Tutto sta cambiando in fretta

Giuseppe Lembo

Dall’età della pietra, attraverso l’età del ferro, per una certa parte dell’umanità, si era passati alla felice e godereccia età dell’oro, dove tutto, in termini consumistici, era lecito e funzionale all’assicurarsi ed assumere, un grado elevato di edonismo terrestre, all’uomo di questa ricca Terra, che prometteva e produceva ricchezza per i tanti dell’età dell’oro, alternativa, purtroppo alla povertà dell’età della pietra, per i tanti poveri del mondo, esclusi da tutto, compreso il cibo, necessario per non morire. Ma l’età dell’oro va svanendo nel nulla ed in fretta; il risveglio è amaro.Non siamo all’età della pietra e delle caverne (ancora ci sono i grattacieli), ma siamo certamente, sempre più, all’età del ferro, con un’età edonistica e da “Bengodi terrestre” dell’oro, sempre più alle nostre spalle. Quel segno esponenzialmente positivo, da una generazione all’altra, da un anno altro, è ormai irrimediabilmente e per tutti, un segno in controtendenza verso il basso; è un segno da vera e propria età del ferro, con alle spalle l’età dell’oro e del godimento legato al consumo sfrenato, senza limiti e senza regole etiche, tali da ricordarsi almeno qualche volta al giorno, dell’altra faccia della medaglia, ossia quella povertà del mondo ancora fortemente legata al primitivismo dell’età della pietra. Questo mondo sempre più duale (i ricchi da una parte ed i poveri dall’altra), va accorciando le distanze; non è più tanto, centrale per i poveri della Terra, l’età della pietra. Si affaccia, intanto, sulla scena del mondo da vera e propria “protagonista scomodo”, l’età del ferro, dimenticata dai più della Terra. E si affaccia con forte virulenza nel mondo del benessere che si caratterizzava ed ancora in tanta parte della Terra si caratterizza, come l’età dell’oro, con un consumismo alle stelle, con una domanda sempre più diffusa di beni esauribili, tolti al mondo della povertà, ma non solo a questi. Consumare, significa, tra l’altro, consumarsi e togliere le attese di un futuro più umano e più da vivere con la dignità di uomini veri di una Terra vera ed ospitale per tutti, ai tanti che verranno e che si troveranno sempre più interessati a convivere con il disagio umano, con le difficoltà, con l’inumanità e con il susseguirsi continuo di disastri umanitari in tante parti del globo, da sempre sedotto ed abbandonato, senza avere mai posseduto quella saggezza umana di uomini legati al proprio essere in divenire e non solo e tanto, al proprio sfrenato desiderio di apparire. Se la Terra ci va privando oggi del maltolto e ci riporta ad una dimensione umana che richiama tutti, potenti e non potenti, ricchi e meno ricchi fino ai poveri più poveri, ad assumere una responsabile condizione umana, da uomini saggi, è perché la scena del mondo, fatta di tanti “protagonisti” disumani e vittime anche di se stesse, è perché, tradendo l’uomo, ci si è affidati alla “pazzia” mediatica che ha cancellato, un poco ovunque, la “saggezza”, creando così, situazioni da disastro diffuso, o sempre più disumano e sempre più inarrestabile. Che fare? Prima di tutto interrogarsi e sapersi interrogare. A nessuno, nelle condizioni confuse e senza prospettive di futuro in cui si trova oggi l’uomo della Terra, è dato starsene a guardare e fare finta di niente. Non è proprio più possibile isolarsi ed assumere atteggiamenti da “indifferenti”. L’indifferenza antropica, dovunque essa si manifesta (purtroppo è la padrona assoluta del mondo), è la prima e grande causa del disastro umano, così come emerge ai nostri giorni, in questo inizio di nuovo secolo e di nuovo millennio. L’indifferenza umana, per l’animo umano, è una gramiglia dagli effetti devastanti, da estirpare al più presto e sostituirla con atteggiamenti di un attivo protagonismo umano che portino al dialogo al confronto, in un mondo dove la solitudine uccide e fa dell’uomo, un’ombra che, errando, non sa ritrovare più se stesso e facendosi male, fa tanto male agli altri uomini “silenziosi” ed “indifferenti” della Terra. In un mondo di violenza, di odio, di egoismi e di feroce ostilità nei confronti dell’altro, sempre più visto come un nemico da abbattere, bisogna fermarsi a riflettere per il bene di tutti; bisogna riappropriarsi degli strumenti necessari alla vita da saggi; prioritariamente riprendersi l’etica, come valore personale e come via maestra condivisa. Senza una morale di riferimento dell’uomo per l’uomo, non si va da nessuna parte. Si continua, fino alla fine della strada, verso quel precipizio finale che è la catastrofe dell’umanità, dalla quale se non l’uomo, con le sue mani e soprattutto con il suo cervello ed i suoi valori, nessuno, ma proprio nessuno, potrà salvarci. Il precipizio ci è minacciosamente davanti; sta a noi, come singoli e come insieme sociale, evitare quel disastro umano che, senza appello, porterebbe ad una situazione senza ritorno, per l’uomo della Terra. Questo è quanto non vogliamo! Questo è quanto non vogliono i più! Per evitarlo e dare, da uomini veri, il nostro contributo, esercitando il protagonismo del pensiero del fare nella nostra società di riferimento, dobbiamo uscire dal ghetto del silenzio ed agire per una rivoluzione umana disarmata che, appellandosi alla nonviolenza, porti l’umanità ad amare anziché odiare ed a ricercare le vie della pace, lungo il cammino della pace, dove ci può essere la vera vita dell’uomo e non più i tanti e soli sogni proibiti che porterebbero ad una fine certa e senza appello. Parlare per l’uomo e dell’uomo in tempi, caratterizzati da tanta diffusa indifferenza, non è facile; non è per niente facile, ma è un dovere farlo. È un dovere, non un atto di eroismo; è solo un dovere, nonostante che ci siano “soloni” di tutte le specie pronti ad aggredirti e ad accopparti, per il solo piacere sadico di essere contro l’altro in quanto uomo, quindi come tale, un nemico da abbattere. Non mi preoccupo più di tanto; la via della pace e della nonviolenza la predico, in quanto ci credo e fa parte di me. Anche se non catechizzo nessuno (ma il mio intento non è quello di catechizzare la gente), ma di costruire solo percorsi di un comunicare autentico che facciano crescere culturalmente il sociale antropico individuale e collettivo sia locale che oltre il locale, in un mondo sempre più senza confini, dove al capolinea c’è l’uomo della Terra con le sue ansie, le sue attese , la sua forte umanità per l’altro, un dono della diversità, per l’insieme umano  del mondo globale del Terzo Millennio. È per questo che, ho tanta voglia di scrivere e di scrivere pensando fortemente alla vita degli altri; si tratta di una vita che appartiene a tutti NOI, nessuno escluso.