Letta e la politica 2.0

Amedeo Tesauro

Desta una certa curiosità l’approccio giovane e spigliato, smaccatamente esibito, proposto dal nuovo premier Enrico Letta. Giovane lo è di certo, basti pensare ai suoi quarantasei anni che ne fanno il terzo presidente del Consiglio dall’età più bassa nella storia della Repubblica, spigliato pure, forte di una genuinità vera o sapientemente costruita. Che Letta esibisca il suo nuovo modo di fare è altrettanto vero, fino all’esagerazione: dal De André della “Canzone di maggio” a Ligabue e la sua “Buonanotte all’Italia”, fino a citare i cori calcistici del club inglese del Liverpool, potenzialmente non vi è limite ai riferimenti che il nuovo premier punta a esprimere. Perfino una battuta sul suo governo ideale, che da membro del Partito Democratico non può essere il governo odierno,  e sul presidente del Consiglio ideale che non coinciderebbe con l’incaricato attuale. Letta, in altre parole, ci fa. Sa che la politica da lungo tempo si è spostata nei territori vicini all’uomo comune, ed è necessario dunque stabilire un’empatia fatta anche di riferimenti nazional-popolari, e Letta da amante della musica e del calcio (fede incrollabile nel Milan, a proposito di larghe intese), nella politica-pop ci sguazza. L’aveva compreso già nel 1994 Silvio Berlusconi quando mostrava di condividere le stesse passioni di milioni di spettatori e tifosi, lo capisce Renzi che va a “C’è posta per te” consapevole della risonanza, mai l’hanno concepito a sinistra pagandola tremendamente cara. Letta sa lavorare in un contesto di politica sociale, fatta di social network e necessità di rapportarsi all’elettore senza svendersi, riuscendo a spacciarsi per nuovo perfino lui che in realtà è un mediatore vecchia scuola cresciuto col mito della politica passata. Già, il controsenso di questa vicenda è che Letta conosce i meccanismi di un tempo che fu, “semplicemente” sa aggiornali ai nuovi mezzi di comunicazione e alle nuove esigenze di propaganda. L’incontro streaming col cinque stelle è esemplare di una consapevolezza matura, col nuovo premier incaricato che va nella tana del lupo e ne esce bacchettando i grillini, rinfacciandogli la fermezza e l’impossibilità di concludere qualcosa con un atteggiamento isolazionista, ma soprattutto sfrutta la piattaforma offerta per mettersi in mostra e dare subito una sterzata convincente alla nuova esperienza di governo. L’approccio moderno sommato alle certezze della vecchia politica è capace di rassicurare un elettorato ampio, come conferma quanto riportato da Repubblica basandosi sui dati dell’Atlante politico di Demos, secondo cui il governo attuale piace a sei elettori su dieci, praticamente l’intera area PD-PDL-Scelta Civica. Lo stesso Letta godrebbe di consensi numerosi e trasversali, secondi soltanto alle preferenze espresse per Matteo Renzi, altro alfiere del nuovo che avanza ma che concretamente non disdegna l’appoggio di personaggi nella lista da “rottamare”. Considerando l’abitudine italiana di smorzare gli animi e convergere al centro, c’è da supporre che anche nell’era della politica 2.0 vada forte, oltre alla “rivoluzione” di Grillo, la “mediazione” d’antica conoscenza. La vecchia politica attendeva solo un esponente in grado di reinterpretarla alla luce del nuovo contesto. L’attesa è terminata.