La febbre delle dismissioni facili dei patrimoni dei comuni
Enzo Carrella*
La “febbre delle dismissioni facili” , un’epidemia il cui contagio sembra estendersi a vista d’occhio tra gli enti locali (comuni) per tentare di recuperare ( e incassare) velocemente risorse finanziarie necessarie a far fronte a pagare debiti per opere pubbliche rimaste incompiute proprio per mancata disponibilità di euro : fonti prima inseriti nei relativi titoli di entrate di bilanci e poi rivelatesi.. stranamente insufficienti o peggio ancora inesistenti perché rivelatesi “sine-titolo” contravvenendo, in tal guisa, ai principi sacri sanciti dall’art 199 del Tuel (che ne detta le principali coperture finanziarie ). Sembra questo delle “alienazioni di beni “ il comun denominatore che serpeggia all’interno della Governance politica di molti Comuni italiani a seguito di ripetuti e secchi “ niet “ loro rivolti dai propri responsabili di servizi finanziari sulla impossibilità di far fronte a qualsiasi pagamento sugli stati avanzamento lavori di opere appaltate e – in molti casi- iniziate e parzialmente quietanzate . Lo stato comatoso dei relativi capitoli di bilanci non lascerebbe spazio a ottimismi di nessun genere e – aspetto ancora più grave- le opere avviate non troverebbero mai la loro naturale fine con relativa “messa in asset”. Al pari , tanto per intenderci, di quartieri fantasma con edifici sventrati e mai ultimati. Un quadro poco entusiasmante, per certi versi triste e sintomatico del declino che pervade il nostro “ambiente naturale” con un ‘ unica via di fuga : la vendita per le amministrazioni comunali del loro patrimonio immobiliare e mobiliare ( rappresentate da partecipazioni in società controllate al 100%) : un modo rapido e indolore che consente di recuperare risorse finanziarie velocemente e destinarle interamente – perché vincolate – agli interventi in conto capitale (investimenti) in corso o da iniziare. La loro destinazione (spesa) è infatti a “senso unico” . Dal 1° gennaio scorso l’ equilibrio di parte corrente dei bilanci di Comuni e Province è più stringente rispetto agli anni passati . La legge di stabilità per il 2013 ha cancellato infatti la norma che aveva consentito di utilizzare fino a tutto il 2012 il plusvalore delle alienazioni patrimoniali per finanziare le spese correnti aventi carattere non permanente (articolo 3, comma 28, legge 350/2003) e per rimborsare la quota di capitale delle rate di ammortamento dei mutui (articolo 1, comma 66, legge 311/2004). Ciò vuol dire che laddove i Comuni introitassero “gruzzoletti di euro ” per alienazioni ovvero dismissioni di beni , tali provviste non potranno essere destinate a coprire eventuali loro spese di funzionamento ( esempio spese di illuminazioni ). Sin troppo evidente quindi che vi sono in ballo rilevanti “patrimoni comunali “ che nel loro insieme toccherebbero punte di qualche miliardo di euro. Non a caso , in questi giorni, i comuni stanno frettolosamente mettendo a punto gli indirizzi da seguire per la cessione delle proprie partecipazioni finanziarie. Si può facilmente immaginare che i criteri base della scelta saranno con molta probabilità basati sulla convenienza economica e la rilevanza dell’ importo da realizzare, la liquidabilità delle partecipazioni ed economicità della procedura . Si punterà, in definitiva, a vendere quote azionarie che permettano l’ incasso più rilevante. La fretta- dice però un vecchio adagio opportunamente rispolverato per la circostanza – è cattiva consigliera. Tamponare ( e non rimarginare del tutto) , infatti, autentiche emorragie finanziarie della casse comunali fà passare in secondo ordine altri aspetti rilevanti in caso di “passaggio di quote “ a nuove cordate imprenditori. Questi ultimi spinti – chiaramente – da puri intenti speculativi (capisaldo del loro deciso intervento nell’ investimento) mireranno – all’indomani del loro insediamento- ad un accurato processo di risanamento, rinnovamento e rilancio delle (ex) società pubbliche facendo leva sui principi elementari di maggiore economicità nella gestione e massimizzazione dei profitti . In tale contesto ne pagheranno sicuramente le conseguenze gli attuali dipendenti di tali società coinvolte nell’eventuale imminente passaggio di consegna tra proprietari pubblici con privati ( e autentici) imprenditori : compromessa apparrebbe la loro stabilizzazione con inevitabili riverberi sulla imperante crisi economica e occupazionale cresciuta, sviluppata e ormai radicata nel nostro territorio. Interrogativo , a questo, punto d’obbligo: vendere per un completamento parziale delle incompiute opere o evitare per assicurare comunque un futuro occupazionale a migliaia di famiglie ?