Donne e democrazia nell’antica Atene

 Maurizio Manzo

L’Iliade di Omero, studiata da tutti, è il primo grande poema epico delle letteratura europea, l’ apprezzatissimo repertorio di quanto è nobile e prezioso nella nostra eredità culturale occidentale, ma in realtà l’Iliade parla delle gesta di guerra e di saccheggi ed in quest’ultimi vanno compresi donne e bambini. Il racconto omerico esalta l’eroismo guerresco maschile e mai (come in buona parte della letteratura greca) si evidenzia e discute sulla legittimità di ritenere una donna o un fanciullo oggetto di schiavitù, anche sessuale. Nell’antica Atene le donne non potevano aspettarsi troppa protezione, tant’è vero che la stessa legge di Solone (padre della democrazia Ateniese), che stabiliva il diritto all’eredita delle figlie che non avevano fratelli, sembrerebbe non offrisse buona protezione alle donne, infatti le eredi erano, comunque, costrette a sottostare ad una tutela maschile e la quota ereditabile non poteva essere superiore ad un “medimno”= circa un ettaro. Lo stesso Solone emise anche uno statuto secondo il quale: …la figlia che perdeva la verginità prima del matrimonio poteva essere venduta come schiava. Come rileva la storica Eva Keuls nella società democratica Ateniese (del periodo classico) non v’era grande differenza di status tra le donne e gli schiavi, il dominio del maschio sulla femmina era assoluto, come il padrone sullo schiavo, ed i diritti della donna erano protetti solo se la stessa era in proprietà di un uomo. Nel suo libro The reign of the phallus: sexual politcs in ancient Athens (Il regno della fallocrazia) Eva Keuls sferra un attacco deciso verso le teorie di tutti gli altri classicisti; la stessa dopo approfonditi studi documentali (leggi, discorsi, documenti) ed analisi dei dipinti, ha tratto un quadro più realistico della vita nell’Atene del periodo classico; ponendo in evidenza: il rapporto esistente tra la repressione delle donne e l’espansionismo militare; rilevando che correnti sotterranee di protesta a tale sistema furono sempre presenti culminando nel 415 a.c.; riferendo che nelle dimore ateniesi le donne erano segregate in speciali quartieri, al fin di controllare le loro attività in particolare quelle sessuali, tant’è vero che in Atene esisteva una polizia: gynaikonomoi che aveva il compito (detto da Aristotele) di limitare i movimenti delle donne a protezione della loro castità, lo scrittore Eschine riferisce di un padre che scoprendo la figlia corrotta la murò viva (usanza praticata in tempi molto più recenti anche in dalle nostre parti). Ancora la Keuls riferisce dell’atroce trattamento riservato agli schiavi, quest’ultimi poteva testimoniare nei processi ma solo se torturati, all’uopo era istituita una camera pubblica della tortura. Spesso le schiave erano le bambine che i genitori abbandonavano dopo la nascita secondo la pratica diffusa di “esporre” le neonate; molte di queste schiave venivano rese produttive con la prostituzione, il controllo dei prezzi nella prostituzione era un’importante istituzione ateniese. Per assicurare agli uomini il totale controllo sulle donne vigevano elaborate leggi contro l’adulterio della donna, per esempio le mogli adultere: potevano subire qualsiasi maltrattamento; se venivano trovate in rituali pubblici chiunque poteva strappar loro le vesti e prenderle a calci; i mariti delle adultere non potevano restare sposati con loro. Naturalmente le donne erano escluse da pubblici uffici, dal voto, dall’istruzione. Concludendo nell’Atene classica (come pure Aristotele sosteneva) le donne erano inferiori all’uomo e pertanto disprezzabili. Non a caso i più celebrati rapporti amorosi nell’antica Atene non erano tra donne e uomini. ma tra uomini ed uomini, ovvero tra uomini e ragazzi.