“Orizzonti di Mezzanotte” di Ingenito 28 luglio 2011, giorni- 45

 Dal Capitolo 5 Karachi, Pakistan 24 settembre 2002 Il volo per Karachi fu lungo ed estenuante. Una volta giunto nella capitale pakistana, Ahmed fu investito da una calura insopportabile. L’umidità era altissima, nonostante i violenti acquazzoni dei giorni precedenti. Superati i controlli assai severi, il “commerciante” siriano lasciò tranquillamente la zona degli arrivi e si diresse verso l’uscita. Notò l’auto parcheggiata lungo il marciapiede, una Mercedes nera con il portabagagli inserito sul tetto. Riconobbe l’autista dallo strano copricapo. Somigliava ad una coppola siciliana più che ad un turbante. Era il segnale di riconoscimento convenuto. Mahmoud aveva fatto un buon lavoro. S’infilò nel taxi dotato di un raro impianto di aria condizionata, una vera benedizione per quella città caotica e impolverata. Senza dire una parola, l’autista partì, sgattaiolando con estrema disinvoltura nel traffico impazzito. Evitò un paio di mucche al centro della carreggiata e si immise lungo una strada che menava direttamente alla zona residenziale della città. Ahmed ricevette l’accoglienza degna di un capo. La grande casa, preceduta da un ampio viale, sarebbe stata la sua dimora per l’intera durata del soggiorno. L’ayatollah e due capi tribù lo abbracciarono, con emozione quasi, consapevoli del ruolo e del rischio dell’audace missione che il fratello di Damasco avrebbe compiuto per difendere la causa araba contro i traditori. Per quella missione era volato fin lì. Lì avrebbe ricevuto tutto il sostegno necessario. L’incontro fu cordiale, ma breve. — Il nostro paese è stato venduto agli uomini che incarnano il male in terra, agli americani! — esordì, anche a nome dei presenti, il vecchio ayatollah, con toni pacati, ma con sguardo ribelle. — Noi stessi siamo ora privi della libertà di movimento. Seguiti, controllati, imprigionati. Confidiamo solo in Allah e nel nostro grande capo, l’imam degli imam. Il nostro fratello riceverà aiuto e solidarietà, ogni qual volta ce lo chiederà. Insh’Allah! — Insh’Allah! — replicò con rispetto Ahmed.— La tua missione, fratello, è molto rischiosa. Certa nell’obiettivo prestabilito, incerta nella possibilità di realizzarlo. Ma il nostro grande imam vuole che l’azione sia preparata in ogni modo e che sia predisposta per essere attuata al momento opportuno. Anche a costo di investire inutilmente le ingenti risorse richieste, se il progetto dovesse fallire.— È vero. — confermò Ahmed. — Non abbiamo la certezza che il grande infedele agisce secondo i piani che, indirettamente, ci sono stati svelati. Tuttavia, ho motivo di ritenere che, con l’aiuto di Allah, compirà lui stesso il passo falso, che lo porterà alla morte.— Con i grandi fratelli di Karachi e sulla base delle notizie forniteci direttamente dal grande imam, è stato già studiato il progetto di massima per la realizzazione del tuo audacissimo piano. Le risorse da investire sono effettivamente notevoli, ma non mancheranno. Abbiamo bisogno dei dettagli tecnici indispensabili, che tu stesso illustrerai. Una squadra di uomini pronti a sostenerti fino al sacrificio finale è già stata allertata. Hanno le competenze giuste e sono in arrivo da altri paesi fratelli per l’addestramento finale. Esattamente così come tu disporrai. Domani riceverai una visita importante. Tra due giorni incontrerai gli altri, per la definizione dei particolari di questa grande azione di liberazione da uno dei più pericolosi infedeli e nemici dell’Islam. Con l’aiuto di Allah. Allah è grande! Ahmed s’inchinò. Il suo sguardo era meno tenebroso del solito. Per la seconda e ultima volta, seguì l’abbraccio tra i tre vecchi e l’uomo di Damasco. Poi scomparvero, con la stessa auto che aveva trasferito Ahmed dall’aeroporto.A sua disposizione rimase solo il personale della villa: due camerieri, un cuoco e un giardiniere. Nessuno avrebbe sospettato le ragioni della presenza di un ospite del pacifico ayatollah di Karachi. Il giorno seguente, l’armatore giunse alla villa con qualche minuto d’anticipo. Indossava l’abito tradizionale pakistano, di tessuto pregiato, con un turbante bene avvolto intorno al capo. Non superava il metro e mezzo d’altezza e aveva poco più di sessantacinque anni, nonostante l’appariscente tintura nera dei capelli, ben visibile specie dietro la nuca. La strana conformazione da nanerottolo, gambe e piedi corti rispetto al torace e al resto del corpo pressoché normale, e l’a-nonima espressione del viso, non piacquero ad Ahmed, che lo ricevette subito. Avevano molte cose da dirsi, da programmare, da concordare.— Benvenuto in questa casa. — esclamò l’ospite.— Benvenuto a te, fratello Mohammed Al Jafar. — rispose il nuovo venuto, inchinandosi profondamente dinanzi al commerciante di riso, di cui gli aveva parlato nei giorni precedenti il proprietario della villa, il vecchio ayatollah di Karachi.— La nostra missione è fondamentale per la causa dell’Islam. — esordì Mohammed Al Jafar, tanto per saggiare disponibilità e consapevolezza del ruolo da svolgere da parte dell’armatore. — Fallirà senza il sostegno di chi dovrà contribuire a realizzarla.— Sono pronto ad ascoltarti e ad esaudire ogni tua richiesta,così come mi è stato ordinato. E come farò! — aggiunse con espressione decisa il nuovo venuto.Mohammed Al Jafar seguì i suoi movimenti senza scomporsi, prima di rivelargli la parte del piano in cui l’uomo sarebbe stato coinvolto.— Formalmente, il carico di riso partirà da Karachi per la Germania. — esordì. — Le soste da prevedere saranno minime. La destinazione finale è Amburgo.— E poi? — soggiunse l’armatore. Il suo nome era Suey Bin Talali. — Da lì, via terra, il carico giungerà a Berlino. Ma questa seconda parte del viaggio non ti riguarda.— Quali sono le soste previste? — Ufficialmente Egitto, Italia, Gibilterra, Spagna e Francia. Le autorità marittime internazionali saranno informate del piano di navigazione al momento debito. — In quali dei porti di quei paesi dovrà sostare la mia nave? — Lo saprà a tempo debito il comandante della nave stessa. — interloquì bruscamente Mohammed Al Jafar. — Una volta in Germania, cosa accadrà? — aggiunse Talali, non senza preoccupazione.— Anche questo saprai a tempo debito. — replicò l’uomo di Damasco. — E l’equipaggio? — insistette, ancora più preoccupato, l’armatore.— A quello penseremo noi. — rispose deciso il commerciante. Poi aggiunse:— È gente fidata, professionisti del mare, fratelli di sicura fede. Sapranno sostituire al meglio i tuoi marinai. — concluse, rivolgendogli uno sguardo truce e intimidatorio. La mossa ad effetto ebbe successo. Suey Bin Talali non osò replicare. Bisbigliò soltanto:— Sarà sicura la mia nave? — Una sola cosa è sicura. La lotta che i fratelli dell’Islam conducono nel mondo. Per la mia e per la tua stessa sopravvivenza! — gli rispose seccato il commerciante. Il piccolo uomo, in visibile conflitto tra gli ideali della causa e il proprio interesse a rischio, preferì non replicare. Rinunciò a capire il nesso esistente tra un trasporto di riso dal Pakistan alla Germania e la causa islamica, per la quale veniva chiesto il suo contributo mediante la messa a disposizione di una nave con equipaggio diverso dal proprio. Nella rinuncia, si affidò ad Allah, pregandolo intimamente di non subire danni eccessivi da quella sua partecipazione alla sacra causa islamica. (…)