Lippi Part 2

 “Era la realtà di una squadra di calcio italiana, la ‘Lippi Part 2′, che è passata alla storia dei nostri incubi come la cosa più orrenda, più vergognosa che mai lo sport nazionale del pallone abbia portato fuori dai nostri confini, da quando monsieur Jules Rimet decise di organizzare una coppa del Mondo nell’Uruguay del 1930. Una Waterloo – scrive Vittorio Zucconi su La Repubblica – che ha seppellito l’età d’oro del calcio azzurro. Non ha saputo costruire un’azione, fare passaggi elementari, compitare l’abc del pallone, evitare errori da ’scapoli contro ammogliati’ della Cassa di Risparmio come quello di De Rossi che ci ha subito spedito sott’acqua, come ci e’ accaduto puntualmente e meritatamente in tutti i primi tempi di questa catastrofe. Ed e’ arrivata alla comica finale di un gol preso su rimessa laterale, come neanche tra i pulcini della Solbiatese. Quello che si può dire è che, oltre ogni considerazione statistica, valutazione tattica, confronto storico che crudelmente lo condanna, il ‘Lippi, the Sequel’ è stato un supplizio palpabile, un malessere fisico per chi l’ha seguito, cominciato dal primo minuto contro il Paraguay e finito all’ultimo minuto contro la Slovacchia, quando Pepe ha mancato fortunatamente il miracolo del pareggio che avrebbe nascosto l’orrore e creato le solite illusioni di stelle o stelloni. Sarebbe bastato guardare gli occhi sbarrati con le pupille dilatate mostrate dai teleobbiettivi del povero ragazzo spedito tra i pali, il Marchetti, terrificante scelta di un esordiente a un Mondiale nel solo ruolo nel quale non si può mai sbagliare, l’amnesia muscolare che sembrava avere colpito le gambe degli azzurri incapaci della più banale corsetta o del passaggino più semplice. E che le mani più volte ripassate tra i fili della paglietta bianca che Lippi ha al posto dei capelli, non avrebbero potuto rimediare ai suoi errori, alla sua testardaggine presuntuosa, alla convinzione di ‘cesarismo da spogliatoio’, di uomo del destino, il perenne italiano che crede, in forza della propria presunzione, di poter rifare, se non una nazione, almeno una nazionale. Lippi ha cercato la disfatta perché si era convinto di poter trasformare per l’ultima, la più esaltante, delle sue avventure le rape prodotte dal calcio italiano di oggi in preziosi tartufi. La vicenda di Marcello il Viareggino ‘Part One’ e ‘Part Two’ è in fondo la classica storia del giocatore d’azzardo che azzecca l’en plein alla roulette nel 2006 e crede di essere stato bravo e di poter quindi ripetere il colpo, puntando, puntando emscommettendo fino all’inevitabile disastro. Sapevamo tutti, ma proprio tutti, che i calciatori portati in Sudafrica e ripetutamente imbarazzati da avversari sulla carta inferiori fin dal 2009.Il 1994 di Sacchi il Fanatico del ‘calzio’ e delle ‘ripartenze’ negli Usa, arrivato esausto alla finale col Brasile, aveva visto liti e risse, il memorabile ‘ma questo è matto’ di Baggio sostituito dopo 20 minuti, ma aveva giocatori di grande qualità, sparsi fra i reparti. L’Italia di Maldini nella Parigi del 1998 era arrivata a una spanna dalla eliminazione della odiata Francia (a proposito, non abbiamo forse esagerato nel godere delle umiliazioni altrui divenute boomerang?) con un tiro di Baggio nei supplementari che fischiò a poche dita dall’incrocio dei pali. Ieri pomeriggio, sul bellissimo prato di Ellis Park che i nostri giocatori costretti da società insensate e da gestioni demenziali capaci di verniciare, ma non di seminare, a correre sopra campacci spelacchiati, non c’era nessun talento, almeno non fino a quando Pirlo ha dimostrato, con qualche passaggio e lancio come si possa giocare al calcio anche da fermi e da vecchi. O fino all’ingresso di Quaglierella, che non è Maradona ma ci ha messo brandelli di cuore.  ‘Mi sono condannato da solo’ ha detto, in un momento finale di inevitabile verità, ormai ex Ct della Nazionale Marcello Lippi. Ma la condanna vera è quella di un’epoca del pallone italiano finita ieri, e, se la follia non lo distruggerà, a ricominciare con umiltà, con pazienza, con meno soldi e meno bilanci fasulli, dallo zero al quale è arrivato. Neppure lo spirito profondamente masochista del tifoso, e in particolare del tifoso della Nazionale italiana avido di strazianti agonie per assaporare l’estasi delle vittorie, ingordo di Coree Nord o Sud fa lo stesso, di pali, di rigori sbagliati, di traverse, di lamentazioni arbitrali e delle moviole che infestano gli studi televisivi, riuscirebbe più a reggere allo sgocciolio dei secondi che passavano dentro uno stadio sorprendentemente casalingo per noi, in un pomeriggio squisito di sole fresco dopo tanto gelo, gonfio di spettatori locali con il tricolore, addirittura con i costumi da centurioni da Colosseo turistico, per una simpatia filo italiana che sarà già svaporata. Il vuoto che sentivamo dentro era lo stesso vuoto che si vedeva in campo, che si vede nel calcio italiano, una ciambella di squadre con il buco nel mezzo. E ora non resta che chiudere gli occhi, e se siete giovani, cercate di imprimervi nella memoria la Nazionale più ignobile della storia del pallone che vi ha regalato questa Super Corea. Volevano farsi un nome, i ragazzi dell’Anonima Pallone, spezzare il cerchio della solitudine che li circondava dallo sbarco nel mezzo del nulla dove erano in ritorno. Ci sono riusciti magnificamente. Portami via dal Sudafrica, mamma, voglio uscire.

Valentina Manzo