San Michele, l’imperatore Costantino e l’editto di Milano

don Marcello Stanzione

Fu L’arcangelo Michele che convincendo Costantino a collegarsi a Cristo che egli doveva nello stesso tempo riportare una vittoria decisiva e meritarsi il posto di Angelo custode dell’Impero romano, poi di patrono d’Italia. La conversione di Costantino, come, cento cinquanta anni più tardi quella di Clodoveo, si spiega nello stesso tempo con dei fattori politici e psicologici, e con un miracolo in cui intervenne san Michele. Quell’evento miracoloso di Ponte Milvio sarà attestato dall’imperatore stesso, all’indomani della sua vittoria, sull’arco di trionfo che fece innalzare, poi, dopo pochissimi anni, da degli scrittori contemporanei, Lattanzio ed Eusebio di Cesarea. Costantino non è un uomo facile da discernere. Obbligato, per semplicemente proteggere la sua vita, spesso minacciata, a dissimulare molto, egli offre ai posteri una immagine tutta contrastante sotto la quale è difficile trovare la sua vera personalità. Dopo un periodo di anarchia che stava per distruggere l’impero, Roma, nel 284, aveva portato al potere supremo un generale uscito dalle fila. Diocleziano, figlio di coloni latini di Dalmazia, apparteneva al popolo, di cui aveva ereditato le virtù, in un’epoca in cui il patriziato romano non ne possedeva più. Con una eccezionale forza di carattere ed un senso delle realtà politiche raramente prese in difetto, egli pervenne a ristabilire l’ordine e la sicurezza. Sperando di porre un termine alle lotte di influenze tra candidati alla porpora, lotte che, in trenta anni, si erano risolte con delle uccisioni fratricide, Diocleziano immaginò di soddisfare tutte le ambizioni. L’enorme macchina imperiale sarebbe divisa in due parti, l’Oriente e l’Occidente, rimesse a due imperatori. Stabilita questa diarchia nel 286, Diocleziano prese l’Oriente e affidò l’Occidente al suo migliore amico, Massimiano, vecchio legionario, come lui, che, in mancanza di avere l’intelligenza del suo collega, era bravo, fedele e devoto. Nel 293, i due Augusti, per evitare dei problemi di successione, scelsero i loro futuri rimpiazzi, che si legarono conferendo loro il titolo di Cesari. Diocleziano designò per conto suo un brillante generale, Galero, e consigliò a Massimiano il sottile Costanzo Cloro, dotato della finezza che mancava al suo Augusto. La tetrarchia si presentava dunque come un abile riequilibrio delle forze di cui il risollevamento di Roma dimostrò i meriti. Vi fu malauguratamente una contropartita a questa riuscita. Diocleziano non era che un plebeo della più bassa estrazione (Taluni storici hanno anche sostenuto che egli era figlio di un liberto e di una schiava barbara), sprovvisto di legittimità, e che aveva bisogno di forgiarsene una. Egli introdusse a Roma dei rituali monarchici orientali, destinati a sacralizzare il principe. Nel numero di questi rituali ne figurava uno dall’appellativo parlante : l’adorazione. Per meglio sottolineare che egli era un’incarnazione divina, l’imperatore aggiunse ai suoi nomi quello di Giove (Jupiter…)… Nello stesso tempo, il sistema scivolava verso un totalitarismo assoluto. Fu la catastrofe per i cristiani. Già in passato, ed a prezzo della loro vita, essi erano stati numerosi nel rifiutare di sacrificare al culto di Roma e di Augusto, simbolo d’altronde puramente patriottico ma che, nella loro purezza, essi interpretavano come una concessione vergognosa agli idoli. Come avrebbero accettato di andare più lontano ancora e di adorare l’imperatore vivente divinizzato ed assimilato al padrone dell’Olimpo, archetipo ai loro occhi dell’immagine demoniaca ? Questo accadeva dopo che per più di trent’anni il cristianesimo beneficiava, nell’impero, di una tolleranza generalizzata ; questa pace, sopraggiunta dopo crudeli persecuzioni, le aveva permesso di fare numerosi proseliti, e forse anche la moglie e la figlia di Diocleziano. Il difetto di questa tranquillità ? Dal papa all’ultimo dei fedeli, nessun cristiano credeva possibile il ritorno dei cattivi giorni. Le regole elementari della clandestinità, la prudenza, nessuno se ne preoccupava più. Disabituata al pericolo, la Chiesa costituiva una preda offerta e senza difesa. La crisi avvenne in uno degli ambienti più sorvegliati, perché vitale per lo Stato : l’esercito. Ufficiali o soldati, i cristiani vi erano molto numerosi, ma, in tempo normale, tollerati da una gerarchia che non aveva nulla da rimproverare loro. Ora taluni militari giudicarono incompatibile la nuova politica imperiale e la loro fede. Galero, che contava più di tutto sul sostegno dell’esercito, aveva avuto buon gioco, appoggiandosi su tali esempi, di spaventare Diocleziano che invecchiava e di mostrargli i cristiani traditori dell’impero e della sua persona. Vi si aggiunsero, nei mesi che seguirono, probabilmente per forzare la mano dell’imperatore, ancora esitante, strani incidenti sapientemente orchestrati da Galero. Da un giorno all’altro, i sacerdoti degli idoli e gli indovini si lamentarono di non leggere più nulla nelle viscere delle vittime. Nel caso in cui Diocleziano non avesse compreso chi era responsabile di questa calamità pubblica – come sapere senza avere gli auspici, se gli dei favorivano l’imperatore ? -, l’oracolo di Apollo di Mileto, designando gli ufficiali cristiani che accompagnavano il sovrano alla cerimonia, li accusò di essersi segnati, vietandogli di predire il futuro (Bell’omaggio del vizio alla virtù, poiché questo adoratore dei demoni ammetteva che un segno di croce bastasse a ridurli al silenzio…

Le misure che Diocleziano decise allora non erano abbastanza radicali agli occhi di Galero. Degli incendi, che egli pretese accesi dai cristiani, scoppiarono, a diverse riprese, nei comuni della residenza imperiale. Questa volta, Diocleziano ebbe molta paura e colpì, a caso, brutalmente, impietosamente. Mai, neanche quando Nerone illuminava i suoi giardini con delle torce umane, la Chiesa aveva conosciuto simile esplosione di atrocità. Migliaia di cristiani perirono nei tormenti da un capo all’altro dell’impero ; perché, ed il terrore dei boia aumentava, li si consegnava a migliaia, e, anche nei peggiori supplizi, gli abiuri rimanevano l’eccezione. Perché Galero aveva voluto questo ? Non unicamente per le ragioni che allegava… In verità, il Cesare se ne fregava dei cristiani, egli non voleva che una testa : quella del suo collega d’Occidente, Costanzo Cloro. Quasi vent’anni prima, Costanzo Cloro, che non era ancora che un giovane tribuno pieno di fascino e di valore, aveva incontrato il solo e grande amore della sua vita. E l’aveva sposata. La giovane donna si chiamava Elena; ella era così bella che il suo nome poteva lasciarlo sperare, notevolmente intelligente, dotata di un carattere volontario ed ardente. Ma, perché c’è un ma, Elena, non contenta di essere senza nascita né fortuna, era cristiana. Costanzo amava sua moglie. Non solo egli la lasciava libera di praticare la sua religione, ma vi si era interessato; senza andare fino a convertirsi, egli si era messo a provare verso il cristianesimo una simpatia agente che non pensava di nascondere. Certo, quando Docleziano lo aveva innalzato alla dignità di Cesare, Costanzo, con la morte nell’anima, aveva dovuto accettare l’unione dinastica che l’imperatore gli destinava ; egli aveva, piangendo così forte come Tito quando rinviò Berenice, ripudiato Elena. Non aveva smesso di amarla, né di rispettare la sua fede. Era là che Galero intendeva farlo cadere : se Costanzo rifiutava di applicare gli editti di persecuzione, egli confesserebbe che era vinto ai cristiani e dunque traditore dell’impero. Costanzo era molto più intelligente di Galero. Limitandosi a colpire la Chiesa materialmente, applicando alla lettera gli ordini di confisca, egli ebbe l’aria di obbedire a Diocleziano, ma impedì il sangue di colare in Gallia, in Bretagna ed in Renania. E’ in questa atmosfera di pericolo, di complotti, di violenza e di angoscia che era cresciuto il figlio unico di Costanzo e di Elena, Costantino, nato nel 280. La sua adolescenza era trascorsa a Nicomedia, presso l’imperatore. Questo modo di agire, per onorifico che paresse, era prima di tutto un eccellente mezzo per custodire sotto mano un ostaggio, nel caso in cui il Cesare d’Occidente avesse sognato di emanciparsi… Questo ruolo, somma ogni sconforto, spiegava perché il ragazzo non si era deciso ad abbracciare la religione di sua madre. Divenuto adulto, Costantino praticava senza stato d’animo il paganesimo ufficiale della Corte ed onorava il Sole invitto. Senza stato d’animo ? chissà … ? Nel 305, Diocleziano, sessantenne stanco, aveva deposto il diadema, aveva preteso che il devoto Massimiano lo imitasse, e se ne era andato a piantare i suoi cavoli nella sua proprietà di campagna, senza più preoccuparsi del futuro di Roma, dell’impero, della politica e della religione. Tutti questi problemi, egli li lasciava a Galero ed a Costanzo. I due nuovi Augusti avevano nominato due nuovi Cesari; Galero aveva scelto suo nipote, Massimino Daia, e Costanzo, un certo Flavio Severo.Vi erano almeno tre scontenti nell’affare : Massimiano, che non aveva voglia di ritirarsi ; ed i due figli dei due Augusti, Massenzio e Costantino, che si erano giudicati spogliati da questi arrangiamenti. Tanto e sì bene che la guerra civile ricominciò più forte tra i pretendenti designati ed i candidati legali alla porpora. Costantino, essendo morto suo padre nel 306, ottenne legalmente di essere nominato Cesare. Egli non aveva l’intenzione di fermarsi là. E’ probabilmente il momento in cui quest’uomo di trent’anni, ambizioso, coraggioso, e molto intelligente, decise di mettere gli dei al suo fianco. A meno che Dio stesso abbia deciso di mettervisi. Negli anni 310, Costantino si è riavvicinato a Massimiano sposandone la figlia, Fausta. Questo non ha impedito a Massimiano di prendere suo genero in diffidenza e di cercare di assassinarlo, una notte, nella camera coniugale. Ma Fausta ha svelato l’astuzia paterna e salvato il suo sposo, che si è affrettato a sbarazzarsi di suo suocero. Costantino non ha esitato, allora, a dirsi protetto dagli dei. Egli sarebbe stato avvertito della minaccia che incombeva su di lui con un’apparizione, in sogno, di un uomo luminoso. Sempre fedele alla religione ufficiale dell’impero, Costantino ha identificato il suo visitatore ad Apollo (Si vedrà più avanti che questa confusione non è sprovvista di senso ). Nel 312, il giovane Cesare d’Occidente, che prende sulla scena del mondo un posto preponderante, decide di impadronirsi di Roma, sempre occupata da Massenzio. Il 28 ottobre, secondo Eusebio di Cesarea, od alcune notti prima secondo Lattanzio, sopravvenne un evento che va, di colpo, a far ondeggiare Costantino, pagano tollerante, nel campo cristiano. Se si segue la versione di Lattanzio, che scriveva nel 318, dunque poco tempo dopo i fatti, Costantino si trova sotto la sua tenda quando sente – è un sogno, è un’estasi ? – una voce maschile intimargli l’ordine, se vuole riportare la vittoria, di porre sugli scudi del suo esercito un segno invincibile : due lettere greche intrecciate, il Chi ed il Rho, che non sono altri che le iniziali della parola Christos. Eusebio, da parte sua, redigerà due versioni del miracolo, una, laconica (Questa prima versione figura nel Libro IX de La Storia ecclesiastica) nel 313, e l’altra almeno quindici anni dopo (Eusebio di Cesarea, Vita di Costantino) ma, egli dirà, direttamente secondo il racconto che Costantino stesso gli avrebbe fatto. Nel primo, Eusebio si limita a scrivere : “Costantino invocò Cristo e Gli dovette la sua vittoria”. La seconda è infinitamente più circostanziata. Il 27 ottobre 312, mentre che egli giungeva con la sue truppe in vista di Roma e restava abbagliato, lui che non la conosceva, della sovrana bellezza della Città, Costantino, forse preso dal dubbio e dall’angoscia, avrebbe invocato il Cristo di sua madre. Perché si angosciava ? Da un punto di vista pratico, Cesare veniva dal compiere una campagna militare esemplare, arrivando dalla Gallia a marce forzate, attraversando le Alpi d’un solo slancio, e disponendo di una flotta che bloccava le coste italiane. Ma egli non aveva portato che quarantamila uomini, piccolo esercito anche se si componeva di truppe scelte. Massenzio invece disponeva di molti più soldati ; soprattutto, egli aveva al suo servizio una folla di indovini e di auguri che gli avevano predetto con certezza : “Il nemico dei Romani perirà”. Questa affermazione, benché ambigua e mitigata da un altro oracolo, che avvertiva Massenzio che egli sarebbe morto se usciva da Roma, bastava a rendere Costantino nervoso. Questo spiegherebbe perché egli si richiamava ad una potenza divina contro un’altra potenza divina. Ora, aveva appena term
inato la sua preghiera che il cielo, ad ovest, parve infiammarsi. Non era il crepuscolo, ma uno stupefacente fenomeno : una croce gigantesca s’innalzava all’orizzonte, sottolineata da una iscrizione in greco : “Con questo segno, tu vincerai !”La notte seguente, Costantino avrebbe sognato questa croce e compreso che doveva porla alla testa delle sue truppe. Il 29 ottobre, nel luogo detto Saxa Rubra (Rocce Rosse, oggi periferia romana di Prima Porta), Costantino schiacciava le armate di Massenzio che, infelice, trovava, come l’aveva predetto l’oracolo, una fine senza gloria annegando nel Tevere.
Qual è il rapporto dell’imperatore con  Michele? Questo: nel 314, Costantino avrebbe avuto un’altra apparizione in sogno. Egli riconobbe immediatamente nell’uomo vestito di luce quello che aveva preso una volta per Apollo. L’Angelo, essendone uno, gli disse : “Io sono l’Arcangelo Michele, il Maestro della milizia celeste, il protettore della fede dei cristiani. Sono io che, quando tu combattevi contro gli empi tiranni, rendevo vittoriose le tue armi”. Pie elucubrazioni senza alcun fondamento ? (Questa apparizione micaelica, la seconda cronologicamente nell’epoca cristiana, è narrata da due storici bizantini, Sogomeno e Niceforo, ). Innegabilmente, Costantino non ha niente di un santo e non possiede affatto il profili di un individuo soggetto alle estasi e ad altri fenomeni mistici. La sua vita ed il suo regno sono intessuti di atrocità utili. Perché allora avrebbe visto degli Angeli? Resta una certezza : è successo qualcosa la vigilia di quella famosa battaglia del ponte Milvio. Costantino stesso lo attesta, fin dal 313, sull’arco di trionfo che fa innalzare a Roma, all’entrata del foro che porta il suo nome ; se ha vinto Massenzio, è “da una ispirazione della divinità”, formula che ha il merito di non scioccare né i cristiani né i pagani. Egli scolpisce le sue monete col monogramma cristico della sua visione. Quest’aiuto del Dio dei cristiani, egli lo pagherà con la firma dell’editto di Milano, nel 313, che pone fine alle persecuzioni (Costantino non chiederà il battesimo (ariano…) che nel 325, al momento della morte, o poco ne mancava ancora. Non era tiepidezza da parte sua, ma prudenza. In effetti, numerosi teologi pensavano che i peccati commessi dopo il battesimo erano più difficili da perdonare… Sant’Agostino stesso, quasi cent’anni dopo, benché nato in una famiglia cristiana, non sarà battezzato che adolescente, come egli lo chiedeva). Egli non ne farà mistero, come lo attestano i racconti di Eusebio e di Lattanzio. Infine, a Costantinopoli, l’imperatore vittorioso farà costruire il più antico santuario dedicato all’Arcangelo, il Michaëlion, nella periferia bizantina di Anapolis, e consacrerà il suo impero a Michele. Non c’è nulla di assurdo nel vedere l’intervento di Michele nell’apparizione del 28 ottobre 312. Tutta la liturgia cattolica nomina il Principe dei Serafini il “Porta-Stendardo di Cristo”, sapendo che lo stendardo di Cristo. È la Croce. Essa canta : “E’ lui, questo vincitore, che dispiega la Croce, lo stendardo della salvezza”. L’identificazione è dunque plausibile. Resta la possibilità che la Chiesa bizantina abbia forgiato dopo ciò la leggenda del sogno e dell’apparizione arcangelica per dare un lustro particolare al Michaëlion, santuario così venerato che gli ortodossi celebrano sempre la sua dedicazione, l’8 giugno. Il Michaëlion è esemplare dell’origine della devozione all’Arcangelo. Perché, dappertutto dove Michele arriva, egli sradica un culto locale anteriore che prefigura il suo, e questo, da un capo all’altro della cristianità. Ad Anapolis, là dove Costantino costruirà la sua chiesa, era Vesta che si venerava precedentemente.