Italia, Paese senza bussola!

Giuseppe Lembo

I mali d’Italia, purtroppo, sono tanti e profondi. Sono mali dovuti al grave fatto che non esiste un sistema Paese; non esistono quegli equilibri tra le diverse sfere del vivere d’insieme, per cui tutto se ne va a ruota libera. Non si riesce a dare, come veduta d’insieme, un vero senso alle cose; non si riesce, soprattutto e prima di tutto, a creare rete umana, senza la quale non si va da nessuna parte. Tutto è egoisticamente fine a se stesso; manca la necessaria centralità dell’uomo. Il mancato funzionamento del sistema paese, nella sua azione di insieme è ben visibile nella competitività che non c’è e nella crescente e diffusa crisi di sviluppo economico e sociale. Perché siamo ad una profonda e non facilmente risolvibile crisi del nostro sistema Paese? Perché il nostro è un Paese ammalato di uomo; si crea tanti problemi che poi non sa come risolverli. Il nostro Paese è parte di un malessere molto ampio; oggi si vive in una crisi mondiale dalle enormi proporzioni. Alla base c’è, prima di tutto, lo smarrimento dell’uomo che, suicidandosi ha ricercato come prioritario il mondo dell’apparire, del possesso delle cose, del godimento consumistico, del sè gaudente sempre più indifferente all’essere, ai valori dell’essere che sono stati, sono e saranno elementi portanti dell’uomo di tutti i tempi e sono fondamentali anche per la realizzazione di obiettivi socialmente desiderabili, senza mai snaturare i presupposti dell’insieme sociale, quali il reddito, l’occupazione, la salute, la conoscenza, l’equità sociale, il contenimento della disuguaglianza. Obiettivi allargati in una visione da Paese-Mondo sono l’istruzione per tutti, le risorse mediche per chi si ammala, l’atto umano assolutamente dovuto di fornire il cibo a chi non lo ha e quindi il diritto alla sussistenza, alla vita sempre più spesso negata per effetto dei crescenti egoismi umani. Perché in tutte le parti del mondo si producono ancora cannoni ed armi di distruzione e di morte e non si risponde alla domanda di cibo per i tanti che muoiono di fame? Nel sistema paese, nel sistema mondo, prima di tutto, va eliminata l’anomalia della violenza contro i deboli; per questo, vanno riempiti i granai e svuotati gli arsenali. Una parola magica nella vita italiana e non solo italiana ma del mondo, è la parola “PIL”, ossia la misurazione di ciò che un paese produce in termini di ricchezza e di potenziale produttivo per tutti i possibili obiettivi; purtroppo, non solo di quelli socialmente ed individualmente desiderabili, quali beni e servizi, utili al vivere civile, ma anche di quei prodotti con un alto potenziale produttivo (quale la produzione dei cannoni) che hanno effetti umanamente e socialmente devastanti. Il PIL ha una sua indiscussa centralità come obiettivo della politica economica; un obiettivo senza se e senza ma, da raggiungere a tutti i costi e senza preoccuparsi di quello che il suo raggiungimento può significare in termini di sofferenza antropico-sociale, sia individuale che d’insieme sociale. Il PIL è una grandezza economica fine a se stessa e come tale non va correlato ad altro che ai soli obiettivi da raggiungere. Nel sistema economico misurato dal PIL prodotto al primo posto troviamo gli Stati Uniti; seguono la Cina, il Giappone, l’India, la Germania, la Francia, la Russia, il Brasile e l’Italia. Oggi la visione del mondo ed i rapporti sia tra i popoli che all’interno di ciascun popolo, è fortemente basata sui principi etici rapportati alle conseguenze che possono determinare nei diversi interessi privati e sociali che convergono nella determinazione dei processi in corso d’opera. L’economista Amartya Sen (premio Nobel per l’economia nel 1998), introducendo il concetto di risultato complessivo, ha proposto una sintesi fra processi e risultati; una sintesi, a suo dire, problematica ma necessaria. È importante saper tenere conto non solo di “quanto” si produce, ma anche di “come” si produce. L’obiettivo del produrre di ogni Paese deve tendere a considerare l’utilizzo del potenziale produttivo che è quello della centralità, della qualità del patrimonio delle risorse umane disponibili, finalizzate a produrre essenzialmente beni per migliorare il livello di benessere dei cittadini e non diversamente, come la produzione di cannoni che producono distruzione e morte. È importante non trascurare la sostenibilità come parte degli obiettivi socialmente desiderabili; in questi va necessariamente compresa la valutazione riguardante il futuro dei figli e dei loro figli. Tutto occorre, per scelte politiche sagge e non da rapina ad opera della schiera crescente dei tanti ladri di futuro pericolosamente in agguato. Per l’obiettivo di costruzione del futuro bisogna avere un ruolo da protagonisti con una capacità di saperlo costruire e non starsene immobili guardando con fare contemplativo solo al passato. Bisogna agire con grande equilibrio evitando di consumare troppo; la saggezza individuale e d’insieme è data dall’utilizzo al meglio del potenziale delle risorse da finalizzare al miglioramento della qualità della vita, fortemente legata alla qualità del sistema produttivo. La qualità, nel nostro Paese come altrove, è un concetto dinamico; si evolve con l’evolversi della società. L’economia della qualità è un traguardo da dover necessariamente raggiungere; per questo non basta solo fare meglio ciò che facciamo; è importante riflettere attentamente sui potenziali di sviluppo e su quegli effetti sinergici che legano la dimensione produttiva alla dimensione della domanda. La qualità si rapporta direttamente al livello di cultura e di informazione; più è alto tale livello, più è alto il livello della qualità. Da tutto ciò ne consegue un effetto sviluppo dell’economia della qualità, fortemente legato al capitale umano che armonizza il rapporto domanda e offerta; nessun intervento parziale e unilaterale potrà sortire alcun effetto apprezzabile. La qualità ha bisogno di regole trasparenti e di comunicazione in grado di innescare un meccanismo virtuoso di crescita dell’economia e non solo dell’economia, ma del più generale livello di qualità del vivere. La qualità cresce se c’è un sistema in cui il livello di informazione, sia tale da permettere di scegliere correttamente.