L’Italia unita ed i suoi 150 anni di storia

Giuseppe Lembo

Le celebrazioni dei 150 anni dall’Unità D’Italia, non risparmieranno niente e nessuno. Se ne parlerà, in modo ossessivamente celebrativo, in lungo ed in largo per tutta la nazione; la fetta più consistente di celebrazioni fini a se stesso, sarà al Sud, dove ancora una volta verrà fuori un protagonismo sterile di ormai ammuffiti “topi di biblioteche” che riprenderanno le solite pagine di storia patria, i soliti elenchi di eroi e patrioti, le solite inconsistenti posizioni di “unità si” e “unità no”. Con atteggiamenti nostalgici verrà fuori anche un certo (fortunatamente) limitato spirito borbonico che considerava e considera i piemontesi aggressori, violenti e “protagonisti” al Sud d’Italia di un’annessione non voluta, ma imposta, con il risultato di un’unità condizionata e limitata ancora oggi, dopo 150 anni di storia unitaria. Ma se 150 anni dopo l’Unità d’Italia, ancora ci sono situazioni di disagio, di diffuso malessere sociale e di animi e menti fortunatamente limitati che aggrediscono i piemontesi e predicano il valore antiunitario a difesa e come causa del malessere meridionale, a chi attribuire la colpa? La storia non si fa con i se e con i ma e tanto meno con il falso protagonismo di chi interpreta male gli eventi e soprattutto le cause che ne hanno determinato il corso. Non è possibile, né pensabile che si insista nostalgicamente su fatti storici successi 150 anni orsono e che ancora vengano criminalizzati e considerati le cause del profondo malessere meridionale, le cui lontane radici sono purtroppo nel Sud e del Sud sono di natura essenzialmente antropica per familismo, per egoismi diffusi, per incapacità di stare insieme ed insieme pensare a costruire il “bene comune”. In questa importante circostanza rievocativa dei 150 anni dell’Italia Unita, soprattutto al Sud, bisogna saper riflettere; bisogna saper riconoscere i comuni errori antropici e quelli di una dirigenza, supportata da una burocrazia ingessata nei loro piccoli privilegi, per cui tutto doveva rimanere fermo, data l’inutilità delle azioni umane finalizzate ad un fare sterile, in quanto tutto predestinato a rimanere come prima, tutto già deciso nell’ordine naturale delle cose. Per i 150 anni dell’Unità d’Italia sarebbe auspicabile assistere a riflessioni opportunamente serie; se non ci sarà questo, sarà un ulteriore tradimento dell’Unità che produce disunità e differenze; è un errore grave non andare alle radici del male e trovare unitariamente le soluzioni che servono per un nuovo, forte protagonismo italiano nell’ambito della nazione Italia, dell’Europa, dell’Occidente, del Mediterraneo e più in generale, del mondo globale, dove tutti devono imparare a fare il proprio dovere, senza né scappatoie, né furbizie e tanto meno, prevaricando l’altro sia in senso sociale che territoriale. Alla base dello stare insieme locale, nazionale e/o globale, nella visione sempre più concreta e diffusa della società-mondo, ci deve essere una forte consapevolezza umana e sociale di vicinanza e condivisione, tesa ad allontanare le divisioni, le differenze, i ritardi socio-culturali ed antropici dai singoli contesti di riferimento. Il Sud, nei suoi rapporti con il Nord del Pese deve sapersi riconsiderare e dal suo interno, deve trovare come ridurre le distanze, evitando di piangersi addosso. Occorre, questo è l’impegno che deve promettere la gente del Sud, nel corso del 2011, per le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia. Bisogna saper pensare al bene comune ed essere positivi, manifestando quel protagonismo che, purtroppo, non c’è per essere attivi protagonisti di futuro per sé stessi e soprattutto finalizzato al bene comune. Occorre saper riflettere; occorre sviluppare gli anticorpi per combattere quel subdolo e pericoloso virus che si chiama sottosviluppo, o subalternità e rassegnata accettazione ad uno schiacciante potere che, da sempre, ha scritto la storia dei senzastorie, permettendo il diffondere dello sviluppo del sottosviluppo, pregiudizionale e dannoso per il ritrovamento della propria identità, della propria appartenenza etnica e delle proprie radici culturali e sociali su cui costruire, in modo certo, la strada del progresso e della crescita civile. Tutto questo deve accadere senza dimenticare il passato, importante e da custodire, per pensare insieme al futuro. Agli amici storici c’è da ricordare che, il ripetere alla noi i soliti saccheggiamenti di fatti e personaggi, non serve a niente, proprio a niente. Anche le tappe dettagliate di “Peppiniello” Garibaldi in lungo ed in largo per i paesi attraversati nel corso della gloriosa spedizione dei Mille, sono spesso fini a se stessi e sterili ripetizioni di un passato lontano che ci appartiene e che deve rappresentare, una volta conosciuto, la spinta motrice, per pensare a come vivere positivamente il presente ed a come costruire, altrettanto positivamente, il futuro che ci è davanti, con tutte le sue complessità e che attende un intelligente protagonismo d’insieme, per evitare ulteriori drammi dell’uomo, oggi sempre più globale nei suoi comportamenti e nelle sue azioni spazio-temporali. Gli storici evitino di insistere più oltre sulle cose ripetutamente dette. Che portino all’attenzione la sintesi di quegli eventi ed il ruolo degli stessi per la società in cammino nel corso del Terzo Millennio. Anche la stampa ed i giornalisti che la animano, evitino il più possibile di attardarsi sui fatti ripetutamente pubblicati e che non suscitano minimamente l’attenzione dei pochi ultimi lettori, ancora affezionati alla carta stampata, intesa come veicolo di conoscenza e di un comunicare autentico, purtroppo, sempre meno presente sulla stampa quotidiana del nostro Paese. Facendo del giornalismo vero, del giornalismo-inchiesta tra la gente, l’occasione dei 150 anni dall’Unità d’Italia, è un’occasione veramente ghiotta per riportare all’attenzione e rivitalizzare quella unità incompiuta, senza i fanatismi dei pochi che gridano all’annessione ed all’aggressione piemontese ed il piangersi addosso dei tanti rassegnati del Sud, convinti che “così deve andare”, per cui tutto è inutile e niente può cambiare il corso delle cose. Alla stampa ed ai giornalisti meridionali compete assumere un atteggiamento seriamente responsabile da nuovo corso, senza insistere più oltre sul ruolo notarile di testimoni dello sfascio meridionale, facendo da cassa di risonanza di un malessere senza fine che, cancellando lo Stato, va facendo prevalere l’antistato, con una piovra che si prende tutto di tutti, compresa la stessa dignità di “uomo del Sud”, nell’indifferenza generale della società e della stessa Chiesa degli apparati protagonista attiva solo in pochi, con un fare da costi quel che costi. Nelle celebrazioni dei 150 anni ci sono segnali diffusi di un’altra porcata all’italiana; ci si attarda, in modo compiaciuto sui fatti del passato e si trascura volutamente il “presente socialmente drammatico”, con radici profonde in questi fatti che appartengono ormai alla storia. Più che rievocazioni fini a se stesse, occorrono analisi approfondite, per possibili e necessarie soluzioni ai tanti problemi insoluti che ci vengono da quel lontano passato dell’Italia unita nella sua disunità. Occorre saper pensare positivo; occorre concretezza di pensiero ed un protagonismo attivo necessario per organizzare soluzioni che non possono più essere rinviate per polemiche sterili, per rifiuti preconcetti e/o per quell’indifferenza sociale diffusa che appartiene soprattutto alle coscienze e alle menti diaboliche del paese, piemontesi e non piemontesi. Non bisogna solo celebrare, attardandosi su fatti che ormai appartengono alla nostra storia patria; non bisogna rievocare per il solo piacere in sé della rievocazione. I 150 anni della nostra unità nazionale ci hanno lasciato un percorso tutto da compiere; è su questo che si deve concentrare l’attenzione italiana nel corso del 2011. Tutti, in quest’anno di celebrazioni finalizzate a costruire una nuova Italia, una vera coscienza di italianità, devono sapersi adoperare e dare il proprio positivo contributo per la causa comune dell’Italia unita sul suolo nazionale, nelle coscienze degli italiani e nel mondo dove siamo portatori di civiltà antica di saperi e testimonianze antiche, oggi patrimonio dell’umanità. Non possiamo rinnegarci o limitare, per effetto di un’incapacità diffusa, ad essere positivamente noi stessi. Dobbiamo saper essere protagonisti e prima di tutto, attivi costruttori di italianità. Questo deve essere l’impegno italiano per i 150 anni dell’unità; si tratta di un impegno d’insieme al quale deve concorrere l’intera nazione, dal Nord al Sud. Mettendo da parte lo spirito delle celebrazioni fini a se stesse e delle tante feste paesane per ricordare questo o quel personaggio, dobbiamo tutti saper concorrere al progetto incompiuto di italianità, il grande sogno di chi sacrificò tutto e spesso la vita, per raggiungerlo. Se non vogliamo far rivoltare nella tomba i grandi del Risorgimento italiano, pensiamo ad onorarli degnamente, con percorsi di umanità solidale che devono cementificare le coscienze italiane dal Nord al Sud del Paese. Questo serve oggi all’Italia; questo deve essere il frutto di un impegno all’unità che deve imporsi alle coscienze dei giusti, superando il chiacchiericcio, il politichese, il falso impegno, i falsi valori e quella falsa umanità di uno stare insieme ipocritamente solidale che non serve, in quanto sterilmente inopportuno per l’Italia che verrà e che potrà affrontare e vincere le grandi sfide del futuro globale, solo se saprà essere Italia unica ed indivisibile, con al governo uomini nobili negli ideali e nelle azioni del fare, finalizzate al bene comune, alla gente, al popolo con una forte coscienza di popolo protagonista, non più schiavo e rassegnato nel ruolo di plebe sottomessa. Attardandosi in fatti e vicende fine a se stesse, non giova proprio niente per recuperare quei ritardi storici che a 150 anni dall’Unità d’Italia non sono stati colmati, perché non ha mai interessato a nessuno, colmarli. La classe dirigente meridionale chiusa nel suo egoismo familistico, ha pensato sempre e solo a se stessa, alla conservazione dei privilegi, proprio nello spirito padronale borbonico dell’epoca antiunitaria. E così i tradimenti sono continuati. Il popolo non ha mai acquistato la coscienza di popolo; è precipitato, in una deriva inarrestabile, verso il ruolo di una plebe senz’anima, di un lazzaronismo diffuso che non ha fatto bene alla causa unitaria e non ha mai permesso di far crescere economicamente e socialmente il Sud che, sempre meno Italia, si è ulteriormente allontanato dall’Italia che conta. E così non c’è stata alcuna soluzione positiva ai problemi che hanno continuato a tenere il Sud in condizione di depressione umana, sociale, economica e dei valori della vita. Eliminato l’analfabetismo si è enormemente diffuso un analfabetismo culturale che non permette e non ha permesso alla gente del Sud di pensare, di ideare, di costruire una progettualità di insieme solidale, senza la quale non ci può essere futuro. Le coscienze si sono appiattite su falsi valori, su tradizioni e pregiudizi che non hanno creato la forza del cambiamento possibile nel popolo massa, un popolo purtroppo plebe informe e senza identità, fortemente proteso verso l’assistenzialismo, la cultura della dipendenza e dei favori, verso un clientelismo che nel corso dei decenni ha creato dipendenza e sottomissione. Mentre la classe dirigente e la burocrazia che la sosteneva hanno sistematicamente tradito il Sud, facendolo allontanare sempre più dall’Italia che conta, si assisteva indifferenti ad un dissanguamento emigratorio delle sue risorse migliori; partivano e partono ancora oggi con tanta sofferenza nel cuore, per il tradimento subito nella terra dei padri di cui ci si allontanava e ci si allontana, portandosi dentro una struggente nostalgia. Questo è ancora oggi il Sud; questi sono gli scenari italiani nel Meridione d’Italia dopo i 150 dall’unità. La colpa non è dei piemontesi ma di quel mondo meridionale lazzarone che, per conservare il potere ed i privilegi, si compiace di non aver né sviluppo, né cambiamenti significativi dal punto di vista umano e sociale. Tutto deve rimanere così com’è; tutto deve essere conservato paludato e nell’inefficienza melmosa generare malessere e malasocietà. Bisogna riflettere e bene su tutto questo, bisogna saper considerare le tante negatività antropologiche del Sud che, nel suo profondo malessere, si sta autodistruggendo, senza mani tese e/o garibaldini pronti a salvarlo nuovamente. Questa volta, nell’indifferenza generale, muore e basta. Per evitare questo disastro italiano che si sappia responsabilmente riflettere e attraverso un’azione di crescita diffusa, con le radici in una profonda rivoluzione culturale, far diventare popolo l’attuale plebe, educandola a capire l’importanza del proprio ruolo attivo e propositivo nella società. Nel 2011 questo serve al Sud per riprenderci quell’unità e quell’italianità che purtroppo non c’è e che rischia di essere cancellata del tutto con conseguenze catastrofiche anche per il resto d’Italia, dove ci sono evidenti e diffusi segnali di un’italianità debole e stanca e di un processo di cambiamento e di sviluppo in difficoltà rispetto all’Europa ed al resto del mondo sempre più globale e sempre più impegnato a costruirsi un futuro nuovo nella visione di una società-mondo in una Terra-Stato.

 

                                                                                               

 

8 pensieri su “L’Italia unita ed i suoi 150 anni di storia

  1. La invito a leggersi il libro di Pino Aprile “TERRONI” ed. PIEMME
    e forse riuscirà a darsi qualche risposta più significativa e reale che vada un pò al di là delle tesi lombrosiane o autolesioniste.
    Distinti Saluti.

  2. Mi piace dare un “ben tornato” al caro Dr Giuseppe Lembo ed anche alla carissima Civetta che non leggevo un suo splendido commento al molti giorni. Però vorrei avere il piacere di poter leggere qualche ottimo commento anche dalla simpaticissima e lodevole scrittrice Giovanna Rezzoagli. Auguri a tutti e mille grazie alla direttrice per lo spazio che ci offre. Un sincero abbraccio.

  3. …sono molto curioso di vedere il nuovo film che è stato proiettato a Venezia sul risorgimento Italiano ” noi credevamo”.
    IL Risorgimento italiano, è una storia da riscrivere.
    Tante bugie, mezze verità, hanno fatto calare un pietoso velo sulle tantissime stragi fatte da “li francisi”( i Savoia) a danno delle Nostre popolazioni.
    Montanelli ha scritto che il numero dei morti, per portare la “democrazia e la libertà”, nel meridione d’Italia, supera i morti che contarono tutte le guerre d’indipendenza italiana.
    E’ bello che la verità venga a galla dopo 150 anni.
    Qualche anno fa, il 2003 è uscito un libro edito da CONTROCORRENTE”(a Salerno sono state vendute alcune centinaia di copie)”LA CHIESA SALERNITANA NEL RISORGIMENTO ITALIANO, TRA RIVOLUZIONE E CONTRO RIVOLUZIONE” in cui si svelavano tante verità scomode, celate negli archivi di stato.
    in bocca al lupo

  4. La Chiesa salernitana nel risorgimento tra Rivoluzione e Controrivoluzione PDF Stampa E-mail
    Martedì 29 Dicembre 2009 09:11
    TITOLO: La Chiesa salernitana nel risorgimento tra Rivoluzione e Controrivoluzione
    AUTORE: Primo Carbone
    EDITORE: Controcorrente

    Il libro di Primo Carbone, “La Chiesa salernitana nel Risorgimento tra rivoluzione e controrivoluzione”, viene a collocarsi a buon diritto nell’ideale collana editoriale della storiografia revisionista che ha già sfatato numerosi luoghi comuni dell’epopea unitaria italiana, presentandoci in una luce più veritiera fatti e personaggi, avvenimenti e considerazioni illuminanti.
    Non già per spirito di contraddizione, ma per rendere omaggio alla verità storica, l’editrice Controcorrente ha edito questo prezioso lavoro di ricerca che rappresenta un interessante spaccato della storia salernitana e campana, seguendo un esaustivo percorso dal brigantaggio rurale all’opposizione borghese, supportato da una vasta appendice bibliografica.
    Fatta salva la tesi che il Risorgimento d’Italia rimane comunque un capitolo imprescindibile della nostra storia, bisogna distinguere il processo unitario e quello di unificazione, se è vero che a tutt’oggi c’è più disgregazione che vera unione tra il Sud e il Nord.
    Questo concetto è fondamentale e bene ha fatto il giornalista Mauro Finocchito a chiarirlo nella prefazione.
    La questione meridionale è di natura essenzialmente economica, oltre che politica, civile e sociale. «L’oro di Napoli – egli ha scritto – diventa il portafoglio dell’Italia unitaria», sulla scorta della trasparente affermazione del meridionalista Goiustino Fortunato: «I milioni dati in premio a un gran numero di fabbriche e di cantieri dell’Alta Italia sono estorti, nella massima parte, alle povere moltitudini del Mezzogiorno… sono estorti non già per proteggere, secondo come usiamo dire, il lavoro nazionale, ma per favorire, nel più dei casi, gl’interessi di pochi capitalisti…».
    La Chiesa salernitana, come ha ben evidenziato l’autore del libro, pagò un pesante tributo in termini di esilio e sofferenze all’invadenza dei savoiardi, famosi – diciamolo pure – per i soffici biscotti che prendono da loro il nome e si accompagnano al sanguinaccio di Carnevale, ma famigerati per le prevaricazioni operate nel nostro territorio.
    Sacerdoti e vescovi della diocesi salernitana furono tutti più o meno accomunati nella difficile sorte riservata dai mangiapreti ai difensori della religione e dei valori connettivi della popolazione, quali furono – e devono essere – i ministri di Dio.
    I monsignori Marino Paglia, Antonio Salomone, Domenico Guadalupi, che diedero lustro alla diocesi salernitana e furono amati dal popolo per le loro qualità morali, civili, umane e sociali, non andarono indenni dalla furia prevaricatrice della Casa Savoia, che diede tassative disposizioni all’esercito piemontese per tenere sotto controllo e vessare fino ad annichilire ogni forza contraria al loro dominio. Già, perché, fuori dai denti, il loro venne ad essere il nuovo dominio in Italia, spesso spietato ed ignaro di quello che i romani chiamavano lo “jus gentimu” ovvero il diritto delle genti, nel cui nome i vinti venivano associati generosamente alla loro civiltà, fieri di poter dire con orgoglio “civis romanus sum”.
    Con ciò non intendiamo affatto rinfocolare vecchie polemiche e mettere il Meridione contro il Settentrione, ma, nell’auspicabile varo di un federalismo sensibile alle sacrosante ragioni del Sud, dobbiamo pur dire le cose come andarono, se non vogliamo inglobarci sotto la bandiera del pensiero a una dimensione.
    Franco Di Peso

  5. Complimenti al giornale DENTROSALERNO, che ospita grandi firme. Amo le emozioni e gli scritti della Counselor Giovanna Rezzoagli mi emozionano sempre. Ho conosciuto questa scrittrice leggendo il blog “IL MIO PICCOLO MONDO DEI SOGNI”, http://ilmondodelsogno.blogspot.com/2009/10/il-coraggio-di-essere-se-stessidal-web.html , che ha pubblicato un suo scritto. Ho cercato di saperne di più su quest’autrice ed ho trovato così un fantastico giornale che non conoscevo: il vostro. Come Alfredo spero di leggere gli scritti della vostra counselor, non ne trovo da tempo. Un saluto da Francesca che sogna dalla provincia di Perugia.

  6. Mi complimento con l’analisi di Lupo Solitaio e di XYZ., nonchè con Armando per il suo commento all’art.”Quale Risorgimento?” di Aurelio Di Matteo.

  7. Mi scuso con chi legge, con coloro molto addentrati nella storia, quella letta sui libri e su i giornali.
    Io, poveraccio, non ho letto libri di storia perchè, a stento, ho completato gli studi delle elementari, ma ho letto , saltuariamente, qualche annotazione su l’Italia e la sua storia. Italia Unita grazie allo sbarco dei mille e dalla foga e grinta del conquistatore e soldato di ventura Giuseppe Garibaldi. (A proposito del mensionato “Re dei due Mondi” mi viene da ricordare che , negli anni cinquanta, lavorai nella stessa fabbrica di cera a Buffalo (N.Y.) dov’egli lavorò oltre cento cinquant’anni fa).
    Ma quello che mi st a cuore di dire è che il Sud d’Italia, quello delle “Due Sicilie” fu,sì, inserito nel contesto dell’Unità d’Italia, ma di reali benefici a me pare che,in pratica, non se ne sono visti troppi.
    Occorrerebbe pensare che fin dall’inizio o forse ancor prima dell’inizio del secolo scorso, da quì del Sud emigrarono milioni e milioni di nostri fratelli, (pochissime persone emigrarono dal Nord). Da ciò mi viene spontaneo il dubbio che il Sud non ha quasi mai beneficiato integralmente dell’opportunità dell’Unità d’Italia. A tutt’oggi quantificando il numero di disoccupati del Sud rispetto a quelli del Nord siamo ancora, Haimé, ben lungi dalla loro avvenuta ricchezza.
    Pare che voglia perdurare, a nostro scapito e a tutti i costi quel antico motto che recita:” AVANTI PIEMONTESI CHE VOI FATE L’ITALIA” Infinita cordialità ai miei cari lettori.

  8. “….o BRIGANTI, o EMIGRANTI”.
    I primi ad emigrare, furono tanti italiani del SUD, per motivi politici.
    La repressione del gen.Pallavicini,con i suoi sanguinari bersaglieri, furono la causa prima.
    Infatti questi, i nostri padri, vollero sfuggire ai primi campi di STERMINIO della Storia organizzati dai Sabauti per eliminare anche fisicamente, ogni opposizione nel nostro Meridione.

    Infatti, in America si formò un battaglione di soldati BORBONICI, che lottarono insieme agli insorgenti Sudisti del gen Lee.
    Solo successivamente, qualche lustro dopo, quando “li francisi” avevano finito di depredare la floridissima economia meridionale, iniziò la vera emigrazione di massa …. e non solo in america.
    in bocca al lupo

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