L’influenza AH1N1 e l’etica sociale

 

Giovanna Rezzoagli

L’etica sociale, nella sua accezione più comune, è intesa come l’insieme di valori condivisi in una struttura sociale. L’etica in rapporto alla percezione soggettiva ed all’adesione personale di tali valori, assume la valenza di morale. Il lettore potrà chiedersi come si possano associare i valori etici alla pandemia che tanto duramente sta colpendo il nostro Paese. A mio avviso, i legami sono molti, e la loro analisi può aiutare a riflettere su come ciascuno di noi concretamente si rapporti con la società in cui è inserito. Nel Tigullio orientale la nuova influenza si sta rapidamente diffondendo, al momento con sei casi definiti seri ed un ricovero in reparto rianimazione, fortunatamente, nessuna vittima. La gente ancora non manifesta timori particolari, anche se gli accessi all’unico pronto soccorso della zona sono considerevolmente aumentati. La prenotazione per effettuare la vaccinazione non è problematica ed i tempi di attesa sono nell’ordine di pochi giorni. Il piano di vaccinazione delle categorie a rischio è partito puntualmente il 2 novembre. Ci sono scuole nelle quali il virus ha decimato le classi, altre in cui non sembra essere ancora diffuso. Nessuno ancora circola con mascherine e, apparentemente, la situazione è tranquilla. Apparentemente. In realtà la confusione regna sovrana. In quanto moglie e madre di persone appartenenti a categorie a rischio, ho avuto modo di confrontarmi con persone che avrebbero diritto al vaccino ma che non si sottoporranno alla vaccinazione perché sconsigliati dal proprio medico curante, oppure, all’opposto con genitori che vorrebbero sottoporre i loro figli al vaccino anche se non a grave rischio di complicanze in caso di contagio. Le persone non addette al mondo sanitario hanno tutti i diritti di sviluppare le proprie convinzioni, ed è indubbio che le informazioni diffuse sull’influenza AH1N1 siano contraddittorie. La gente comune si chiede per quale motivo dovrebbe vaccinarsi se il proprio medico non lo fa, o per quale motivo il pediatra del proprio figlio consiglia addirittura di esporsi al contagio perchè “così si fanno gli anticorpi”. Premesso che la vaccinazione è comunque un atto volontario, la domanda principale riguarda coloro che, per professione, sono a rischio non solo di contrarre, ma soprattutto di contribuire a diffondere il virus. Quando si ricopre un ruolo sociale, come quello del medico o dell’insegnante, si ha eticamente e moralmente il diritto di favorire il contagio dei soggetti che usufruiscono delle proprie prestazioni? Nell’Italia delle deresponsabilizzazioni, la risposta è scontata. Credo comunque che ciascun medico, o pediatra, abbia l’obbligo morale e deontologico di consigliare i propri pazienti solo, unicamente ed esclusivamente, sulla base delle proprie competenze e conoscenze scientifiche, non sulla base delle proprie convinzioni personali. Recentemente, nella classe che frequenta mio figlio, ben due insegnanti si sono permesse considerazioni personali sull’utilità di sottoporsi alla vaccinazione, sostenendo l’una l’inutilità della stessa vista la diffusione attuale della malattia, l’altra sostenendo che il vaccino era un alibi per far guadagnare le case farmaceutiche. Presumo che non si tratti di un fenomeno isolato e che simili episodi siano molto frequenti. Eticamente ciò è del tutto inaccettabile, perché un docente non può permettersi di disquisire di competenze che non gli sono proprie, anche ed in ragione del proprio ruolo di formatore e di possibile modello educativo. Moralmente perché non manifesta, con le proprie esternazioni, il rispetto dovuto ai bambini ed ai ragazzi che, per motivi di salute devono sottoporsi al vaccino. Altro discorso quello degli immancabili furbi, pronti ad “inventarsi” patologie più o meno gravi pur di ricevere una dose di vaccino prima possibile, o che si affrettano a trattare da “untore” il proprio prossimo anche solo per uno starnuto, come testimoniato da un giornalista de “IL SECOLO XIX” in un’inchiesta pubblicata oggi. Poi ci sono coloro che trovano normale servire da un banco del supermercato senza indossare nemmeno i guanti, anche in questo momento delicato. Eppure dovrebbero esserci delle norme igieniche minime da rispettare quando si lavora a contatto col pubblico, non solo in epoca di pandemia. E’ parere della scrivente che manchi un’etica condivisa su cui fare affidamento, frutto di una scarsissima coesione sociale. La morale individuale non è quantificabile, ma visto il contesto sociale nel quale si genera, i dubbi sono legittimi. Topo Gigio ci ha provato, Fazio ci prova tutti i giorni, ma il messaggio di civiltà e buon senso non trova terreno fertile.