Storia di vita vissuta: Io ce l’ho fatta!

Barbara Gentile

Questa è la storia di Barbara una ragazza semplice,  ma dotata di una forza di volontà unica e fenomenale,  che può essere d’aiuto a molte persone, che non hanno il coraggio per reagire alle botte della vita. Quando si tocca il fondo,  si pensa che ormai sia finita, ma non è cosi’ e io sono la dimostrazione di questo. Niente è impossibile nella vita, basta credere e lottare per ciò che si vuole, superando gli ostacoli che si trovano  davanti, senza perdere mai di vista,  l’obbiettivo da raggiungere.O si accetta la sofferenza e il dolore in nome di qualcosa di più grande, oppure è solo disperazione, angoscia e rabbia. Vorrei veramente, che queste pagine fossero lette da chi ha perso la speranza. Non sono una scrittrice e neanche lo voglio diventare, quindi non sarà un romanzo, ma penso che la mia storia possa toccare molti cuori. Quando il destino decide per te, non ti resta che accettare. La descrizione fisica la eviterei,  perché poi corriamo il rischio di far innamorare qualcuno. Amante del nuoto e dei numeri, Barbara,  cioè io, mi sono diplomata all’Istituto Commerciale e poi, visto che non mi accontentavo,  decisi di iscrivermi all’albo dei Consulenti del Lavoro. Prova tostissima,  che non avrei  mai pensato di superare. Il giorno dell’esame, indossai un paio di pantaloni blu gessati, con una camicia bianca e scarpe con dieci centimetri di tacco, così potevo vedere dall’alto (erano talmente alti, che se le toglievo, la gente si guardava intorno e diceva “Ma, dove è finita quella ragazza?” e io “Sono qui!Sono qui sotto!”. Abbinai un ombretto azzurro, all’esterno dell’occhio e all’interno, un bianco madreperla, per dare luminosità al viso. Appena arrivata, cominciò il panico, poiché la commissione, che era composta da cinque professori con il viso un po’ cattivo, mi obbligò subito a consegnare il cellulare, chissà pensavano che mi mettevo ad vamoreggiare! Mi sedetti, accanto ad una ragazza che era ben la nona volta,  che provava a superarlo, il che mi mandò ancora più in paranoia. Ero tornata a scuola, in quanto nella stanza erano stati adibiti dei banchi. L’esame, aveva inizio con due prove scritte, una il lunedì e l’altra il giorno seguente. La prima, aveva come argomento l’I.R.P.E.F. (Imposta sulle persone fisiche), mentre la seconda poteva essere svolto da un impiegato di banca, perché riguardava i conti correnti. Presi la mia “bic” blu e cominciai a scrivere tutte le nozioni, di mia conoscenza. Mi furono consegnati, due fogli protocollo a righe, per entrambe le prove,  con il timbro del Ministero delle Finanze in alto a destra. Avevo sei ore di tempo, ma la mia bravura o meglio la mia solita fretta, mi permise di consegnare dopo quattro. Ero munita di calcolatrice e del codice civile da cui copiai molte leggi. Dopo una settimana, vidi nella cassetta della posta una busta giallina e capii subito che era il risultato delle prove scritte. Non avevo il coraggio di aprirla, quel foglio decideva se potevo andare avanti o se dovevo riprovarci l’anno successivo. Mi chiusi in camera e aprire la lettera: Gentile Signorina Barbara Gentile  (che fantasia!), le comunichiamo che entrambe le prove, sono state superate con la votazione di 7/10, la invitiamo a presentarsi per la successiva prova, il giorno 13 Aprile, alle ore 15:30, presso il Consiglio dei Consulenti del Lavoro, in Via Sicilia 27/F. Non potevo credere ai miei occhi, avevo superato i tanto temuti scritti. All’orale, fu  buffa la commissione,  che mi fece scegliere un numero,  fra quelli usati per giocare a tombola, dentro ad una borsetta di velluto rosso. Mi capitò il numero 8,  a cui corrispondeva una domanda per ogni materia. Il tavolo era a forma di ferro di cavallo, e vi erano sei insegnanti, tra cui tre donne, che si sa, sono un po’ più maleducate. Io ero seduta al centro, di fronte avevo un signore di una certa età, con capelli brizzolati, occhi azzurri e occhiali con montatura in titanio. Cominciò a farmi domande, il tipo di fronte a me:”Signorina, mi parli un  po’ dell’istituto previdenziale per eccellenza”: Ma dico io, invece di fare tanti giri di parole, non mi poteva semplicemente chiedere, di parlare dell’INPS? E no, giustamente pensava di mettermi in difficoltà,  dicendo in quel modo. Andò tutto alla grande, fino al momento in cui mi domandarono il nome del presidente della Repubblica. Io risposi:”Clinton!”. Lo dissi in un modo così naturale, da far sembrare ignoranti loro. Non dettero molto peso alla mia “gaffe” e, mi dichiararono abile a svolgere tale professione. Mi rilasciarono un attestato, su carta pergamenata, che dice:”Si  attesta che Gentile Barbara, nata ad Umbertine (Pg) il 24/01/1976, è iscritta al numero 467 nell’albo di questo consiglio dal 03 Aprile 2001.E quindi, può esercitare legalmente la libera professione di Consulente del Lavoro”. Felicissima, corsi subito a farlo incorniciare. Comperai il “Cerco & Trovo”, il giornale in cui si trovano gli annunci di lavoro. Cercavano una ragioniera part-time, ecco era perfetto per me. Telefonai e,  presi appuntamento con il titolare dell’ufficio, il Sig. Benito , il quale mi dettò con molta precisione l’indirizzo,  dove recarmi. Tutta agitata, cercai nell’armadio il tailleur rosa, che mi ero acquistata il mese prima, per il matrimonio di una mia grande amica. Indossai una camicetta dello stesso colore, con righe avana, e per rendere tutto il più elegante possibile, mi misi  una cinta con paillettes bianche. L’appuntamento era per le ore 15.00, ma io naturalmente alle 14.30, ero già di fronte al portone, pronta ad affrontare il mondo del lavoro. Citofonai e mi fu detto di scendere due file di scale. Venne ad aprirmi un uomo, di media statura, castano, occhi marroni e naso un po’ pronunciato (secondo me il Signore, glielo aveva creato appositamente, per tenere diritti gli occhiali), vestito in maniera molto raffinata. Disse:”Buonasera, lei è la signorina Barbara Gentile, che mi ha chiamato mercoledì mattina?”. “Si, buonasera, piacere,  io sono Barbara”. “Venga pure, la accompagno nel mio studio, dove possiamo parlare tranquillamente”. Entrai in una stanza molto luminosa, con al centro una scrivania in ciliegio, o almeno mi sembrava lo fosse, dato che tutta la superficie, era coperta da fogli. Non poteva mancare il computer  di ultimo modello, con schermo piatto. Ero contornata da libri, come : “Il bilancio comunitario”, “Le tasse in Italia”, “Contabilità e amministrazione”. Ci sedemmo, uno di fronte all’altra, io con le gambe accavallate, cercavo di nascondere i miei timori, lui invece molto spavaldamente incominciò a farmi varie domande. “Quanti anni ha?” “Che esperienze di lavoro ha ?”. “Conosce i registri IVA e sa come si compilano?” “Ha mai redatto un bilancio?” e così via. Ora lo posso dire: il giorno del colloquio, per farmi assumere, gli dissi un mare di bugie. Volevo quel posto ad ogni costo e, per fortuna mio padre fa lo stesso lavoro, quindi ho sempre avuto le spalle coperte. Qualche volta le bugie vanno dette, se sono a fin di bene. Mi assunse e, forse perché ho il viso che da fiducia,o forse perché era il mio periodo fortunato,  mi consegnò le chiavi dell’ufficio. A quel punto, uscì fuori la Barbarina:”Senta, mi può dare del tu, sa,  mi sento vecchia altrimenti?”. La mattina ero puntualissima, ormai avevo fatto amicizia con tutti gli inquilini del palazzo, quindi dovevo arrivare dieci minuti prima. C’era la Sig.ra Battisti, che mi invitava a prendere il caffè. Aveva  un canino, razza boxer, nero con macchie bianche sulla pancia, che mi leccava sempre le mani. Chissà pensava di conquistarmi,  facendomi il baciamano? L’ufficio ,  era un appartamento, all’interno di un palazzo al centro storico, di vecchia costruzione quindi i soffitti erano altissimi. L’inverno, mi dovevo mettere la tuta da sci con calzamaglie di lana,  per poter lavorare. Accendevo i riscaldamenti, appena mettevo piede in ufficio, ma puntualmente Benito,  cominciava a dire che sentiva caldo. Si vede che aveva più sangue di me…………………. Le bugie, purtroppo sono come i nodi: tornano sempre al pettine. Non sapevo dove mettere le mani, ma il Sig.  Benito, capi’ la situazione e, con pazienza, iniziò ad insegnarmi quella partita doppia, che  sarebbe diventata la mia forza. Prima di arrivare a quello, mi fece vedere come si registrano le fatture. Come prima cosa mi chiese di ordinarle per data, dalla più vecchia alla più recente, evidenziando la data di emissione. Mi sentivo importante, ora potevo mettere in pratica, tutto ciò che per anni,  avevo studiato nei libri. Io mi sedevo accanto a lui e,  buona, buona cercavo di apprendere il maggior numero di nozioni. Utilizzava il programma di contabilità Buffetti, denominato “Bridge”, che basandosi ancora sul DOS era di facile comprensione. Iniziammo con la registrazione dei corrispettivi. Compito assai facile, perché bastava inserire il totale del giorno incassato, sulla data corrispondente. Assai facile un corno… “Dai Barbara, fai tu!” Chissà come mai, il mio totale di mese non tornava con quello fatto da lui con la calcolatrice. “Benito, c’è l’antivirus in questo computer?” “Si, Barbara, c’è, prova a ricontrollare!” “Va bene, se lo dice lei….” “Ah, ecco l’errore, deve dire ai signori di scrivere, meglio, questo è un 8, non un 6.” “Ma com’è che io lo ho letto bene e tu no?” “Beh, lei ha gli occhiali!” Era tutto perfetto, tranne  che Benito, la mattina verso le 10.00, faceva uno spuntino con pane e pasta d’acciughe e gli piaceva fare colazione in compagnia. Conobbi tutta la clientela, la quale dandomi fiducia, mi lasciava i documenti fiscali. Tra questa,  ne faceva parte,  anche il mio attuale medico di condotta. Inizialmente avevo dei timori, non era facile doversi spogliare e farsi visitare , quando il giorno prima era venuto in ufficio a prendere la delega di  pagamento. Come si dice: l’allievo divenne più bravo del maestro, quindi mi fu proposto,  di diventare socia dell’ufficio al 40%. Io, accettai subito, era fantastico a 25 anni,  essere titolare di uno studio commerciale. Ci recammo dal notaio, il quale aveva stilato l’atto di società e firmammo entrambi tutte le copie. Usciti dall’ufficio, Benito, mi guardò e disse:” Barbara, ora siamo soci, dammi del tu e andiamo a brindare”. Ci recammo nel bar sotto il nostro ufficio. “Che prendi?” “Se paga lei, cioè volevo dire tu, un san bitter con una fettina d’arancia e poi avrei anche un piccolo languorino allo stomaco” “Si, si pago io, prendi quello che vuoi”. Era nato un bellissimo rapporto tra noi, l’ iniziale soggezione tra datore e dipendente, si era trasformata in ammirazione e rispetto reciproco. Non mi fece investire alcun soldo, bastava solo la mia forza lavoro. Piano piano, conquistai i miei clienti, avendo sempre avuto tanta buona volontà, il lavoro non mi mancava. Andavo d’accordo con il mio socio, quindi lavoravamo  in assoluta pace e tranquillità. L’estate, il periodo più caotico, quello in cui si compilano le dichiarazioni dei redditi, avevamo bisogno d’aiuto, quindi veniva ad aiutarci Alessandro,   un ragazzo iscritto come me,  all’albo dei Consulenti del Lavoro. Anche con lui,  avevo un ottimo rapporto, si lavorava, ma trovavamo anche il tempo per fare quattro risate. Era uno “zitello” come me, quindi ci capivamo molto bene. Lo sfottevo sempre, ma lui non si arrabbiava e stava al gioco.  Eravamo coetanei, quindi i discorsi riguardavano pub e discoteche. I conti li teneva il Benito, mi sono sempre fidata ciecamente,anche perché era fin troppo scrupoloso, sui pagamenti delle bollette, non dimenticava mai di considerare l’euro delle spese postali  e ogni 6 mesi mi dava la mia parte di utile. Teneva un registro, in cui annotava precisamente tutti gli incassi e i pagamenti. La cosa positiva stava nel fatto che,  essendo un po’ “tirato”,  le spese non erano tantissime, considerando poi, che l’immobile era di sua proprietà, quindi non esisteva il problema di pagare l’affitto. Valeva la pena essere in Siberia,  l’inverno. Il guadagno , era molto superiore all’impegno, riuscivo in mezza giornata a risolvere tutti i problemi. Ma Barbara,  non si accontenta mai. Come detto inizialmente oltre i numeri,  amo il nuoto e,  quindi decisi di prendere il brevetto per istruttrice di nuoto. Brevetto di primo livello, che mi comportò quattro mesi di corso alla Federazione e 60 ore di tirocinio in piscina. Frequentai delle lezioni teoriche, dove mi fu spiegato perfettamente,  come mettere le mani e i piedi per ogni tipo di stile. Venivano proiettati tutti i esercizi, da far svolgere in acqua agli allievi. Mi ci  dovevo recare,  due volte la settimana, dalle 15.00 alle 17.00, cosa non difficile poiché non dovevo chiedere, permessi al lavoro. Uno degli insegnanti, era il mio allenatore, quando praticavo agonismo, come era diverso vederlo a bordo vasca con il cronometro in mano, da professore in giacca e cravatta. Anche l’esame orale lo sostenni con lui, di conseguenza, non fu così difficile brevettarmi. Studiai comunque, mi preparai sul libro”Scuola nuoto”, in cui viene spiegata la ginnastica  e la tecnica per l’apprendimento motorio. Era più semplice, insegnare ai ragazzini,  forse perché hanno una mente più aperta, perché vogliono conoscere e vogliono imparare. Gli adulti invece, pensano di sapere tutto. Prima di farli entrare in acqua, gli facevo fare un quarto d’ora di esercizi, vicino al bordo della piscina. Si mettevano tutti in fila, di fronte a me, allungando le braccia e muovendo le gambe, come gli ordinavo. Naturalmente,  abbandonavo il tailleur elegante del giorno, solitamente grigio o blu , per indossare la mia tuta da ginnastica Adidas rosa, con righe laterali bianche. Devo dire che l’abbigliamento sportivo, mi donava di più, sotto la tuta c’era l’immancabile costume olimpionico,  anch’esso rosa. Rispetto al lavoro  dietro la scrivania, questo mi stancava un po’ di più, dovevo stare in piedi e camminare sul bordo, con la speranza che non mi si affogasse nessuno, altrimenti sai che bagno che mi toccava. Ma riuscivo  ugualmente, a ritagliare un po’ di tempo per me, facevo quelle 30 vasche o più a sera. Finiti i corsi, entravo nello spogliatoio, lasciavo la tuta e mi tuffavo in acqua. Ero veramente un pesciolino, sapevo tutti gli stili naturalmente, ma ho sempre avuto il debole,  per lo stile libero, forse anche perché è il più semplice. Per allenare le gambe, prendevo la tavoletta, usata da chi deve imparare, e sbattevo i piedi per una mezz’oretta. Dovevo mantenermi in linea, fare concorrenza alle mie amiche e,  soprattutto,  smentire quello che mi dicevano in continuazione: “Sei una zitella!”. A me,  non interessava niente di quello che affermavano, amavo la mia vita, è vero non avevo il ragazzo, ma ero ripagata da molte altre soddisfazioni: lavoro, amiche, vita sociale, ecc…. Grazie al mio reddito,   potevo permettermi anche una vita abbastanza agiata,  quindi andavo una volta a settimana dal parrucchiere,( che non doveva poi faticare cosi’ tanto),   una volta al mese dall’estetista e il sabato pomeriggio,  era dedicato allo shopping. In camera ho un armadio a sei ante,  ma non è stato mai sufficiente. Come minimo, riportavo sei paia di pantaloni, tre gonne e dieci magliette. Il mio look lo andavo a sfoggiare il sabato sera in discoteca, capelli biondi, minigonna ascellare e top da far rabbrividire, pieno di strass. Il divertimento maggiore,  era la preparazione: io e le mie amiche chiuse in bagno a truccarci, improfumarci, insomma a farci belle. Era più il tempo, che passavamo a chiacchierare, di uomini naturalmente. Andava sempre a finire allo stesso modo: facevamo tardi e ci chiudeva   la lista. Non mi è mai mancata la faccia tosta, quindi corrompevo i buttafuori con il mio dolce visetto, riuscendo sempre a entrare gratuitamente. Era d’ abitudine,  la conoscenza di ragazzi, diciamo che   il mio abbigliamento,  rendeva tutto molto più facile. Mi è capitato, un sabato sera,   di esagerare con gli alcolici, quindi le mie amiche, dovettero riportarsi a casa da sole, gli detti le chiavi della mia macchina, poichè era il mio turno a doverla prendere. La domenica  mattina la  passai a letto con il mal di testa dopo sbornia. Un cachè e due ore di riposo, fecero tornare tutto a posto, ma consiglio “Ragazzi, non bevete!”. Se ci penso ora, mi prenderei a schiaffi, ma allo stesso tempo capisco che non è facile dire di no ad un rum e pera o a una caipiroska alla fragola, in discoteca. I miei clienti,  erano persone abbastanza adulte , non correvo quindi il rischio di trovarli in pista, altrimenti sai che figura. Come potevano fidarsi, di far amministrare i loro averi, ad una pazza scatenata come me. Come ero diversa il lunedi’ mattina in tailleur, camicia e tacco a parlare di debiti e crediti dal sabato sera in minigonna,stivali,   a dire stupidaggini. Sempre grazie al mio lavoro,  potevo permettermi di andare a pranzo o a cena fuori quando volevo, infatti era più il tempo che passavo fuori casa. Ho provato quasi tutti i ristoranti della città, anche se ho sempre avuto un debole per il ristorante cinese. Questa preferenza,  non era però condivisa da tutte, di conseguenza mi dovevo accontentare della pizza o della piadina. Per cambiare le convincevo ad andare al Lago Trasimeno, dove c’è un posto che fa una torta al testo invidiabile. Io ci volevo andare per un altro motivo, fanno le chele di granchio fritte da favola. Certo, se lo dicevo, ero la solita capricciosa, quindi trovavo tutte le scuse più assurde,  per convincerle ad andare lì. Qualunque fosse la loro decisione, non era un problema, io mi accontento di tutto, l’importante non è cosa mangiare, ma con chi mangiare.