Ma quale bavaglio?

Angelo Cennamo

Fa molto discutere il ddl sulle intercettazioni telefoniche che la settimana prossima settimana approderà in aula al senato. I direttori dei principali quotidiani, compresi quelli più vicini alla maggioranza, hanno fatto fronte comune per denunciare le forti limitazioni che la nuova legge imporrebbe alla categoria, in caso di pubblicazione degli atti di indagine penale. La materia è molto complicata, così come appaiono molteplici le implicazioni di tipo giuridico e deontologico che comporterebbe l’introduzione delle nuove norme. Chi mastica un pò di diritto sa che il varo di una legge è sempre preceduto da comportamenti più o meno frequenti che ne rendono necessaria la sua redazione ( tipo sociale). Qual è il tipo sociale che ha dato luogo al ddl sulle intercettazioni? L’abuso che certe procure fanno di uno strumento di indagine sì prezioso, ma il cui costo, da solo, assorbe i due terzi dei fondi destinati al comparto della giustizia. Il ddl all’esame del senato non abolirà le intercettazioni, ma di fatto ne limiterà la durata e l’uso per certi reati. Ma non è tutto. Da qualche anno, a cominciare dalla scalata di Giovanni Consorte e soci alla Bnl, fino ad arrivare alla cricca dei lavori pubblici, passando per il “Noemi-gate” e le vicende erotiche della D’Addario, i giornali italiani si sono sbizzarriti a pubblicare pagine e pagine di conversazioni telefoniche, dando in pasto ai lettori assatanati i particolari più morbosi e privati di persone indagate o cadute semplicemente nella rete di sorveglianza della magistratura per essere state in contatto con parenti o conoscenti di indagati. Si sa, il gossip ed il sensazionalismo tirano, e le vendite dei quotidiani, da tempo in forte calo, riprendono ad impennarsi quando c’è da sputtanare qualcuno, anche se nei dialoghi trascritti a nove colonne non traspare uno straccio di reato. Questa barbarie, che non ha nulla a che vedere con il diritto di cronaca, viene oggi  difesa a spada tratta da molti giornalisti, i quali, temendo di essere abbandonati dai lettori più curiosi ed inclini al “guardonismo”, ovvero la maggioranza, inscenano l’ennesima protesta contro un fantomatico bavaglio governativo, mobilitando sindacati ed organismi di categoria. Dicevo prima che la materia è complicata e che legiferare sulla stessa è operazione molto delicata e pericolosa . Si tratta, cioè, di trovare il giusto compromesso tra due principi costituzionali, e di adattare il risultato al diritto-dovere di indagine delle procure. I principi sono quelli enunciati nell’art. 15 ( segretezza della corrispondenza) e nell’art. 21 ( libertà di espressione). Entrambi sono meritevoli di tutela essendo due tra i principali cardini della nostra civiltà giuridica e della nostra democrazia. Ma guai a sottovalutare la preminenza del primo sul secondo, significherebbe cancellare la libertà individuale più importante di tutte le altre : la difesa della privacy. Provate, infatti, per un attimo ad immaginare a come vi sentireste se dalla vostra cassetta postale cadesse una lettera, un estratto conto della banca, una comunicazione di un amico, di un parente, o di un’amante, e se la stessa lettera venisse aperta da qualcuno che poi la fa pubblicare su un giornale. Ecco, è esattamente questo che accade quando un giornalista “senza bavaglio” pubblica una conversazione telefonica spacciandola per la prova di un reato che non è stato ancora accertato, e per il quale, spesso, l’intercettato non è neppure indagato.