Conosciamo i Balega (Congo Rd): vita familiare e figli

Padre Oliviero Ferro

Il matrimonio presso i baLega ha il solo scopo della procreazione, la finalità dell’unione tra uomo e donna. Il vero amore che porta anche a dimenticarsi, per far felice la controparte, non esisteva e non esiste. Nella migliore delle ipotesi c’è il rispetto tra i due, anche se il marito fa sempre la parte del leone, essendo il vero padrone di casa e la donna, il campo che ha “comprato”, la sua serva. L’importante quindi è far figli, e tutti i figli usciti dal seno della moglie saranno proprietà assoluta del marito. In caso di divorzio, il problema dei figli non viene nemmeno considerato: “il campo” non ha nessun diritto sui frutti. Figlie e figlie sono ugualmente graditi, anche se il maschio è il più desiderato, in quanto, quando “un uomo ritorna a Dio, lui rimane al posto della sua testa, al posto del suo nome”. Ugualmente preziose e ambite sono le figlie, per via della dote. La donna che genera nella foresta doveva rimanere là con la sua creatura per la durata di sette giorni, “finchè non fosse guarita”. Attualmente non si va più sia perché qualche bestia feroce può comparire, sia perché si sono diffuse le maternità. La nuova creatura nascerà sempre in una capanna che non sia l’abitazione dei genitori. In quella capanna dovrà restare dai due ai quattro giorni, dopo di che le donne anziane che l’hanno aiutata nel parto, lavano il bambino e, ricevuto il compenso per il loro prezioso lavoro (una capra), accompagnano la mamma e il bambino a casa della suocera, dove rimarrà finchè il bambino non “cammini sulle quattro zampe”, kùkula. La suocera e la nuora conducono la vita in comune accordo, aiutandosi in tutti i lavori della casa. Il padre della nuova creatura non può entrare là dentro, né usare della moglie finchè il bambino non ha raggiunto l’età di due anni, quando cioè il bambino può già rendersi utile con dei piccoli servizi, come andare a prendere il fuoco per accendere il tabacco del nonno paterno o portargli l’acqua da bere. Allora la moglie e marito possono di nuovo dormire insieme e iniziare così una nuova maternità. E’ compito della nonna materna stabilire se il tempo è maturo. Ei prende il bambino, lo mette a terra con forza e vedendo che è ben cresciuto e che è robusto dice al genero che può di nuovo avvicinare la moglie. L’uomo, nel frattempo, se non è poligamo, deve osservare la più scrupolosa castità coniugale.   Se un bimbo nasce ma muore subito dopo il parto, si ritiene che non abbia lo spirito, perciò nessun pregherà il suo spirito. Però non è un uomo, non gli hanno dato la possibilità di essere uomo. Se avesse ricevuto l’umtu, l’umanità, non se ne sarebbe andato così in fretta. E’ nato perché non poteva restare oltre nel ventre materno, ma non era un bimbo che poteva vivere: è satana che gli ha tagliato la vita. Se un parto si presenta difficile, il solo motivo è che il marito o la moglie si sono comportati male, fuori del matrimonio. Per questo, in caso di difficoltà nel parto, le donne anziane fanno pressione sulla partoriente, anche con percosse e maltrattamenti, perché sveli il suo passato, cos’ che si possono preparare medicamenti per il caso e permettere al bimbo di nascere; in caso contrario, madre e figlio saranno condannati a morire. In modo simile, gli anziani circuiscono il padre di quella creatura affinchè dica la verità e venga scongiurato il pericolo della morte della madre. Qualora il padre confessi, il pericolo può essere scongiurato con l’uso di medicine locali apposite. Se invece il padre voleva conservare il suo segreto, la morte della moglie sarebbe stata inevitabile e il bambino necessariamente restava orfano,pindi. Quando una donna muore di parto, il pianto non è generale, ma solo dei membri della famiglia. Il marito deve kutosha  huzuni, iliyò, cioè vincere la tristezza, presso la famiglia della sposa. Si adempie a questo, portando una capra e due mizaba, perché una loro figlia è morta con tutte le sue forze ed era morta “tra le sue gambe”. Ora, se aveva lasciato degli orfani, il padre della morta darà al vedovo un’altra figlia per custodire i figli della sorella e come seconda moglie, e ciò senza versare un’altra dote:l’iliyò è sufficiente. Qualora la morte fosse avvenuta al primo parto, il vedovo darà quanto sopra, senza aver diritto a un’altra moglie. Se la donna muore prima ancora di dare alla luce la sua creatura, non può essere sepolta ancora gravida. E’ morta lei e il suo bambino con lei. Si separa la donna dalla sua creatura così da seppellire separatamente madre e figlio. Qualora non si rispetti questa usanza, tutta la regione diventerebbe un luogo maledetto. Il re e gli altri non avrebbero più potuto nutrirsi del cibo di quella regione. Infrangere tale usanza sarebbe come “mangiare quella stessa maledizione”. Il medesimo pericolo sarebbe caduto sulle altre donne e sugli uomini, soprattutto il pericolo di non avere più figli. Seppellirli insieme sarebbe come seppellire insieme un’intera famiglia e tutte le famiglie ne patirebbero danno. Incaricate dell’operazione di “sventramento” sono solo le donne anziane, già mamme di numerosi figli, che abbiano superato l’età della menopausa. Nessun uomo può essere presente. Naturalmente tale lavoro è ricompensato con una capra. Fatta l’operazione, madre e figlio sono sepolti in due fosse differenti. Seppellendoli uniti, le sementi dei campi non darebbero buoni frutti, in quanto il frutto di quella donna non è giunto a maturazione. E poi ci sarebbero due spiriti che lavorano insieme a danneggiare la vita: quello del bimbo sarebbe fatto crescere dalla madre per far del male insieme. Se invece il parto si svolge in condizioni normali, il nonno è al colmo della gioia nel vedere che suo figlio ha un erede e lui è ancora vivo. Il nipote porta sempre il nome del nonno e quando questi muore il suo nome rimane ed è come se dicesse “tu sei il tale” e colui che è morto è come se venisse chiamato perché il suo nome è rimasto. Il suo nome non termina, non è distrutto, ma rimane nella testa di suo nipote dove non può perdersi e continua a vivere:ecco perché il nonno e il nipote sono considerati una sola persona. La nonna considera suo nipote come suo marito e così si chiamano. Ad essi tutto è lecito, tutti gli scherzi sono ammessi, eccettuato il comportamento come se fossero marito e moglie. Questo perché è figlio di sua figlia, la quale non avrebbe generato se io non le avessi dato la vita. Per questo il nipote è considerato come suo figlio. Una volta cresciuto, il figlio non potrà mangiare con il padre finchè non sia pari a lui, cioè finché anche lui non abbia preso moglie e non abbia una sua casa. Allora la madre, preparando il cibo, farà un piatto unico per i due uomini che mangeranno a parte, da soli. La sposa mangerà con la nonna e i bambini tra loro. Si dà inizio a una nuova famiglia per poter avere una discendenza. Se la sterilità è un dramma, una grande disgrazia è anche vedere che i figli, uno dopo l’altro, muoiono in tenera età. In tal caso si ricorre al mukila, il guaritore, per conoscere la causa di tale disgrazia: se sia colpa della donna, se il matrimonio è stato ben fatto, se da parte della famiglia della donna ci siano lamentele riguardo alla dote. In quest’ultimo caso, se manca ancora qualcosa per completare la dote, il guaritore sentenzierà e la famiglia del marito eseguirà minuziosamente. Una donna, madre di molti figli, è molto considerata e rispettata. Le è persino permesso di entrare nella baraza, il luogo di consiglio degli anziani, anche se solo come uditrice. Il suo orgoglio è di aver dato al suo uomo una copiosa discendenza. Non ha praticato stregoneria, né ha ucciso i suoi simili, perciò, quando se ne andrà, sarà sepolta con ogni rispetto. (ma è sempre una donna!)