Da Socrate ai videogame

Ferdinando Longobardi

Dalla riforma Gentile in poi nella scuola si è insegnato la storia della filosofia, e la cosa ha permesso la più ampia libertà di insegnamento, ma ha anche ridotto quella disciplina a un canovaccio semplificato, tessuto dai manuali. E così non è mancato chi, anche in tempi recenti, ha sostenuto la necessità di far leggere i testi dei grandi filosofi direttamente agli studenti. C’è da rimanerne senza fiato: dunque i quindicenni che sarebbero incapaci di apprendere, più o meno mnemonicamente, la serie manualistica dei pensatori e delle loro concezioni ridotte in pillole (all’incirca il programma di filosofia tradizionale), possono diventare nel giro di un paio di quadrimestri capaci di affrontare razionalmente e autonomamente le questioni di senso, valore e di verità?! Non si può non rimanere allibiti: si tratta in pratica di sostituire la storia della filosofia con il suo esercizio concreto. Che cos’altro infatti potrebbe diventare un insegnamento simile? Già immaginiamo torme chiassose di Socrati tredicenni che, tra una partita di calcio e un videogame, discettano e si confrontano con le tecniche dell’argomentazione, della confutazione e della dialettica. Partendo da cosa, poi? Dai loro “punti di vista”! Ebbene, una certa consuetudine insegna che gli attuali adolescenti, soprattutto in questa età ancora acerba, hanno nella maggior parte dei casi solo ed esclusivamente punti di vista televisivi: vale a dire le banalità che rimasticano su temi di un certo rilievo (sempre a patto che ne conoscano l’esistenza) non sono spesso che rigurgiti di spezzono di telegiornali e talk-show.

Soltanto il confronto con un pensiero diverso dal loro, più maturo, e l’esperienza diretta o indiretta della complessità della vita interiore, possono metterli in grado, non tanto di sviluppar ere i propri punti di vista o di discutere quelli altrui, ma almeno di capire l’inconsistenza e la pochezza di quelle idee che non sono affatto loro, ma piuttosto una scialba eco di quelle attualmente correnti, orecchiate qua e là. Certo, essi non possono sempre incontrare dei pensatori in carne ed ossa (i quali forse si guarderebbero bene dall’insegnare nella scuola di oggi), e perciò in genere si cerca di ottenere questo risultato appunto attraverso lo studio della storia della filosofia. “Attento, ragazzo”, sembra dire infatti la lunga schiera dei filosofi che sfila dai millenni nei corposi manuali della disciplina “non credere d’essere tu il primo a giudicare, a sapere, a pensare. Sei solo l’ultimo arrivato, e il più ignorante di tutti. Qualunque cosa tu credi di aver scoperto.. noi l’abbiamo già pensata!”. Scoraggiante? Ma no: è solo una bellissima sfida. È il “sapere di non sapere” socratico: sempre migliore, peraltro, di quella petulante presunzione che si vorrebbe istillare nella mente dei futuri sprovveduti allievi.È fondamentale che i ragazzi discutano di diritto di vita e di morte, di diversità e di uguaglianza, di rapporto tra i sessi, di razzismo e di pace, di crimini e di povertà, di doveri civici e di relazioni sociali, ma come potrebbero farlo senza avergli fornito l’essenziale apporto del confronto di una riflessione millenaria su questi stessi temi? Già adesso vediamo molti testi di geografia che parlano dei problemi dei paese extra-europei a ragazzi che non conoscono né la geografia né la storia di quei paesi. Ci si dimentica che un’adeguata problematizzazione deve partire sempre dai fatti, dalle conoscenze, cioè dall’apprendimento e dalla cultura. Invece le idee prive di spessore culturale, come la conoscenza della realtà contemporanea senza un’adeguata prospettiva storica, non sono solo false: sono anche pericolose.