Il mondo classico: tra scuola e pettinini

  Ferdinando Longobardi

Sempre più spesso si dice e si ripete che a scuola la cosa più importante è “imparare a imparare. Ora, questo è senz’altro vero , ma solo in parte. Se l’arte d’apprendere è tanto importante può derivare solo dal fatto che, alla fin fine, quello che si può apprendere, i tanto disprezzati contenuti, sono spesso ancora più importanti. Altrimenti , ci troveremo di fronte ad un eterno ciclo vizioso, ad una scuola che ha come fine se stessa. Probabilmente alla radice del problema vi sia una banale confusione tra contenuti e valori, cioè tra sapere e giudicare. Occorre cioè che la scuola metta in grado i giovani di ricevere non dei valori preconfezionati e predefiniti, ma di scegliere razionalmente e consapevolmente quali valori fare propri, quali obiettivi proporsi e quali strade intraprendere. Ma questo non vuol dire in alcun modo smettere di fornire i contenuti (sostituendoli magari con i metodi): vuol dire, semmai, fornirgliene il maggior numero possibile, la più ampia scelta possibile; e, certo, insieme, anche gli strumenti per effettuare quella scelta che deve essere, come abbiamo detto, razionale e consapevole. Occorre dunque un coraggioso, vigoroso tentativo di definire, di pronunziare chiaramente, chiamandolo col proprio nome, quel bagaglio di conoscenze e, quindi, possibilità di scelta, che qualcuno vorrebbe mettere in un angolo, proponendosi magari di alleggerirlo. E allora bisognerebbe avere l’onestà di affermare che esse non possono che continuare ad essere quei contenuti sui quali la nostra cultura a circa tre millenni instancabilmente si accresce e si arrovella, vale a dire la tradizione classica e umanistica nella sua feconda interezza. Un’altra spia della sostanziale indifferenza nei confronti dei contenuti delle civiltà classiche è sicuramente l’uso del più trito, del più famigerato luogo comune che si possa sentire in proposito. Mi riferisco all’idea che l’importanza dei messaggi che ci pervengono dal passato risiede nelle loro attualità. È vero esattamente il contrario. Ciò che può rendere interessante, ricco di spunti di riflessione, in una parola entusiasmante il contatto con gli autori antichi è proprio la loro spesso inquietante diversità, la loro alterità rispetto al nostro modo di vivere e di vedere le cose. Certo: la loro diversità non è mai totale: essi non potrebbero mai essere avvertiti da noi come “esotici”. Ma è proprio questo che distingue e rende più importanti lo studio dei popoli classici rispetto a quello, che pure può sembrare non meno affascinante, delle comunità polinesiane o dell’impero cinese. Essi sono infatti sufficientemente diversi da noi per interessarci, ma ci sono anche sufficientemente vicini per poter costituire un punto di riferimento culturale ed esistenziale. Limitarne l’importanza alla loro attualità vorrebbe dire renderli totalmente insignificanti. Saremmo, in tal caso, allo stesso livello di comprensione del mondo classico manifestato da quelle signore ingioiellate che affollano le visite guidate dei musei e cadono regolarmente in estasi di fonte ai pettinini della matrona romana. I quali proprio come i nostri, sembrano fatti ieri. Traspare anche da qui, dunque, quella chiusura di fondo a quanto di nuovo, di trasformatore, di suscitatore di cambiamento e di progresso possa derivare dai processi di trasmissione culturale.