Quale dieta mediterranea?

 Aurelio Di Matteo*

La notizia che la Dieta Mediterranea ha ottenuto il riconoscimento di “patrimonio immateriale dell’umanità” riempie di orgoglio ma carica di una grossa responsabilità, innanzitutto la Provincia di Salerno che già è stata destinataria di altri riconoscimenti da parte dell’Unesco. Che il Castello di Arechi possa diventare sede dei siti Unesco è altra buona notizia e ambito obiettivo che dovrebbe unire impegno e consensi anziché scatenare la solita, deleteria, puerile e molto provinciale contrapposizione tra le comunità locali. Intanto è necessaria una riflessione affinché quello che appartiene a una ben delimitata area non sia annacquato da elementi spuri e alla fine il nostro territorio sia espropriato di un patrimonio storico, etnico e scientifico che gli appartiene tutto intero e che ora acquisisce anche ufficialmente l’evidenza e il riconoscimento mondiali. Gli studi di Ancel Keys possono idealmente considerarsi una prosecuzione dello stretto legame tra cibo e salute che la Scuola Medica Salernitana e tutta l’antichità hanno sempre riconosciuto. Dobbiamo a Ippocrate, nel V secolo a. c., l’affermazione di un principio che ben può stare alla base dell’odierna medicina e della connessa alimentazione: “Lascia che il cibo sia la tua medicina e la medicina sia il tuo cibo”. Il cibo come medicina, ma anche il cibo come malattia! La cucina, a sua volta, diventa l’arte di correggere la natura degli alimenti. Oltre alla scelta accorta di un certo tipo di cibo, anche la preparazione, la cottura e il condimento sono mezzi di cui il cuoco dispone per rendere concreto l’equazione cibo-salute. Nell’immaginario collettivo e nella complessiva pubblicità si è data a “dieta” un’interpretazione errata, intendendola come regime alimentare fondato sulle privazioni e come regime dimagrante. Essa, invece, deve significare uno stile di vita e una regola di comportamento globale. Se si concepisse la dieta in senso restrittivo, da scienza dell’alimentazione, non si capirebbe nemmeno l’importanza della Dieta Mediterranea. Ciò che vale dal punto di vista della medicina è la qualità della vita, quella che si svolgeva nelle terre del Cilento, dalle quali prese avvio e si realizzò la ricerca di Ancel Keys. La tradizione contadina meridionale ha fatto tesoro delle povere risorse alimentari con una saggia distribuzione dei suoi componenti, ottenendo una dieta intesa come modo di vita, incentrata sull’alimentazione a base di pane e pasta, cibi vegetali, olio di oliva, frutta e vino. La dieta mediterranea prevede proprio questo. Solo una volta a settimana a tavola erano permessi i cibi “di lusso”, ricchi di grassi: salumi, pesce, carni e dolci. Il tutto integrato da una sana e diffusa attività fisica, che oggi è sempre più ridotta. Il modello meridionale di alimentazione è stato poi confrontato con le diete di altri paesi a forte incidenza di malattie cardiovascolari, quali la Finlandia, la Germania, gli Stati Uniti, confermando la sua validità oggi ampiamente accettata.  Avendo presente la storia della nascita della dieta meridionale, è evidente che chiamando mediterranea la nostra dieta s’incorre in un errore terminologico che porta a un’enorme confusione geografica. Mediterranea sono la Spagna, la Tunisia, la Grecia, la Jugoslavia, ed anche la Francia con la sua cucina esattamente all’opposto della nostra dieta. Ma non è dieta mediterranea nemmeno la sana cucina Italiana, bolognese, torinese, trentina, siciliana o romana che sia, potendo in questa distinzione scindere in centinaia le abitudini culinarie, tutte diverse. Con la globalizzazione e la massificazione industriale dei prodotti alimentari, al giorno d’oggi, alcuni prodotti tipici sono a rischio d’estinzione, gli operatori artigianali tradizionali diminuiscono e i loro saperi non si trasmettono alle nuove generazioni, la competenza si limita agli aspetti tecnici, senza salvaguardare quelli della cultura e dell’identità. Occorre, riscoprire e recuperare l’autentica identità culturale enogastronomica del territorio, tecniche che potremo definire “rurali”, per mezzo di una sapiente offerta che coinvolga l’intera filiera turistico-ricettivo-culturale, proponendo un turismo non invasivo, rispettoso della dignità culturale locale, alla quale fare riferimento. Oggi solo il nostro Cilento, dove l’ecocompatibile c’è sempre stato di proprio e non è una moda degli ultimi anni, riesce a fornire materie prime alimentari di produzione, si direbbe, familiare, che si avvicinano a quanto di più naturale sia possibile e all’opposto del prodotto industriale. La vera dieta mediterranea è solo ed esclusivamente quella derivata dalle abitudini alimentari del nostro meridione d’Italia, circoscritto all’antico territorio che i Romani chiamavano Lucania e che oggi è racchiuso al confine tra le regioni Campania Meridionale e Basilicata Occidentale con il nome di Cilento. In queste zone, ancora oggi, si ha l’opportunità di avvicinarsi ai piatti della tradizione, confezionati con materie prime originarie, senza manipolazioni transgeniche e non omologati da trattamenti industriali e commerciali che appiattiscono ogni gusto e profumo. Se si capirà che il vero cibo naturale, il vero vino, il vero olio sono materia vivente e in costante evoluzione, si capirà anche come questi prodotti non potranno mai essere prodotti industriali, con la loro anonima natura cellofanata, sempre uguali a se stessi; prodotti simili al diffusissimo nuovo totem della “gassosa scura” che ha invaso, tutti i moderni fast food, locali questi, estranei alle nostre radici di contadini, abituati a cercare, sempre, il più buono, il più fresco, il più genuino. La dieta mediterranea è entrata nella lista del patrimonio dell’umanità per il valore storico che ha assunto questo modello alimentare negli stili di vita e per i benefici per la salute dimostrati scientificamente. Il compito che attende le istituzioni e gli operatori a vario titolo della Provincia di Salerno è proprio questo: salvaguardare la vera dieta mediterranea promuovendo la formalizzazione dell’autentiticità dei prodotti che la compongono, il modulario della filiera produttiva e della relativa cucina, per evitare che l’enogastronomia di altri territori possa fregiarsi di un’etichetta che non le appartiene.

*Società Italiana di Scienze del Turismo