Conosciamo i Balega (Congo Rd): l’iniziazione maschile (il Kimbilikiti) (1)

Padre Oliviero Ferro

L’iniziazione maschile è una tradizione comune a tutta l’Africa bantu, soprattutto nelle tribù che vivono nella foresta. L’iniziazione maschile custodisce il segreto della continuità e della solidità di tutte le leggi e le tradizioni di queste tribù. Era una scuola di vita, nel senso più ampio del termine, ma era pure un’introduzione a tutti i valori più importanti per l’identità di tali tribù. L’iniziazione si svolge nelle segretezza della foresta, lontani dal villaggio. I Balega sono un popolo che è vissuto e tuttora vive a contatto con il mistero della foresta, dalla quale trae tutto quanto è necessario alla vita. In passato si rimaneva nella foresta per un periodo di due anni: si piantavano i banani e se ne mangiavano gli ndjelu, i frutti; si piantava manioca, arachidi e fagioli. Tornando a casa, si trovavano le abbondanti provvigioni che, nel frattempo, ogni mamma del mutende, l’iniziato, aveva preparato: kokoliko, semi di zucca, fagioli, arachidi e carne. Una volta tornati al villaggio, si dava fondo a tutto, poiché, dopo tale dura esperienza nella foresta, i batende avevano diritto a tutto quel ben di Dio. In seguito, il tempo di permanenza nella foresta si è ridotto fino a due mesi o persino a un solo mese, ai nostri giorni. Questo progressivo ridursi del tempo di permanenza nella foresta si deve, principalmente, alle grandi limitazioni imposte dai colonizzatori, che mal tolleravano tali movimenti segreti. Un altro fattore fu la  presenza sempre più importante della chiesa cattolica che, con l’introduzione delle scuole in ogni luogo e dato l’obbligo di frequenza, ha fatto sì che l’iniziazione si limitasse al periodo delle vacanze. Inoltre, le organizzazioni religiose innescarono una lotta contro tale iniziazione, giudicata (secondo giudizi parziali e preconcetti) una scuola d’immoralità.  “L’iniziazione era per i nostri ragazzi, come fu per noi, un’autentica scuola in cui i partecipanti potevano sviluppare la loro intelligenza, da un punto di vista quasi esclusivamente pratico e apprendere tutti i segreti e le tradizioni della nostra tribù”. Si noti l’assenza di preoccupazioni spirituali da parte degli organizzatori, essendo tutti squisitamente pagani. Comunque non mancavano di una certa sensibilità. In momenti di grande tensioni nella diocesi di Uvira riguardo al kimbilikiti, dice padre Giulio (che ci fa conoscere questa tribù), ho chiesto il permesso ai Bami e ho ottenuto di inviare ogni domenica presso i batende un catechista, già iniziato, per l’ibada, la cerimonia domenicale, almeno per i cristiani che poi erano la quasi totalità. Il kimbilikiti era più che altro un’occasione di educazione alla vita, nel senso più ampio del termine: si camminava sotto la pioggia, ci si arrangiava a dormire come e dove si poteva, si stava senza mangiare per uno o più giorni; si imparava tutto quanto riguardava l’educazione sessuale con esperimenti pratici. Inoltre, i responsabili addestravano i batende, gli iniziati, alla lotta; si imparava a costruire una casa, a coltivare i campi e a mettere ogni sorta di trappole; a pescare, a fuggire per chilometri e chilometri di notte e di giorno, a preparare, fare e cercare di vincere la guerra. Era un periodo di vita spartana, nel senso più vero del termine. Si doveva vincere la paura: durante la notte, si andava e si tornava da Mwenga a Bilalombili, da soli, camminando per 10 chilometri. Si viaggiava con la lancia in una mano e il mukùsu o mwelè, una sorta di coltellaccio, nell’altra. Se uno riusciva a vincere la paura, era giudicato un uomo maturo.