Il maestro San Giovanni d’Avila e San Pietro d’Alcantara

don Marcello Stanzione

 Fu proprio a Baéza che san Giovanni d’Avila detto il Maestro, che Benedetto XVI proclamato il 7 ottobre Dottore della Chiesa universale, conobbe ed ebbe una relazione profonda con san Pedro de Alcantara, l’uomo “fatto di radici d’albero”, come lo definì più tardi santa Teresa di Gesù. Spinto dal pensiero della riforma del suo ordine, consultò Giovanni d’Avila, che approvò senza riserve lo spirito di penitenza che lo animava e lo incoraggiò a proseguire l’opera che aveva iniziato. Da allora, il d’Avila sarebbe stato consultato con frequenza dal santo riformatore e dai suoi discepoli. Pietro Garavita nacque ad Alcantara, una piccola città nella provincia dell’Estremadura , in Spagna, nel 1499; il padre era avvocato e governatore della città. Compiuti gli  studi presso l’università di Salamanca, nel 1515 decise di entrare nel rigido ordine dei frati francescani dell’Osservanza. Praticava mortificazioni corporali    molto dure, dormendo il meno possibile e di solito in posizione seduta e forse per questo successivamente fu assunto come patrono della guardie notturne). A soli ventidue anni fu mandato a fondare un governo a Badajoz; ricevette l’ordine sacro nel 1524. divenne guardiano, o superiore, di moltissimi monasteri e dal 1538 al 1541 fu ministro provinciale (provincia di S. Gabriele). Il suo mandato fu caratterizzato dai tentativi di dare ai frati uno stile di vita il più austero possibile. Pietro cercava infatti di rifarsi alla vita francescana primitiva e di seguire alla lettera i consigli evangelici, avendo, per esempio, un solo abito e nessun altro indumento. Celebre per la sua predicazione, si diceva che avesse ricevuto da Dio il dono della scienza infusa. I tentativi da lui compiuti per riformare la provincia dell’Estremadura non incontrarono successo e qualche tempo dopo  il termine del suo mandato, ebbe il permesso di vivere in stile semieretico ad Arabida, vicino a Lisbona, dove un altro frate stava tentando di interpretare la Regola francescana in senso eremitico per un piccolo gruppo di fratelli; Pietro si unì a loro, diventando in realtà la loro fonte ispiratrice e portandoli ad accogliere quel regime di vita estremamente rigido che aveva invano tentato di imporre altrove. Nel 1554 si recò a Roma per ottenere il permesso di fondare una nuova congregazione di frati e il papa gli concesse di porsi sotto la direzione del ramo francescano dei conventuali anziché sotto quello degli osservanti, dove il ministro generale era contrario ai progetti di Pietro. Al suo ritorno in Spagna, il santo fondò a Pedroso un nuovo convento: era l’inizio dei francescani dell’Osservanza di S. Pietro d’Alcàntara, o alcantarini, la cui regola rifletteva il desiderio di Pietro di vivere una vita religiosa quanto più austera possibile; le celle erano lunghe poco più di due metri, i frati andavano scalzi, non prendevano né carne né vino e predicavano tre ore al giorno di preghiere mentale; le loro comunità non superavano le otto unità e non potevano assolutamente accettare ricompense in denaro per le Messe, cosicché la loro dipendenza dalle elemosine era totale. Il numero dei conventi crebbe e gli alcantarini furono eretti in provincia autonoma nel 1561; in questa occasione furono anche riportati sotto l’obbedienza degli osservanti e mantennero un’esistenza separata finché papa Leone XIII nel 1897 non unificò le diverse tradizioni. Pietro fu mosso, almeno in parte, dal desiderio di contribuire alla riforma della Chiesa; riteneva che una vita di forte penitenza rappresentasse un modo per controbilanciare i mali che, a suo vedere, stavano a quel tempo affliggendo la vita cristiana. Quando la gente si lamentava della malvagità e della cattiveria presenti nel mondo e nella società, egli era solito rispondere: “Il rimedio è semplice. Tu e io per primi cerchiamo di essere quello che dovemmo; avremo già curato ciò che riguarda noi stessi. Ciascuno faccia lo stesso,e tutto andrà bene. Il problema è che noi tutti parliamo di riformare gli altri, senza mai riformare prima noi stessi”. Dovette inoltre affrontare l’opposizione dei suoi fratelli di un tempo, venendo condannato a volte come ipocrita, a volte come traditore oppure come ambizioso disturbatore della pace religiosa. Gli peraltro esortava i suoi oppositori a fare tutto ciò che era in loro potere per arrestare la riforma, così da metterla adeguatamente alla prova. La sincerità e lo zelo che lo contraddistinguevano gli ottennero comunque un forte sostegno, tanto che cominciò a essere molto ricercato come professore, tanto che cominciò a essere molto ricercato come confessore e direttore spirituale (l’opposizione tuttavia perdurò per tutto il resto della sua vita). E’ da un’altra riformatrice del XVI secolo, S. Teresa d’Avila, che apprendiamo le notizie principali sulla vita spirituale di Pietro. I due santi si incontrarono nel 1560 e Teresa affermò in seguito che fu Pietro a incoraggiarla maggiormente nel suo progetto di riforma mentre la fondazione del suo primo convento trovava forte resistenza. Dalla riforma della santa, egli appoggiò particolarmente i principi di non ricevere donazioni per i conventi e di vivere in assoluta povertà. Teresa ha riferito molto di ciò che Pietro le disse a proposito della sua vita, delle sue mortificazioni e delle sue esperienze di preghiera: “Era abitudine per lui mangiare una volta ogni tre giorni […]. Uno dei suoi compagni mi ha detto che talvolta egli non mangia assolutamente niente per otto giorni consecutivi. Ma forse questo è accaduto mentre si trovava in preghiera, dal momento che sperimenta di solito grandi rapimenti e ardenti trasporti di amore divino, cosa di cui io stesso sono stata una volta testimone. La sua povertà era esterna come le mortificazioni a cui fin dalla giovinezza si sottoponeva […]. Quando l’ho conosciuto era molto vecchio, e il suo corpo così avvizzito e debole che pareva composto delle radici e della corteccia secca di un albero piuttosto che di carne […]. Parlava poco, a meno che non gli fossero rivolte delle domande; e rispondeva con poche parole, ma anche solo per queste meritava di essere ascoltato, perché esprimevano una profondissima intelligenza”. Teresa ammirava un libro sulla preghiera scritto da lui:  non è chiaro se questo trattato fosse proprio di suo pugno o fosse compilato con l’aiuto di quest’ultimo; alcuni studiosi pretendono invece che sia stato Luigi a rifarsi, ampliandosi, agli scritti originali di Pietro. Il santo morì nel 1562 e fu canonizzato nel 1699. il suo culto non è mai stato molto diffuso e la sua vita pare aver sollevato solo un fievole interesse. Ciò d’altra parte non sorprende, se si tengono presenti gli insigni riformatori, fondatori e mistici che vissero nella sua epoca. Tuttavia la sua testimonianza esprime la vitalità della riforma religiosa in Spagna nel XVI secolo, e se altri ne hanno involontariamente oscurato l’astro, ciò coincide semplicemente con quello che egli avrebbe desiderato e ritenuto giusto. E’ invocato  contro le febbri maligne e pure come protettore delle guardie notturne. Per ulteriori approfondimenti su san Giovanni d’Avila e altri santi del “secolo d’oro spagnolo” mi permetto di indicare il mio libro edito recentemente dalla Gribaudi di Milano al prezzo di euro 9,00 ed intitolato “ San Giovanni d’Avila. Apostolo dell’Andalusia e Maestro di santi”.