“Orizzonti di Mezzanotte” di Ingenito 25° 4 agosto 2011, giorni:-38

    Dal Capitolo 25 Scorciatoia per l’Apocalisse   Parte prima Inizi di giugno 2003 Market Square, Cambridge- Il Don Pasquale a Cambridge è un ristorante-bar italiano centralissimo, quasi ad angolo tra il celeberrimo e civettuolo vicoletto di Rose Crescent e Market Square. Servono buoni cibi, a prezzi più contenuti rispetto alla concorrenza. Negli ultimi tempi, almeno, un buon trenta per cento in meno sulle consumazioni e sulle pietanze di qualsiasi genere incoraggiava gli abitués ad affollare quel triangolo di spazio esterno, privilegiato in quel periodo da un sole permanente ed eccezionale. Il locale era a tre piani. Un ristorante nell’interrato, riservato alla clientela giovanile, e uno al primo piano, per quella più matura e raffinata. Al piano terra, invece, c’era il bar, con servizio prevalentemente all’aperto. I sei giovani studenti arabi si godevano il sole dalle quattro del pomeriggio, in piena libertà e completamente rilassati. Come tanti, erano anche loro, ormai, frequentatori abituali del noto locale. Tra i primi a rendersi conto dei nuovi prezzi, tra i più affezionati ad approfittarne. In realtà, se la passavano bene lo stesso, come la stragrande maggioranza dei giovani stranieri.In quella città, tra giugno e agosto soprattutto, si trasferisce la crema della gioventù internazionale. Dalla Cina, nuova potenza industriale del mondo, al Giappone, dai paesi arabi a quelli sudamericani, all’Europa, i ricchi rampolli del mondo che conta studiano a Cambridge per imparare o perfezionare l’inglese, in qualche caso anche per laurearsi. Soprattutto d’estate, i grandi miliardari e benestanti del mondo trasferiscono i propri figli nelle più famose località universitarie inglesi, per consentire loro un’adeguata formazione nella lingua franca. Anche quei sei facevano parte del giro. Affabili e cordiali, avevano sì e no venti, ventidue anni a testa. Dai toni confidenziali delle loro discussioni, esprimevano un’amicizia reciproca, forte e ben radicata. Seduti intorno a due tavoli l’uno accanto all’altro, nessuno beveva alcolici. Lo facevano sempre, a Cambridge. Ma quella volta no. Nell’invidiabile calore pomeridiano, un’atmosfera speciale aleggiava intorno a loro. L’avvertivano tutti, senza parlare, senza dirselo. Diversamente dal solito, si sentivano spiritualmente uniti, compatti e solidalmente legati all’Islam, alle sue tradizioni, alle sue leggi. Guerrieri di un mondo violato dagli infedeli, che da anni insultavano, violentavano, occupavano, conquistavano, distruggevano terre e paesi della loro civiltà, della loro tradizione, della loro religione. Lo spirito di una missione che stava per cominciare rinsaldava in loro l’appartenenza alla causa comune. Non erano stati arruolati come i martiri destinati a morte certa, come uomini-bomba, kamikaze, cioè, pronti a farsi saltare in aria un istante dopo avere ricevuto l’ordine di morte. Il loro compito non sarebbe stato meno duro, fino a non escludere il sacrifico supremo. Ma secondo modalità e forme completamente diverse, meno eclatanti e molto più sottili. Consumarono cappuccini e tazze di tè in grande quantità, accompagnati da dolci e gelati. L’appetito c’era e si vedeva. Con grande soddisfazione di Donato. I sei continuavano a mantenere un’aria distratta e sorridente. Sembravano divertirsi. Parlavano in arabo, senza preoccuparsi della presenza di eventuali curiosi o estranei in ascolto. L’intelligence inglese aveva già preso le necessarie precauzioni su tutti gli arabi, uno per uno, residenti nel paese. Scotland Yard sapeva ogni cosa di loro, dei loro genitori, delle loro famiglie. Fin nei minimi particolari. O quasi. Era tutto in ordine, così appariva almeno, senza che nessun problema tormentasse più di tanto i servizi di sicurezza, nonostante che la persistenza dell’allarme mondiale su infiltrati islamici legati al terrorismo internazionale e il conseguente stato di allerta fossero molto alti. Eppure, i sei giovani facevano parte di un’organizzazione segretissima, quella dei fratelli della fede. Reclutati nelle scuole in gran segreto, non oltre i diciassette anni, e direttamente dai capi spirituali delle moschee, li univa, ad insaputa dei genitori, il “giuramento della morte”. Avrebbero combattuto contro gli infedeli, senza mai rivelare chi fossero, da dove venissero, perché lo facessero. In ogni parte del mondo. Avrebbero ricevuto in cambio, tra l’arruola-mento e fino ai venticinque anni, una formazione gratuita nelle migliori università del mondo occidentale. Una la prerogativa. Appartenere a famiglie ricche ed influenti. In altre parole, alle radici nobili della terra. Era questo il viatico che li rendeva membri di diritto di una ristrettissima schiera di eletti, in cui si identificava la vera aristocrazia araba. Quella che, per tradizione, condensava in sé i valori della spiritualità islamica e, insieme, della discendenza e dell’appartenenza alle più nobili caste e tribù. Nessuno avrebbe mai dubitato di loro. Servizi segreti o polizie del mondo avrebbero potuto individuarli facilmente in qualsiasi momento, ma mai sospettarli, proprio in considerazione delle loro origini e delle loro condizioni. Uno solo l’obbligo. Qualsiasi missione nel mondo loro richiesta a livello operativo avrebbe dovuto essere compiuta senza rifiutare. Tranne quelle cruente dei martiri della fede, degli shaid, pronti ad azionare le bombe a mano infilate nella bandoliera e a trasformarsi essi stessi in esplosivo umano, facendosi saltare in aria insieme con infinite vittime innocenti. Una la punizione in caso di cedimento o di rifiuto: la morte. (…)