2 novembre: ricorrenza non festività!

Giovanna Rezzoagli

Nel giorno dedicato alla commemorazione di tutti i defunti, può risultare utile  qualche riflessione, sia per chi possiede la fede in una vita oltre la morte, sia per chi ritiene che la morte rappresenti la semplice fine di un processo biologico. Il sentimento religioso è indissolubilmente legato alla pratica di sepoltura dei morti, e nasce probabilmente nell’uomo preistorico parallelamente allo sviluppo della consapevolezza che la vita ha un suo termine e all’ipotizzarne una sua proiezione oltre. Le prime testimonianze storiche relative al culto dei morti risalgono al Paleolitico, più precisamente al periodo in cui si sviluppò l’uomo di Neanderthal.  Tutte le civiltà, dalle più antiche a quelle dei nostri giorni, sono caratterizzate da una ritualità e da un insieme di tradizioni proprie del culto dei morti. Tutte hanno un comune denominatore: la condivisione mediante una cerimonia, a volte anche estremamente elaborata, del dolore che accompagna la perdita. Il rito funebre è inoltre considerato quasi come un controllo sul fenomeno stesso della morte. L’uomo avverte un bisogno fortissimo di controllo su tutto ciò che non è in grado di spiegare attraverso la ragione, parimenti deve necessariamente convivere con la consapevolezza che la propria vita avrà termine. Fede, speranza, razionalità e irrazionalità in questo contesto convivono e coesistono. Che piaccia o meno, la psicotanatologia studia lo strettissimo legame che l’uomo ha con la morte, nonché le fasi psicologiche che si attraversano necessariamente quando si subisce la perdita di un proprio caro. La psichiatra svizzera Elisabeth Kubler Ross ha definito le cinque fasi di elaborazione del lutto. Lutto in verità inteso come perdita nella sua accezione più ampia. Normalmente ci si riferisce al periodo di lutto intendendo quel lasso di tempo, di durata estremamente variabile, che segue la morte di una persona ed è caratterizzato da intensi sentimenti afferenti alla melanconia ed al distacco. In realtà il lutto è uno stato psicologico che consegue alla perdita di un oggetto significativo da parte di un soggetto, intendendo quale “oggetto” un lavoro, un luogo, una caratteristica della propria vita, ecc. Relativamente alla perdita di una persona cara, l’elaborazione del lutto, ammesso e non concesso che avvenga, avviene attraverso la fase di negazione, proseguendo con la fase di rabbia, con quella della negoziazione, con il periodo depressivo ed infine con l’accettazione dell’evento. Ciascuna di queste fasi può avere una durata temporale molto breve o, al contrario, molto lunga. Poche persone giungono pienamente all’accettazione della perdita. Quando si perde un affetto è del tutto normale rifiutare la realtà, così come è normale provare rabbia per la perdita subìta. La fase in cui tante persone bloccano l’elaborazione del proprio lutto è la terza, quella della negoziazione. E’ la fase del “se”: “ Se io mi comporto in un certo modo allora… “. La fase depressiva precede l’accettazione, è molto delicata perché il soggetto ha compreso la non reversibilità della perdita. Occorre inoltre non confondere l’accettazione con la rassegnazione, quest’ultimo stato d’animo sovente maschera un estremo e perdurante tentativo di negoziazione. Questi, per sommi capi, i passaggi attraverso i quali tutti noi convergiamo, anche senza accorgercene. Il due novembre è il giorno dedicato alla commemorazione dei defunti. Quasi un obbligo recarsi al cimitero con fiori e lumicini. Riflettiamo se è davvero un obbligo, imposto a volte dalle consuetudini, o un momento di vera condivisione tra coloro che hanno una persona a cui hanno voluto bene da ricordare, vale a dire ciascuno di noi. Quando morirono i miei genitori, sulle loro tombe volli una foto che li ritraesse sorridenti, e per loro una frase che oggi il tempo ha semi cancellato ma che, dopo vent’anni, è pur sempre indelebile: “Io vivo così nel ricordo di chi mi ama. La morte non spegne il sorriso. Lo fa brillare di luce nuova”. Chi mi ama, al presente, non al passato. Il due novembre come tutti gli altri 364 giorni dell’anno.

 

 

3 pensieri su “2 novembre: ricorrenza non festività!

  1. Cara Amica Giovanna ,
    Il suo ragionamento fatto sul “ Due Novembre “è quanto mai molto raffinato.
    Ma spesso mi domando: se non ci fosse questo slancio di ricordo, cosa rimarrebbe della specie del’uomo”animale” privilegiato da quella specie di invenzione di “Adamo ed Eva”?
    Il mio povero pensiero mi detta che è immensamente giusto e necessario pensare anche alla morte. Per questo elementare motivo occorre capire anche l’essenza del “2 novembre”. Data che ci fa capire e ci ammonisce sul concetto della stessa morte.. Le religioni, create a piacimento dalla stessa umanità, c’insegnano una miriadi di cose che non sempre vengono recepite.:
    Ricordo che , nel lontano ‘Cinquantacinque , ovviamente dello scorso secolo, mi trovai a servire un gruppo consistente di persone nel grande albergo di Buffalo, N,Y.
    Ero appena giunto in quel Paese e non parlavo neanche la loro lingua. Lavoravo in funzione di bus boy, che significa aiutante cameriere. Mi ritrovai in una sala piena di gente che festeggiava , rideva e si divertiva. Siccome ero appena arrivato in quel paese , non ne capivo il motivo. Me lo spiegò un italo americano. Mi spiegò che quelli festeggiavano la morte di un loro parente. Infatti la loro religione ha il credo di piangere quando uno nasce e di ridere quando si muore. Questa era una cosa che non sapevo . Dico questo per rafforzare il contenuto dell’articolo della nostra Rezzoagli che ci da la possibilità di fare una riflessione sulla morte.
    Io credo che tutti noi abbiamo sempre presenti nella nostra mente i nostri cari defunti e che, quindi, portare al cimitero prossimi fasci di fiori il due novembre al cimitero non ripaga affatto il grande bene che ci hanno voluto i defunti. Secondo me , non è questa la lezione che ci hanno lasciato. Ho visto da qualche tomba addirittura una bottiglia di vino e ad un’altra un pacchetto di sigarette come segno indelebile delle loro abitudini da vivi. Sono cose che ti fanno pensare.
    Cosa dire, meglio lasciare le abitudini così come sono e cerchiamo, innanzitutto di prendere come lezione il due novembre per avere sempre in mente che bisogna essere brava gente perché questo mondo , per tutti noi , non è eterno, ma la morte viene , prima o dopo, per tutti..

    ‘A livella

    Ogn’anno,il due novembre,c’é l’usanza
    per i defunti andare al Cimitero.
    Ognuno ll’adda fà chesta crianza;
    ognuno adda tené chistu penziero.

    Ogn’anno,puntualmente,in questo giorno,
    di questa triste e mesta ricorrenza,
    anch’io ci vado,e con dei fiori adorno
    il loculo marmoreo ‘e zi’ Vicenza.

    St’anno m’é capitato ‘navventura…
    dopo di aver compiuto il triste omaggio.
    Madonna! si ce penzo,e che paura!,
    ma po’ facette un’anema e curaggio.

    ‘O fatto è chisto,statemi a sentire:
    s’avvicinava ll’ora d’à chiusura:
    io,tomo tomo,stavo per uscire
    buttando un occhio a qualche sepoltura.

    “Qui dorme in pace il nobile marchese
    signore di Rovigo e di Belluno
    ardimentoso eroe di mille imprese
    morto l’11 maggio del’31”

    ‘O stemma cu ‘a curona ‘ncoppa a tutto…
    …sotto ‘na croce fatta ‘e lampadine;
    tre mazze ‘e rose cu ‘na lista ‘e lutto:
    cannele,cannelotte e sei lumine.

    Proprio azzeccata ‘a tomba ‘e stu signore
    nce stava ‘n ‘ata tomba piccerella,
    abbandunata,senza manco un fiore;
    pe’ segno,sulamente ‘na crucella.

    E ncoppa ‘a croce appena se liggeva:
    “Esposito Gennaro – netturbino”:
    guardannola,che ppena me faceva
    stu muorto senza manco nu lumino!

    Questa è la vita! ‘ncapo a me penzavo…
    chi ha avuto tanto e chi nun ave niente!
    Stu povero maronna s’aspettava
    ca pur all’atu munno era pezzente?

    Mentre fantasticavo stu penziero,
    s’era ggià fatta quase mezanotte,
    e i’rimanette ‘nchiuso priggiuniero,
    muorto ‘e paura…nnanze ‘e cannelotte.

    Tutto a ‘nu tratto,che veco ‘a luntano?
    Ddoje ombre avvicenarse ‘a parte mia…
    Penzaje:stu fatto a me mme pare strano…
    Stongo scetato…dormo,o è fantasia?

    Ate che fantasia;era ‘o Marchese:
    c’o’ tubbo,’a caramella e c’o’ pastrano;
    chill’ato apriesso a isso un brutto arnese;
    tutto fetente e cu ‘nascopa mmano.

    E chillo certamente è don Gennaro…
    ‘omuorto puveriello…’o scupatore.
    ‘Int ‘a stu fatto i’ nun ce veco chiaro:
    so’ muorte e se ritirano a chest’ora?

    Putevano sta’ ‘a me quase ‘nu palmo,
    quanno ‘o Marchese se fermaje ‘e botto,
    s’avota e tomo tomo..calmo calmo,
    dicette a don Gennaro:”Giovanotto!

    Da Voi vorrei saper,vile carogna,
    con quale ardire e come avete osato
    di farvi seppellir,per mia vergogna,
    accanto a me che sono blasonato!

    La casta è casta e va,si,rispettata,
    ma Voi perdeste il senso e la misura;
    la Vostra salma andava,si,inumata;
    ma seppellita nella spazzatura!

    Ancora oltre sopportar non posso
    la Vostra vicinanza puzzolente,
    fa d’uopo,quindi,che cerchiate un fosso
    tra i vostri pari,tra la vostra gente”

    “Signor Marchese,nun è colpa mia,
    i’nun v’avesse fatto chistu tuorto;
    mia moglie è stata a ffa’ sta fesseria,
    i’ che putevo fa’ si ero muorto?

    Si fosse vivo ve farrei cuntento,
    pigliasse ‘a casciulella cu ‘e qquatt’osse
    e proprio mo,obbj’…’nd’a stu mumento
    mme ne trasesse dinto a n’ata fossa”.

    “E cosa aspetti,oh turpe malcreato,
    che l’ira mia raggiunga l’eccedenza?
    Se io non fossi stato un titolato
    avrei già dato piglio alla violenza!”

    “Famme vedé..-piglia sta violenza…
    ‘A verità,Marché,mme so’ scucciato
    ‘e te senti;e si perdo ‘a pacienza,
    mme scordo ca so’ muorto e so mazzate!…

    Ma chi te cride d’essere…nu ddio?
    Ccà dinto,’o vvuo capi,ca simmo eguale?…
    …Muorto si’tu e muorto so’ pur’io;
    ognuno comme a ‘na’ato é tale e quale”.

    “Lurido porco!…Come ti permetti
    paragonarti a me ch’ebbi natali
    illustri,nobilissimi e perfetti,
    da fare invidia a Principi Reali?”.

    “Tu qua’ Natale…Pasca e Ppifania!!!
    T”o vvuo’ mettere ‘ncapo…’int’a cervella
    che staje malato ancora e’ fantasia?…
    ‘A morte ‘o ssaje ched”e?…è una livella.

    ‘Nu rre,’nu maggistrato,’nu grand’ommo,
    trasenno stu canciello ha fatt’o punto
    c’ha perzo tutto,’a vita e pure ‘o nomme:
    tu nu t’hè fatto ancora chistu cunto?

    Perciò,stamme a ssenti…nun fa”o restivo,
    suppuorteme vicino-che te ‘mporta?
    Sti ppagliacciate ‘e ffanno sulo ‘e vive:
    nuje simmo serie…appartenimmo à morte!”

  2. Carissimo Signor Alfredo, come sempre quando ci onora di partecipare i Suoi ricordi, io dalle Sue parole traggo insegnamento. Grazie per le Sue sempre garbatissime e preziose lezioni di vita. Con tanta gratitudine.
    Giovanna

  3. Ringrazio la Dr giovanna per le sue sempre squisite parole.
    Ne approfitto per ricordare che la poesia “‘A Livella” l’ha scritta ANTONIO DE CURTIS detto TOTO’. Una poesia di grandissimo insegnamento morale e di vita. Spero che l’umanità, almeno in questo giorno dedicato ai defunti apra di più il proprio cuore a favore dei diseredati . Il fare del bene ci fa stare bene.

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