Il giornalista nell’Italia del terzo millennio

Giuseppe Lembo

Un tempo il giornalismo era vario come la vita e rappresentava la vita, facendo conoscere tutte le notizie utili al cittadino ed alla società. Oggi, purtroppo, nel nostro Paese il clima della comunicazione per niente autentica, è fortemente cambiato; anche il giornalismo e chi lo rappresenta in linea di massima si è allineato al potere e rispecchia il clima di mediocrità generale che, purtroppo, ammorba tutti gli apparati della società civile ed i singoli cittadini che ne fanno parte e la esprimano. Il giornalismo fa da cassa risonanza del malessere e dei tradimenti sociali in cui è precipitato il nostro Paese. I padri del nostro giornalismo di un tempo avevano altri obiettivi; con impegno raccontavano la società e creavano nel cittadino i presupposti per essere dei buoni cittadini e sul piano etico crescere sia in umanità che in socialità. Si dice che anche il giornalista non è altro che lo specchio della società; la rappresenta evidenziandone vizi e virtù. Purtroppo i vizi hanno cancellato le virtù, per cui le pagine dei nostri quotidiani sono la cassa di risonanza soprattutto dei mali d’Italia. Al primo posto ed in primo piano c’è la corruzione politica e sociale; ci sono gli scandali; ci sono le inefficienze degli apparati; c’è il fango che ormai avvolge il sistema paese, rendendolo inefficiente ed immorale. C’è, tra l’altro, la cronaca quotidiana di quella giustizia ingiusta, un male profondo che vede la casta dei magistrati impegnati più all’assalto della diligenza che ad esercitare il ruolo di competenza che è quello di applicare la legge e di garantire il “diritto” ai cittadini. Purtroppo sono tanti i mali d’Italia che fanno del nostro Paese, un Paese dagli scenari tristi, dove tutti sono impegnati a gridare sempre di più, in una feroce lotta da “tutti contro tutti”. Cui prodest, dicevano i latini; a chi giova, diciamo noi agli italiani del Terzo Millennio, questo scontro senza confronto che provoca macerie, solitudine e danni morali alla società civile, ormai senza rete, senza regole, senza etica condivisa e con apparati che, in tutti i campi, giornalismo compreso, non riescono più a fare il proprio dovere che è quello di costruire la politica, l’uomo politico, le scelte utili per al bene comune, il dialogo, il confronto, il senso della giustizia giusta e di chi la rappresenta in nome della legge e del diritto, espressione e forza di una società civile, finalizzata a solo obiettivo dell’uomo e contro l’uomo? Giornalisti, amici giornalisti, cambiate! Riprendetevi tra le mani la più bella delle professioni che serve all’uomo di oggi e di domani! Rispettate dentro di voi le regole del comunicare autentico; le buone regole a base del fare informazione è di dare le notizie giuste alla gente! Il vostro è un ruolo molto serio, direi sacro, per cui lo dovete ben vivere, rispettando i lettori che sono ormai stanchi di notizie gridate, di scandali veri o falsi che siano. La società deve essere prima di tutto la società del possibile e quindi positiva; a questo obiettivo devono concorrere la scuola, la famiglia, le istituzioni, la cultura e la comunicazione. Il giornalista non è un paroliere fine a se stesso; non è e non deve essere un uomo di potere; dipendente e (peggio ancora) servo del potere. È un uomo di cultura che deve saper credere nei valori della società e tenerli al centro di un comunicare autentico, obiettivo primario di un fare giornalismo per la gente, oggi dimenticato dai più. Nel nostro ruolo di giornalisti, ogni giorno parliamo degli altri, di tutti gli altri che formano la società. Se alla base della nostra professione ci sono i vizi della società che ogni giorno raccontiamo (le falsità, l’affarismo, i privilegi del potere, le prepotenze sugli altri, il fare scandalo a tutti i costi, la responsabilità di imbrogliare i lettori, il protagonismo gratuito del proprio ruolo, un tifo da stadio per questo e/o quel potere, espresso attraverso la compiacenza delle parole, un senso oscurato della libertà e della giustizia, una scarsa sensibilità democratica e civile, un annunciare catastrofi di comodo, una falsa interpretazione dei bisogni, una partecipazione che offende la verità in quanto tale), se questi ed altri sono anche i vostri vizi, maldestramente offerti in pasto ai lettori, attraverso l’insieme della piazza mediatica e comunicativa, l’arena moderna del giornalismo italiano, allora vi manca quel senso etico e di autorità morale che abilita a parlare agli altri, per migliorarne le condizioni di vita singole e/o associate. Siamo di fronte ad una situazione umana e sociale di forte decadenza, per cui preoccupante; per evitare che l’iceberg dei mali del paese avvolgano e travolgano irrimediabilmente tutto e tutti, dobbiamo fermarci a riflettere; a riprenderci la vita nei ruoli propri della società che, così com’è, sta precipitando nel buio più assoluto. Concludo dicendo che, purtroppo siamo di fronte ad una preoccupante caduta di tensione morale e professionale della categoria dei giornalisti italiani e degli ordini professionali che li rappresentano, dove entrano “orde” di new entry, sempre più prive di professionalità, di capacità critica ed espressiva, di uso corretto del linguaggio; sono portatori di contenuti molto limitati, espressione e voce della cultura degli “sms” e delle “pillole” di un comunicare per slogan che non hanno niente in comune con il vecchio e nobile giornalismo dei padri del comunicare che usavano come strumento dello scrivere la penna e la “lettera 22” con cui costruivano un pensiero comunicante fatto di valori e di contenuti utili alla gente.