L’Italia delle false autonomie – il fallimento delle regioni

Giuseppe Lembo

Purtroppo ed a malincuore c’è da dire e riconoscere che il regionalismo italiano così come si è sviluppato negli anni, è stato un vero e proprio fallimento. Le Regioni dovevano essere, ma tali non sono state, il braccio armato per uno sviluppo territoriale diffuso. Dovevano produrre crescita umana e sociale alleggerendo il più possibile gli apparati farraginosi ed elefantiaci centralizzati del sistema Italia. Dovevano liberare i territori da ritardi e sottosviluppo creando condizioni di sviluppo autocentrato con “protagonisti” la gente; purtroppo, non ne è stato questo il corso. In tutte le negatività possibili, hanno riprodotto sui territori le anomalie ed i difetti dello Stato centrale, facendo rimpiangere Roma padrona e forse anche Roma ladrona che doveva ridurre, dopo la loro entrata in funzione nel 1971, parte del centralismo causa amara di ritardi e di mancato sviluppo. Le Regioni da centri per lo sviluppo territoriale sono diventate di fatto centri di finanza allegra, di sprechi e ruberie alla faccia dei diritti costituzionalmente garantiti dei cittadini; diritti per i quali in tanti si riempiono ancora la bocca, usando solo parole vuote e menzognere. Purtroppo l’operazione regionale di decentramento non ha per niente risolto i mali d’Italia che sono cresciuti a dismisura ed ormai sono ad un punto senza ritorno. La spesa è uscita dal controllo con un aumento di 90 miliardi in un decennio. Spreco causa di un debito pubblico con servizi sempre più scadenti e parassitismi diffusi da parte di una classe politica, sempre meno all’altezza della situazione e per niente attenti allo sviluppo ed al rispetto democratico. Stando così le cose da vero e proprio sfasciume pendulo, con l’amaro in bocca e tanta rabbia dentro, c’è da dire che resta ben poco di positivo dell’idea regionalista, così come incarnata nel forte volere di Jacini, Minghetti, Colajanni e Sturzo. Il concetto nobile di Regione era la principale novità della nostra Carta Costituzionale del 1947; ostacolata per decenni solo nel 1971 finalmente se ne ha la piena attuazione; i ritardi nell’attuazione erano dovuti alle logiche padronali dei partiti politici che avevano ed hanno ormai occupato scientificamente lo Stato e svolgevano e sconvolgono il loro ruolo di potere sempre più finalizzato a se stessi, tenendo ben stretto il potere centrale e la politica che ne legittimava e ne legittima il corso; oltre a decidere centralmente, influivano anche in modo assolutistico sui territori, con le loro rappresentanze solo nominalmente democratiche; una democrazia di facciata che non realizzava e non realizza il protagonismo della gente, purtroppo indifferente ad esercitarlo ed a vivere da “popolo protagonista”. Nel 2001 assistiamo alla riforma del titolo V della Costituzione; tanto per dare forza al decentramento, con una diffusa competenza legislativa nelle mani non sempre nobili dei Governi delle Regioni.  Un eccesso senza concretezza di risultati. Le Regioni potevano e possono tutto; dal consigliere diplomatico del Governatore  agli uffici di rappresentanza all’estero. Così come trasformate, le Regioni erano organismi autonomi di potere ben più potenti dello Stato centrale. Ma con quali risultati? Con quali vantaggi reali per la gente e soprattutto per la gente meridionale che di anno in anno, vedeva aggravarsi le proprie condizioni di vita, le proprie prospettive di futuro? Con più autonomia la classe politica, dava sfogo a tutte le possibili nefandezze di un potere assolutistico, assolutamente fine a se stesso ed ai propri aspetti affaristici. La burocrazia italiana a dismisura esercitava ed esercita il potere in tutte le direzioni possibili, invadendo di sé l’intero territorio nazionale, circondate da vizi che hanno assolutamente cancellato quelle che dovevano essere le virtù di un Paese civile, democratico ed attento al proprio futuro. Per effetto della Costituzione riformata (titolo V) l’Italia è ormai una terra di nessuno; sfugge a tutti i controlli.

Ciascuno decide per conto proprio; ormai siamo ad una spesa sia centrale ma soprattutto territoriale, da inevitabile default. Siamo ad una spesa, tra l’altro, a ruota libera di cui non si conosce l’entità, con obiettivi sempre meno condivisibili, perché poco nobili ed assolutamente poco trasparenti e sempre meno attenti ai bisogni della gente ed alle necessità del Paese reale in sempre più grave e crescente sofferenza. Le Regioni italiane così come gestite oggi sono dei veri e propri potentati nelle mani rapaci di indegni rappresentanti della gente che non ce la fa più a campare. Purtroppo l’Italia delle Regioni è assolutamente un anello debole e fallimentare del sistema Paese. Poche sono le Regioni da poter considerare virtuose; sono Regioni soprattutto del Nord. Sempre più scellerate e covi di scandali indicibili sono le Regioni del Sud, Lazio compreso, sommerse quotidianamente da scandali e da un male sistemico con alla base troppi incompetenti nelle decisioni e nelle scelte importanti. Tanto, non si può tollerare più a lungo; bisogna intervenire e presto se si vuole salvare il Paese ormai sull’orlo di un grave precipizio socio-economico e culturale, privo com’è di menti pensanti eticamente sane, capaci e disponibili ad impegnarsi per il bene comune, per quel bene che dobbiamo al futuro dei nostri figli, per cui da difendere a denti stretti, per evitare il fallimento del Paese ed assumere il ruolo di collaboratori di quei ladri di futuro che, dal Nord al Sud, hanno egoisticamente pensato solo per sé, mandando inevitabilmente in rovina l’Italia. Bisogna ravvedersi e subito eliminando le anomalie sistemiche del centro del potere italiano. Ma non basta; con saggezza ed altrettanto in fretta, bisogna ravvedersi ed eliminare le anomalie del potere regionale e di tutti quei poteri assorbenti, grandi o piccoli che siano che si sono impossessati in modo asfissiante ed ammorbante del Paese Italia. Come fare per cambiare? Riprendendosi il ruolo proprio di cittadino e facendo attraverso il voto, scelte responsabili e consapevoli, utili al bene comune ed al futuro del Paese. Tanto va fatto per salvare l’Italia e per garantire un futuro italiano anche nel futuro globale, dove le identità territoriali e le loro rappresentanze sono i presupposti delle diversità d’insieme che, a più mani devono sapersi impegnare per costruirsi il futuro, dove ciascuno deve sporcarsi le mani e non stare a guardare indifferente o peggio ancora delegando agli altri tutto di sé. Cambiare per non morire; tanto è necessario per costruire un mondo più giusto sulla Terra; un mondo in cui ci sia meno posto per i tanti indesiderati e per quegli eretici del pensiero che cercano solo condivisioni affaristiche per il proprio bene, indifferenti del male che producono agli altri. L’Italia delle Regioni, in attuazione del dettato costituzionale, non ha dato buona prova di sé; tanto, soprattutto al Sud, dove già era in atto l’esperienza fortemente negativa della Regione Sicilia a Statuto Speciale. L’attesa rinascita è stata vissuta come un mito irraggiungibile; ed il cambiamento epocale non c’è stato; non c’è stato e non ci poteva essere perché le Regioni nascevano con tutti i difetti dello Stato centrale: dalla burocrazia alla politica padrona, al consociativismo ed al pressappochismo d’azione per gravi mancanze professionali, dovute tra l’altro ad una abbondante presenza di personale raccogliticcio, assunto in modo clientelare o trasferito dagli apparati dello Stato, per effetto del trasferimento delle materie delegate di competenza non più statale, ma regionale.

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