Il problema dell’insegnamento della Fisica e delle Scienze in Italia
Sul paradigma “so, quindi so insegnare” si è retta secolarmente la Didattica universitaria (che formava anche nuovi docenti) e la didattica nelle scuole medie superiori. Questa “filosofia” è passata indenne attraverso i Ministeri retti anche da uomini di Scienza come Carlo Matteucci e Orso Mario Corbino e il Ministero di Giovanni Gentile che perfeziona nella scuola quella splendida struttura piramidale che resse, in parte, persino al ’68 italiano. Struttura che poneva al vertice l’Università, i presidi dei Licei che “ispezionavano” i colleghi di Istituti “inferiori”. Gli “annuari” dei vari Istituti dal 1922 al 1932, se non sbaglio gli estremi, sono ricchi di notizie su quanto sopra affermato. Negli anni ’60 il modello gentiliano, parzialmente sopravvissuto, si adegua ai tempi nuovi e la struttura piramidale accorcia, all’apparenza, le distanze dal vertice. Ma veniamo al nostro tema. Dopo due articoli sulla “Didattica” di due Fisici – Quirino Majorana ed Enrico Persico – molto interessanti perché dimostrano che il problema della trasmissione del sapere c’era per la Fisica, ma solo per confronto con la Germania dell’epoca, viene proposto negli anni ’60 il progetto P.S.S.C. (Physical Science Study Committee) che dà una scossa parziale all’insegnamento della Fisica. Una scossa parziale perché limitata a soli pochi “Licei Pilota” e, di fatto, inadeguata alle prove di verifica dell’allora “Esame di Maturità”, a meno che non fossero nominati commissari appositi. Insomma, in una sintesi che può accogliere eccezioni, la solita sperimentazione “per moda” e non per convinzione. Fortunatamente i celebri film che corredano il progetto sono ancora in uso e, anni fa, riediti da Zanichelli in versione DVD. Comunque il “vedere, toccare e misurare” non compare né nei testi delle scuole medie (si inizia dal “Big Bang”), né nei tipici testi di Liceo (tranne la coraggiosa edizione del celebre Halliday-Resnick da parte di Zanichelli). Si tocca, si vede e si misura in un Liceo? No, sicuramente, e per svariati motivi, primo tra i quali l’inadeguatezza delle ore di insegnamento (in parte “sanata” nei Licei Scientifici). Il problema della Didattica della Fisica viene ripreso da Giulio Cortini nel 1976. Una prima risposta è rappresentata, in quegli anni, dai “seminari didattici” e dalla istituzione dell’indirizzo didattico del corso di laurea in Fisica. Ma questo “indirizzo didattico”è qualcosa in più del vecchio e abolito corso di laurea in “Matematica e Fisica” finalizzato prevalentemente alla formazione dei futuri docenti? Giulio Cortini vede nel problema “formazione e aggiornamento” dei docenti un anello di una catena che va spezzato. L’Università non fa che offrire altro che la “lezione cattedratica”, la stessa che gli insegnanti da essa formati propinano ai propri studenti i quali diventati studenti universitari riproducono in parte il ricambio generazionale dei docenti universitari. Nel “ciclo delle incapacità” di G. Cortini non si tiene conto che tutto si evolve nel tempo, seppure con lentezza. L’anello da spezzare è evidentemente, quello dall’Università al docente di scuola media. La ricerca in Didattica, anche ai fini della formazione dei futuri docenti, è vista come un “lusso” sia per gli universitari (accademicamente dequalificante?) e ancor peggio per i docenti della scuola. I primi per mancanza di finanziamenti (la solita solfa) i secondi perché senza alcuna incentivazione (scuola che appiattisce docenti e discenti). L’anello da spezzare nel “ciclo delle incapacità” è proprio quello della formazione degli insegnanti. Ma chi, meglio degli insegnanti, conosce nella concretezza i problemi della Didattica? Sicuramente non quel professore (universitario) di un “seminario didattico” che, con la figlia in un Liceo Scientifico, ignorava il numero di ore in cui la figlia imparava Matematica e Fisica … Il ciclo delle incapacità è, a tutt’oggi, da spezzare. Qualcuno ha qualche buona idea?