Che coraggio: avere coraggio!

Padre Oliviero Ferro

Mi ricordo sempre che tra i libri che ho letto da piccolo, c’era il “Capitani coraggiosi”. Erano le avventure di alcuni giovani che andavano in giro per il mondo, vivendo un sacco di avventure. E anch’io sognavo di viverne altrettante. Poi crescendo, credo proprio di averne vissuta qualcuna. La prima, se così la possiamo chiamare, quando nel 1960 ho lasciato il mio paese per andare lontano in seminario. Non ero mai uscito di casa e quindi avevo un po’ di paura. Ma, come si dice, lei passa con il tempo. E così è andata. Poi, si è andati nella grande città e di là nel 1970 mi sono catapultato in un ambiente nuovo, quello dei missionari. E allora gli spostamenti sono stati frequenti in Italia, Sardegna compresa. Poi un giorno è arrivato l’invito ad andare più lontano, a seimila chilometri di distanza dal mio paesello: in Africa. Ne avevo sentito parlare solo alla televisione, avevo letto qualcosa nei libri di avventure. Ma andare laggiù è stata tutta un’altra cosa. Ci voleva veramente del coraggio. Non sapevo cosa mi aspettava, ma, con un po’ di incoscienza e di fiducia nel Signore, un giorno del settembre 1983, mi sono imbarcato con altri, sull’aereo che mi avrebbe portato nel Congo Rd. Insomma siamo arrivati all’Equatore. Non era più una linea immaginaria sui libri di geografia, ma una realtà che avrei imparato a vivere giorno dopo giorno. Gli spostamenti in macchina dei primi giorni già mi facevano capire che non sarebbe stato facile. Ma il coraggio piano piano è diventato qualcosa di vivo. Come dice la parola, nella lingua swahili, è qualcosa che viene da dentro, dal cuore, dallo spirito. Bisogna lasciarlo uscire, prenderlo nelle proprie mani. E poi, dopo, tutto diventa più facile. Allora l’imparare una lingua, accettare il caldo oltre i 40 gradi, vivere con persone che non si conosce, diventa un allenamento continuo. E il coraggio non ci lascia tranquilli. Bisogna seguire i suoi consigli. Poi, quando sei mandato laggiù sulle rive del Lago Tanganika, ti aspettano altre prove di coraggio. Devi cominciare a parlare, comunicare con la gente. All’inizio si mettono un po’ a ridere, perché non ti capiscono molto, ma poi devi farti coraggio e studiare, finché tutto diventa semplice. Allora ti senti a casa tua e puoi lasciare risposare il coraggio. Finchè un giorno ti dicono che devi fare il bel viaggetto sul lago. Ci si prepara e un mattino, verso le sei, ci si imbarca sul battellino della missione per iniziare il safari, il viaggio di quindi giorni sul lago. Ma, ed ecco che il coraggio riappare, dopo qualche minuto, scoppia una furiosa tempesta e il battellino comincia a ondeggiare. Onde da tutte le parti, stomaco che va su e giù e…le parole che non escono dalla gola.  Per un’ora si danza in tutti i modi. Poi finalmente,con l’aiuto dei due piloti, si riesce ad arrivare alla riva. E il coraggio? Non si era nascosto, ma era dentro di noi. Quando uno sta lavorando, c’è sempre qualcuno che passa vicino e saluta. Spesso viene usata la parola “du courage(forza,coraggio)”. All’inizio io non capivo, anzi mi scocciava un po’. Poi, mi sono reso conto che era un modo per sentirsi vicino a chi stava faticando. Ed era questo il messaggio che trasmettevo ai giovani, scout compresi, laggiù in Africa. Non era facile, ci voleva coraggio a vivere in situazioni difficili di fame, ingiustizia, mancanza di futuro. Ma ci si stringeva, ci si faceva vicini gli uni gli altri e spesso si riuscivano a vincere le difficoltà. E questo l’ho visto anche qui in Italia, frequentando i vari gruppi scout. Mi ha sempre meravigliato il coraggio di tanti capi che,nonostante gli impegni di famiglia, di lavoro…riuscivano con coraggio, e aggiungo, con gioia, a vivere il loro servizio ai ragazzi. Ci vuole davvero coraggio, forza interiore(il coraggio viene dal cuore) per fare questo. E mi viene spontaneo dire grazie a ciascuno di loro, perché mi hanno dato coraggio nel continuare il mio servizio di assistente ecclesiastico.  In swalili si traduce “uhodari”, qualcosa che viene da dentro, anzi è una porta del cuore che si apre(hodi:posso entrare) e che lascia passare il meglio di noi stessi.E allora, perché non continuare a provarci? Insomma da “Capitani coraggiosi” a “Capi coraggiosi”.