San Giuseppe lavoratore

don Marcello Stanzione

 Si ha l’abitudine di porre san Giuseppe nell’ombra, il che è falso. Inoltre, nel porre il nostro Santo nell’ombra di Gesù, si raggiunge il colmo, poiché la realtà è del tutto diversa, almeno se ci si attiene all’epoca della “vita nascosta” del Signore. Non parliamo dunque, evidentemente, dei tempi che hanno seguito la Pasqua che reclamano pieni fari su Gesù Cristo, Signore. A Nazareth, in effetti, non è Giuseppe che si nasconde ma Gesù. Ed egli si nasconde esattamente nell’ombra di Giuseppe. O meglio ancora – dato che l’immagine è più pregnante – dietro di sé. Colui che si pone eventualmente in luce per quanto lo si riguarda con preferenza, è Giuseppe, non Gesù. E così è voluto, in connivenza col Cielo e tra i due interessati, perché passi inosservato – o quasi, colui che non si svelerà che una volta giunta la sua Ora, trent’anni e più dopo la sua nascita. La cosa è così evidente che mi meraviglio di non leggerla da nessuna parte e di non averla colta io stesso che molto tardi nella mia vita. Non s’intendeva parlare, è vero, nei riguardi di Giuseppe che del suo silenzio, del suo annientamento, dell’umiltà dell’ombra. E’ un errore! Senza dubbio si voleva affermare con questa presentazione del Patriarca la sua totale abnegazione, ma ciò non era fargli onore mostrandocelo così come un sacrestano di villaggio, scemotto ed insignificante. E questo sarebbe l’uomo che Dio Padre avrebbe scelto per rappresentarlo sulla terra presso suo Figlio? Questo sarebbe l’uomo che la Chiesa ora acclama come suo Patrono? Assurdo! L’umiltà, virtù sovrana in san Giuseppe? Se volete, ma l’umiltà, per essere veramente una virtù, deve accompagnarsi con altre esigenze del dovere di stato. Per l’occorrenza, Giuseppe sarà umile, non già schiacciandosi, ma quando occorre saprà affermarsi, e questo fino alla ferita. Lui che non è il padre carnale, diremmo il padre “normale”, si lascia prendere per tale. A lui gli onori, se se ne rendono ancora ai discendenti di Davide (Sono circa un migliaio ancora in quell’epoca in Israele, dunque ciò non pesa talmente, ma in un villaggio dove tutti lo conoscono, deve essere questo il particolare di oggi!). Quello che noi oggi prendiamo per un mestiere da miseria – carpentiere e qualche lavoretto – non lo è nel contesto del tempo e del luogo, essendo onorato il lavoro manuale finanche dai rabbini, e Nazareth, piccolo borgo, apprezza i suoi artigiani. Come potrebbe essere membro dei nostri consigli municipali oggidì, Giuseppe poteva trovarsi del tutto normalmente in mezzo ai notabili alle Porte della città. Questo vi meraviglia? E’ una cosa del tutto nuova per voi? Non è scritto da nessuna parte nel Vangelo? D’accordo, ma dove è scritto nel Vangelo che san Giuseppe era socialmente inesistente, una sorta di monaco, condividendo il suo tempo tra  la sinagoga e le quattro mura della sua casupola, estraneo alla vita dei suoi vicini e del villaggio? Si è inventato in un senso si può ben inventare nell’altro e con molta più verosimiglianza, mi pare. L’importanza dell’impegno è grande, poiché se la prima figura è veritiera, Giuseppe è certamente un eccellente modello per la povera gente o per i membri degli Ordini contemplativi, ma non dice molto alle altre classi di uomini o di donne, a quelli e quelle che devono guidare chiaramente una città. D’altronde basta constatare  questo disinteresse  generale in mezzo ai nostri contemporanei, fossero anche sacerdoti. Se, viceversa, Giuseppe è stato un uomo rispettabile e rispettato a causa delle sue qualità, se ha potuto tenere il suo posto “come un altro” nella società del suo tempo, se la sua umiltà non è  da porre in un qualsiasi abbassamento davanti agli uomini ma ad una rimessa totale delle sue capacità al servizio di Dio, dimentico di se stesso e non vivente che per il suo compito… allora è un’altra cosa! Egli diventa un modello universale nel compimento esemplare del dovere di stato proprio ad ognuno, brillante o meno. Si potrebbe, certo, concepirlo senza particolare emergenza nel suo villaggio, non attirando la sua casa in modo speciale gli sguardi, vivendo così tutti “nell’ombra”. Ma voi non pensate che la saggezza delle sue proposte quando parlava ai suoi vicini od ai suoi clienti ( e non parlando che di pali da squadrare o di carrucole da riparare!), tutto come, d’altronde, la grazia di Maria sua moglie, dovevano bastare per farne un punto di riferimento? E poi noi siamo in un villaggio orientale dove si vive sia presso il vicino che a casa propria, dove tutti i rumori si sentono, si sa tutto di tutti…o quasi. Decisamente in fatto di vita nascosta per Gesù, amo meglio vederlo nell’ombra che fa davanti a lui un uomo di alta statura, ombra tanto più spessa quanto più è grande l’uomo, per giusto che sia lo scalamento insito tra padre e figlio purché si parli dei due con onore, ma più del primo che del secondo. Devo sbagliarmi comunque su di un punto: se si è dovuto parlare di Gesù a Nazareth nell’epoca della sua vita nascosta, ma non sono sicuro che ciò fosse talmente in bene. Poiché il bambino era cresciuto. Era ora un bell’adolescente, diciotto, venti, venticinque anni…, e non si sposava! E non generava figli per allargare il Popolo di Dio com’era dovere di ogni buon Israelita. E le ragazze si facevano un po’ più belle per lui, come era loro diritto, senza che egli sembrava notarle, senza sollevare uno sguardo, un sorriso, un passo che si rallenta… Se Giuseppe viveva ancora in quel tempo, occorreva ben proteggere suo figlio da alcune note sprovviste di amenità. Similmente Maria… Ma in fondo, ciò non affievolisce la tesi; o meglio, se era solo nel giustificarsi… o nel non farlo… Gesù si poneva in ritiro da se stesso, nell’ombra della critica; oppure che un altro lo copriva con la sua sicurezza. Un altro, sempre lo stesso! E benché ami la connivenza tra due adulti, parlando di cose serie, delle cose del Regno, sapendo ognuno la missione dell’altro e facendo apposta diversione fuori, attirando il primo l’attenzione richiesta perché il secondo possa riservarsi come se l’attendeva! Noi noteremo che quando Gesù si manifesterà infine alla popolazione locale, sarà il generale stupore: “Ma che gli accade? Ma chi si crede? Ma è impazzito!”. Da ciò lo scalino estremamente rivelatore dei parenti ed amici che vogliono farlo rinchiudere (“quia in furore versus est”). Ciò prova bene che non ci si aspettava nulla di speciale da parte sua. D’altronde, da Nazareth, poteva uscire qualcosa di buono? Giuseppe nell’epoca era sicuramente morto. Allora sì, ora si può parlare di annientamento per lui, ma se il suo nome non è più in auge, esso vi fu per tutto il tempo voluto. La sua scomparsa fa parte del gioco stesso della sua presenza. Piena luce sul solo Gesù di cui si sa comunque la filiazione. Occorrerà d’altronde molto tempo ai cristiani, come pure alla Chiesa ufficiale nel suo insieme, per porre correttamente Giuseppe nel mistero della salvezza, colui che doveva fare ombra e non ombreggio, prima di ricevere la piena luce dal Cristo della gloria.“La casa di Nazareth è la scuola dove si è iniziati a comprendere la vita di Gesù, cioè la scuola del Vangelo”: così disse Papa Paolo VI nel corso del suo pellegrinaggio in Terra Santa, nel gennaio del 1964, e da quella dimora di silenzio e di meditazione  in cui l’azione silenziosa di Giuseppe è tutta finalizzata a fare la volontà di Dio, nobilitando la dignità del lavoro fatto in modo redentore della fatica umana e non già fine a se stesso ma volgendolo al suo nobile fine che, piano piano, si comprendono e si fanno proprie le parole di Gesù alla Madre Maria, al Tempio di Gerusalemme: “Devo occuparmi delle cose del Padre mio”. E’ in questo contesto che potrebbe apparire assai strano far parlare San Giuseppe, colui del quale in tutto il Vangelo non è riportata nessuna parola ma, che in quella Casa di Nazareth ‘tutta ha una voce, tutto ha un significato’, e se davvero vogliamo metterci alla sequela di quell’umile e sublime scuola, dobbiamo cogliere tutti i possibili insegnamenti del falegname di Nazareth, dello Sposo di Maria, l’uomo giusto, prescelto dal Signore per essere paziente educatore del Figlio di Dio, anche Lui chiamato a crescere imparando l’arte del carpentiere. Con il suo silenzio Giuseppe ha parlato e continua a parlare a noi oggi. Il suo è stato un silenzio d’azione: un’azione semplice e nascosta nella quotidianità delle normali giornate; una’zione decisa e coraggiosa nei momenti particolari in cui Gesù doveva essere difeso e salvato; un’azione che pubblicamente appare poche volte nei Vangeli, per tornare subito a quella normalità per cui il “Bambino cresceva in sapienza, età e grazia”.L’azione silenziosa di San Giuseppe è tutta finalizzata all’obbedienza alla volontà di Dio, colta nella contemplazione del Mistero. Il suo è il silenzio del povero, del giusto, del semplice, di colui che sa che nel suo cuore parla il Signore, di chi comprende ogni giorno che con il suo lavoro deve, poco alla volta, comprendere e far proprie le parole di Gesù. Tante sollecitudini, tanti esempi per le nostre preoccupazioni, le nostre difficoltà, lotte e sconfitte con giuste vittorie. Per tutto questo invitiamo a metterci con fiduciosa speranza sotto la protezione di San Giuseppe e ad invocarlo, come già insegnava, nel XVI secolo, il Vescovo francese Bossuet: “Con il tuo silenzio parli a noi uomini dalle molte chiacchiere; con la tua modestia sei superiore a noi uomini dai molti orgogli; con la tua semplicità comprendi i misteri più nascosti e profondi; con il tuo nascondimento sei stato presente nei momenti decisivi della storia umana”. Sull’esempio di San Giuseppe, non dobbiamo mai separare l’orazione dalla vita attiva, quasi fossero incompatibili. Pur in mezzo al frastuono della folla, dobbiamo ritrovare il silenzio dell’anima in dialogo permanente col Signore, sapendolo guardare come si guarda un Padre, come si guarda un Amico che si ama alla follia. Santifichiamo l’occupazione stessa e, per mezzo di essa, aiutiamo gli altri a santificarsi. E’ questo l’esempio datoci da Giuseppe, il castissimo sposo della Vergine Madre e Custode del Redentore del mondo.