Mercato San Severino: tradizioni di San Giuseppe in Spagna e Sicilia

Anna Maria Noia

S. Giuseppe di Nazareth è stato lo sposo casto di Maria Vergine e il padre putativo di nostro Signore Gesù Cristo. La ricorrenza cade per l’appunto in questo mese di marzo, il 19 (festa del papà, proprio in suo onore) e in questo giorno – ma non solo – si vivono numerosissime tradizioni primaverili (anche e non soltanto pasquali) e/o di passaggio alla maturità legate a tale santo: riti arcaici e rituali apotropaici (di allontanamento), che molto hanno a che fare con il fuoco e con ricette, modi di comportamento, antichi retaggi pagani poi mutuati al cattolicesimo e alla cristianità – e riguardo a ciò tantissime altre ricorrenze come ad esempio il Ciuccio di Fuoco e le Fontanelle a Mercato S. Severino (il primo nella frazione Acigliano, il secondo a Lombardi) sono vestigia antiche passate poi al cristianesimo; come diceva il sommo Dante, infatti, il mondo classico/pagano è “preparazione” al mondo cristiano. L’emblema di S. Giuseppe è il giglio, simbolo di purezza e castità ma anche nominato nella leggenda – dipinta o immortalata da numerosa iconografia: quadri, statue, immagini eccetera – che voleva il giglio segno di predilezione di Dio riguardo a una “competizione” tra vari giovani di Nazareth per divenire sposo di Maria.Anche se giovane, S. Giuseppe è rappresentato con la barba in molte immagini, e ciò in quanto la barba – che anche il volto di Gesù possiede nelle icone bizantine, greche, russe e ortodosse nonostante Gesù stesso sia piccolo e in braccio alla Madonna – è simbolo di saggezza e sapienza. Anche Giuseppe, dunque, come Dio, è raffigurato con la barba, spesso bianca.L’etimologia di Giuseppe deriva dall’ebraico Josef, e vuol significare: “accresciuto da Dio”. Egli è protettore dei padri di famiglia, dei falegnami (anch’egli lo era, ma può anche darsi – secondo le ricerche degli esegeti e degli studiosi in questi campi – che fosse addirittura carpentiere o muratore), degli ebanisti, dei carpentieri, degli operai, dei lavoratori (primo maggio), degli economi, dei monti di pietà, dei procuratori legali, dei pionieri, dei senzatetto e dei moribondi (quale patrono della buona morte). Anche a Salerno, durante la processione del santo patrono Matteo, percorre il tragitto processionale anche la statua di S. Giuseppe, insieme a quella dei tre martiri salernitani Caio, Ante e Fortunato. Si invoca S. Giuseppe per la buona morte, contro le tentazioni della carne e contro le sofferenze dell’agonia. Inoltre S. Giuseppe, esempio di umiltà e di rassegnazione anche (ma non limitandosi a questo) per non aver voluto lapidare Maria, sua fidanzata ma già (secondo la cultura quei tempi) convivente sotto lo stesso tetto e per aver compiuto la volontà di Dio pur senza comprendere il grande mistero della salvezza da parte della sua sposa, è patrono della Chiesa Universale, della Chiesa Cattolica, dell’Associazione Cristiana Lavoratori Italiana (Acli), dell’Azione Cattolica Italiana, dei paesi di S. Giuseppe Vesuviano (Na), di Cattolica Eraclea (Ag), di Bagheria (Pa), di Cecina (Li) e di tante altre cittadine oltre agli Stati del Canada, della Boemia, del Perù. Tra i rituali per S. Giuseppe, a Mercato S. Severino si viveva, nella notte tra il 18 e il 19 marzo, il “fucarone” di S. Giuseppe, ovvero l’accensione della luce del fuoco – apotropaico – che tanto viene decantato come purificatore dei peccati della comunità da quando Prometeo/S. Antonio Abate lo portò dall’Inferno. Ciò avveniva nella frazione Piazza del Galdo, di fronte la chiesa; guarda caso la frazione è o per lo meno era piena di falegnami (ogni frazione di S. Severino possedeva una “categoria” artigianale, come ad esempio i costruttori di sporte o “sportellari” e di scale o “scalari” a Spiano o altri specifici mestieri, oggi in larga parte scomparsi). A S. Severino i miti/riti del fuoco, oltre al già citato Ciuccio di Fuoco, erano diversi. Si ricordano infatti le feste col fuoco, le “battaliolae”, di origine medievale, nonché i “surdati da’Mmaculata” l’otto dicembre. Un evento simile al “fucarone” di S. Giuseppe, con la presenza di “puta” o potatura di rami di ulivo come si vedevano fino alla frana del ’98 nell’ambito dei Misteri di Bracigliano, che si accende per il passaggio dall’inverno alla primavera verso l’equinozio e quindi dall’infanzia alla fase adulta, sono le “Fallas de sant Josep”, a Valencia di Spagna: è un vero avvenimento, sempre “giocando col fuoco”, che vede giungere frotte di visitatori e turisti da ogni parte del mondo. Si tratta di un felice mix di celebrazione religiosa e profana, con giochi pirotecnici, sfilate in costume, musicisti e festival gastronomico.Il clou della festa si concentra tra il 12 e il 19 marzo, ma già dall’inizio del mese la città si colora, grazie appunto agli spettacoli pirotecnici, detti. “mascletàs”. Una festa popolare, insomma, con complesse strutture di legno che rappresentano personaggi o avvenimenti noti (un po’ come nel Ciuccio di Fuoco a S. Severino, anche se mutatis mutandae con qualche sostanziale differenza) formati da una parte centrale – alta fino a 40 metri – circondata da altre figure la cui realizzazione impegna per mesi maestranze di prim’ordine. Le strutture vengono esposte per le strade di Valencia (la cosiddetta “plantà”) e infine date alle fiamme, come appunto accade del simulacro di cartapesta del Ciuccio di Fuoco, il quale sparisce e si incendia tra i biancali e i fuochi d’artificio nella notte tra il 15 e il 16 agosto, l’Assunta, per l’antico rito di rinnovo dei contratti agrari dell’indizione “bizantina”. La “cremà”, (cremare significa bruciare) ovvero la “cavalcata del fuoco” che preannuncia le fiamme (fallas) è poi l’atto conclusivo della festa. La cerimonia (fonte: la rivista Medioevo di marzo) nasce da un insieme di antiche tradizioni: in primo luogo quelle dei falegnami, di cui è patrono Giuseppe. Essi, infatti, il 19 marzo bruciavano i resti di segatura e legno inservibile per liberare le botteghe; l’abitudine si fuse poi con un altro uso: il bruciare in ogni quartiere di Valencia alla fine dell’inverno e mentre le giornate si allungano il lampadario (palo con appese fiaccole e lucerne) usato sempre nelle botteghe del legno durante i mesi bui (rapporto tra fuoco e luce, calore, anche di Dio, anche del rito-mito del Sole, del Ra egiziano, il “sol invictus”; rapporto anche tra Cerere e Proserpina dei mesi più oscuri, quelli invernali…). Col tempo, il palo fu vestito di stracci, che davano vita col passare dei giorni a una fisionomia precisa (come per quanto accade ai personaggi che cavalcano superstiziosamente e scaramanticamente la groppa del Ciuccio di Fuoco a S. Severino); fino a che prese piede l’usanza di trasformare tali stracci in caricature da incendiare in un rito liberatorio e purificatorio. Il termine “fallas”, inoltre, deriva dalla parola con cui si indicavano le torce collocate sulle torri a difesa della cittadina. La festa è anche una gara tra fallas, che avviene per categorie, pure infantili, dato che perfino i bambini partecipano attivamente alla realizzazione delle stesse fallas. La falla che vince verrà bruciata per ultima, mentre le figure succitate, dette “ninots” vengono salvate o “indultate” dal fuoco e portate al Museo Fallero. Con la seguente processione e l’offerta di fiori alla Madonna il rito religioso si sposa felicemente con quello pagano. Il culto di S. Giuseppe era già praticato nella Chiesa d’Oriente attorno al quarto secolo; in Occidente esso culto ha avuto risonanza solo attorno all’anno Mille, come attestato particolarmente dal martirologio del monastero di Reichenau che lo ricorda il 19 marzo, festa universale della Chiesa. Tornando un attimo al pagano, ricordiamo i dolci tipici della ricorrenza di S. Giuseppe: le zeppole “krapfen” e le zeppole “bignè” (di cui si potrebbe parlare a lungo per tutto ciò che significano) che ricordano entrambe il simbolo “alfa”, “l’aleph” fenicio e greco che proviene dalla testa del toro, come è la “A” rovesciandola. Tantissime nonché antichissime le tradizioni popolari che avvengono in tutta Italia per festeggiare il santo; tra queste abbiamo solo il tempo di accennare – per non rendere eccessivamente lungo tale articolo, già di per sé lunghissimo, come nostra… “tradizione” e (cattiva) abitudine – alla festa che avviene ad Alessandria della Rocca, in provincia di Agrigento, ma ci torneremo magari in un altro articolo più “monografico”, cioè parlando solo di questo argomento. Concludiamo infatti dicendo che in questo paese si preparano “i pietanzi”, piatti tipici come la pignolata, i vuccidrati (pani che ricordano i campani vuccilli) e li sfrinci fritti e si vivono particolari momenti misterici con la Deputazione di S. Giuseppe o Comitato e i “Santi”, occasioni antropologiche ed etnografiche importanti che culminano in grandi pranzi e devozioni particolarmente sentite.