Pombe, birra

Padre Oliviero Ferro

Un giorno, arrivando con il battellino, in un villaggio del lago Tanganika (Congo rd), sentivo delle persone che cantavano e parlavano in tante lingue, italiano compreso. Ero incuriosito. Poi, il nostro accompagnatore mi indica due bidoncini gialli. Non capivo ancora. Mi avvicino e con il naso sento un profumo di banane. Cos’era? Era la birra artigianale che stava finendo dentro il corpo di tante persone che ora ti salutavano allegramente. Anzi ti invitavano a berne un goccetto. Veramente a me non piaceva molto. Preferivo la prima, cioè quella che usciva alla prima spremitura delle banane :la “mtobe”. Dolce e poco alcolica. Invece gli uomini preferivano quella fermentata. Naturalmente non bisognava lasciarne traccia. Quando si comincia qualcosa, bisogna finirla. E’ un segno di dignità, da vero uomo. Naturalmente, bevendo, non c’era posto per mangiare e qualcuno si rovinava pure lo stomaco, quando la mescolava con la grappa artigianale. Era un modo per fare stare zitta la fame. Naturalmente,c’era anche la birra in bottiglia. In Africa è sempre presente. E quando ci si trova davanti a un Casier(cestello di 24 bottiglie), bisogna finirlo. Come già detto prima: se si inizia, bisogna arrivare alla fine, altrimenti qualcuno potrebbe prenderti in giro.