“Oltre l’incompiuto. Letteratura e Risorgimento per una nuova idea d’Italia”

Le occasioni di riflessione sono il sale del confronto. Occorre contribuire con pensiero ed energie positive al centocinquantenario dell’Unità d’Italia. La letteratura, grande avventura di ricerca e di laicità positiva, lavora con inchiostro di memoria e di futuro all’unica rivoluzione sempre possibile per l’uomo: quella personale.  Nel processo sempre lento che porta a spostare i confini delle proprie cementate convinzioni, la pagina di riflessione, che cuce spaccati di storia e dà voce all’incompiuto che manca al processo unitario, può costituire, insieme ad altre forze, un confronto vero, una agorà per spiriti liberi e alla ricerca di senso. Le  celebrazioni devono essere uno spazio, fisico ma soprattutto morale, per pensare una nuova idea di Paese, cercando nuove ragioni di impegno condiviso. Siamo convinti, e lavoriamo in questa direzione, che questo anniversario possa rappresentare un nuovo innesco capace di metterci in sintonia con i problemi reali dell’identità nazionale, superando la miopia della storiografia di parte. Serve, come sempre, il coraggio di sfidare gli elefanti, le rendite di posizione di chi non ha intenzione di porsi sul sentiero del dubbio, di non vuole andare oltre il recinto costruito da certa epopea che non può rendere ragione del dolore del Sud né spiegarne i ritardi. Far strada a un’Italia responsabile, del resto, è stata anche la lezione del Risorgimento, come moto volto a unificare l’intera nazione italiana. Mettere a fuoco ciò che manca e individuare soluzioni, è elemento di chiarezza per comprendere anche il mancato superamento del divario tra Nord e Sud, svegliando il pensiero di un’altra possibile ripartenza e colmando le lacune culturali che rischiano, alla luce delle più recenti ricostruzioni storiche che mostrano anche le pagine buie, di azzoppare l’ermeneutica di un intero periodo se si continua a tenere nella frastagliata galleria del Risorgimento solo i ‘medaglioni’ dei vincitori. Ieri i nostri padri vollero l’Italia una e indivisibile, oggi vorremmo che memoria e coscienza parlassero con una sola voce perché la coesione sociale non sia più un’utopia ma una strada concreta di costruzione della speranza possibile. Erano pochi, ma cambiarono l’Italia dando carne a un pensiero unitario. Sul loro esempio, congedando retorica e luoghi comuni, abbiamo il compito di ripresentare al tavolo le questioni ancora aperte: un brigantaggio che non è stata delinquenza, il Mezzogiorno tradito, la conquista fatta con il sangue, una necessaria bandiera unitaria cucita però con il dolore di una guerra civile. Si può ancora parlare di un Risorgimento incompiuto? Le età della storia d’Italia sembrano essere attraversate da una “maledizione” che è quella del concetto di incompiutezza. E pur convenendo con Renzo De Felice, pienamente in sintonia, dobbiamo prendere atto che nella continuità storica ci sono stagioni o percorsi non ultimati, non definiti, non conclusi o inclusi nei processi di nazionalizzazione? Ci sono stagioni che si sono esaurite per implosione o per scontri esterni causati sempre da effetti articolati all’interno della stessa realtà politica, storica, ideologica, etica e massonica (se vogliamo), aristocratica, imperiale e monarchica.  Il Risorgimento può essere considerato, ancora oggi, un processo politico che non è riuscito a compiere il progetto che si era dato? È, certamente, un interrogativo che resta. Ma nella continuità del Risorgimento troviamo l’intervento e l’idealizzazione della Nazione nella Prima Guerra Mondiale, la quale ha una sua appendice nelle gesta dannunziane e successivamente nello scontro ideologico tra idea di Nazione e Patria ed estraniazione dalla Nazione in una visione internazionalista che tenterà di svilupparsi nel dominio della Rivoluzione Russa estesa in tutta Europa. Il Risorgimento ha una idea di Nazione. Ma parliamo di un Risorgimento nascente, ovvero di un Risorgimento che si forma dentro i concetti valoriali di Patria unita e in questo senso il ruolo di Giuseppe Mazzini diventa importante e necessario anche se ciò che prende il sopravvento è l’utopia. È un’idea quasi “esoterica” di Patria. Non c’è una storia incompiuta definita a priori. O meglio non si può definire a priori l’incompiutezza della storia. Perché il Risorgimento è storia d’Italia e dentro questa storia ci sono certamente il Garibaldi, il Mazzini, il Cavour, la Monarchia Sabauda, Ferdinando e Francesco con la sua Maria Sofia ma ci sono anche i Cialdini, i Carmine Crocco, la resistenza di Gaeta, Porta Pia e il ruolo del Vaticano. La normalizzazione risorgimentale è incomprensibile se non si riescono a comprendere le varie storie che formano la grande storia. In questo senso la letteratura ha offerto delle voci significative ed ha dato eco, urlo, sguardo alle diverse disperazioni che si sono agitate soprattutto nel Regno di Napoli dopo la deposizione di Garibaldi a Caprera. Il Principe di Salina non accetta di diventare senatore del Regno perché comprende, con il nipote, che tutto deve cambiare affinché  alcuna cosa cambi realmente. Lo dice molto bene  (“il brigante”) Carmine Crocco quando si rende conto che si è combattuta una “guerra” in nome della libertà che ha permesso però di sostituire un re ad un altro re. Il Risorgimento si porta dentro anche una “guerra civile” e non è altra cosa da sé. Ecco perché è necessario andare oltre l’incompiuto per ristabilire sia la “caduta” sia la “reintegrazione” di un processo che consideriamo storico – politico ma è abbastanza articolato in termini culturali. Il binomio Romanticismo – Risorgimento è un altro asse sul quale si poggia la corda del superamento dell’incompiuto per definire una nuova idea dell’Italia. Una nuova idea che ha la sua valenza nel pensiero religioso profondo del valore di Patria. Se non si riesce ad unire religiosamente sul piano di un ideale non resta altro che l’occupazione dei territori. Si spiegano così le tante delusioni di coloro che militavano nelle file garibaldine e subito dopo i vari tradimenti si sono dovuti ricredere. Ma lo stesso Garibaldi non pensava di unire nel nome di una guerra civile. La tradizione religiosa dovrebbe essere l’asse che unisce e non lo spartiacque tra due modelli di cultura. È difficile poter dire se siamo figli del Risorgimento. Meglio sarebbe sostenere che il Risorgimento è nella continuità della storia d’Italia ma noi siamo gli eredi di una tradizione molto più antica che è quella italica, della Magna Grecia, di Dante. Oltre l’incompiuto per capire un’Italia che ha più spiritualità, più valori, più identità. Serve ora un Risorgimento della ragione, inteso come salutare provocazione all’afasia del pensiero unico. Quando si alza il vento forte, recita il famoso adagio, c’è chi alza muri e chi invece preferisce costruire mulini. Queste pagine appartengono alla lezione di pensiero degli uomini del dubbio che preferiscono prendere pietre di speranza. Per macinare il grano di domani.