconoscibilità sia la sua forza vera e propria.

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