Salerno: Carlo Mattioli inaugura XIV^ stagione espositiva

La XLV stagione espositiva della Galleria Il Catalogo di Salerno, verrà inaugurata nel segno della tradizione del più intenso Novecento pittorico italiano, luogo osmotico di tutti i linguaggi delle arti. Lelio Schiavone e Antonio Adiletta hanno scelto di proporre 17 opere di Carlo Mattioli, una mostra, nata dalla collaborazione della galleria salernitana con l’archivio Carlo Mattioli di Parma, che verrà inaugurata sabato 27 ottobre alle ore 19, restando fruibile sino al 24 novembre. Carlo Mattioli, modenese di nascita ma parmense d’adozione, ritrova proprio nella città emiliana il luogo della sua riflessione per immagini, affacciandosi alla ribalta artistica intorno agli anni Quaranta, quando la città, ricordata da Attilio Bertolucci come una “cella meglio aerata e ben esposta” rispetto a tanti altri centri d’Italia – sta vivendo una stagione straordinaria: “Per un gioco di destini incrociati – scrive Gianni Cavazzini – operano a Parma poeti quali Mario Luzi, studiosi come Oreste Macrì, critici quali Giacinto Spagnoletti”. E’ in questo clima, percorso da sottili istigazioni culturali, così vicino al sentire della galleria salernitana, che si inserisce Mattioli. Sono le serate al caffè, gli incontri con i personaggi in transito, Ungaretti, Montale, Parronchi, Bigongiari, che forgiano il segno di Carlo Mattioli, frutto di una forza interiore alimentata giorno dopo giorno nella riflessione e nella “simpatia” sofferente per uomini e cose, che ritroveremo nelle opere esposte al Catalogo, con soggetti, paesaggi, ridotti alle strutture elementari, ma percorsi da un respiro infinito, in cui l’assenza, come specchio della morte, è metafora antichissima che Mattioli sa rinnovare con una pulizia di tocco e una essenzialità d’immagine raramente conseguita. Una pittura di sublimazione la sua, mai dimentica della suggestione di certi addensamenti sensuosi di materia, quei coaguli di colore che lasciano intendere, dentro, tutto un subbuglio di generazioni, accensioni, inquietudini, e perfino ironie, sino ad una pressante percezione del tempo. Con una dizione ferma, e sempre come se d’ ogni cosa trovasse indispensabile far sentire al tatto la consistenza del soggetto, il pittore si ritrova a scarnificare sempre piu’ quegli spessori “romantici”, riducendo quasi a sinopia i segni figurali, staccando, man mano, gli oggetti dal loro luogo, esaltandone la solitudine, leopardianamente. Perfino a volte facendo appello a una sorta di ragione geometrica, come se in una accentuata partizione degli spazi si potesse trattenere piu’ a lungo, e con maggiore incidenza espressiva, l’emozione. Nell’esposizione si passerà anche per il suo periodo informale, impresso di forme allucinate, con uno struggimento di toni da esilio, grigi, bruni, ocra, con variazioni sottilissime, pudiche, di tutti i verdi possibili ( Paesaggio Verde), frutto di una gestualita’ mai nervosa, destinata piuttosto a confermare un senso implicito, inafferrabile, dei movimenti interni alla natura. Imprevedibili improvvisazioni sul tema, la lucida teoria delle forme sottratte al contingente, in virtù di una loro sofferta conquista dell’essenza delle cose, della loro dimensione ontologica. Il reale è come evocato, non rimosso ma sospeso, e in questa elegia del silenzio più alta si leva la voce dell’Uomo.