Monte S.Giacomo: tutti a giudizio per strada e casa

Aldo Bianchini 

Prima di ritornare all’inchiesta giornalistica già annunciata è necessario fare la cronaca di quanto avvenuto dinnanzi al GUP del Tribunale di Sala Consilina dr. Luciano Di Transo nell’udienza del 9 ottobre scorso. E’ stata una seduta breve ma piuttosto intensa sia per la qualità degli interventi che per la serenità con cui le opposte difese hanno descritto le rispettive posizioni. Spicca, ovviamente, la figura della pubblica accusa rappresentata in udienza dal procuratore capo dr. Amato Barile che è rimasto al suo posto fin oltre le ore 17, momento in cui il GUP ha pubblicato la sua decisione di rinviare a giudizio in collegio per la prima udienza del 7 gennaio 2010 i sette imputati. Mele Luigino (imprenditore – intestatario del Permesso di Costruire), Saverio Romano (architetto – direttore lavori), Vincenzo Cardamone (geometra – responsabile procedimento del comune), Angelo Spina (assessore comunale), ing. Felice Marmo, arch. Antonio Zoccoli e il geom. Antonio Del Prete (questi ultimi tre quali componenti la commissione edilizia comunale di Monte San Giacomo). Questi rinvii a giudizio riguardano il fabbricato ristrutturato in loc. Pegliera di Monte San Giacomo, fabbricato rurale di proprietà dell’imprenditore Luigino Mele di Sala Consilina. Fabbricato da adibire, secondo le giuste intenzioni di Mele, ad “attività recettiva in casa rurale (country house)” così come previsto dalla “L.R. Campania n. 17/2001”. Proprio sull’attività cui il fabbricato era destinato il collegio difensivo ha concentrato i propri interventi. Gli avvocati Perongini, Celebrano e D’Aniello hanno portato avanti un’attenta battaglia diretta a dimostrare che non ci sono mai stati momenti di illegittimità. Difatti, a loro dire, il principale imputato (Luigino Mele) non ha mai cambiato la destinazione d’uso del fabbricato ma ne ha solo distinto la destinazione facendola ricadere tra quelle comprese nell’attività recettiva extralberghiera pertinente all’attività agricola. Attività agricola che, comunque, è stata di fatto impedita al Mele a causa del sequestro giudiziario dell’intero complesso. Anche la volumetria del fabbricato è stata contenuta entro i limiti consentiti in aumento rispetto al fabbricato esistente e per quanto attiene il requisito soggettivo di “coltivatore diretto” la difesa ha spiegato che non è espressamente previsto dalla legge in quanto poteva essere messo in atto come conseguente all’attività extralberghiera che non è stato possibile avviare anche se i terreni, di cui il caseggiato è a servizio,  sono già da tempo costantemente coltivati.  Per quanto riguarda, infine, l’atto di asservimento dei suoli all’immobile, secondo la difesa, è in pratica sostituito dalla “pertinenza” che l’immobile stesso e i suoli hanno tra loro. Brillante ed accorata la lunga difesa di Sergio Perongini che, se al momento non ha prodotto grossi risultati, potrebbe invece essere decisiva al momento del pubblico dibattimento dinnanzi al collegio presieduto dal dr. Luciano Santoro (Presidente del Tribunale). L’accusa di falso che è stata elevata a carico di Vincenzo Cardamone (responsabile del procedimento comunale) appare addirittura sproporzionata, a dire della difesa, rispetto al fatto che il predetto ha validato il procedimento soltanto dopo averne accertato la regolarità con tutte le autorizzazioni possibili, anche quelle della Soprintendenza; ed è quanto dire. Per Luigino Mele, poi, il falso sembra addirittura ridicolo non avendo lo stesso mai avuto rapporti, se non quelli doverosi tra tecnico dell’ UTC (Cardamone) e cittadino (Mele) che presenta istanza, e neppure di semplice conoscenza con tutti i componenti la Commissione Edilizia. Assolutamente irreale, per non dire assurda, l’accusa a carico dell’arch. Saverio Romano che ha diretto i lavori osservando pedissequamente i limiti imposti dalle licenze e dalle autorizzazioni. Quest’ultimo si vede anche compreso nell’altro rinvio a giudizio per questa complessa vicenda. Il 14 dicembre prossimo, difatti, sarà celebrata una nuova udienza per quel processo che porta il nome di “strada su suolo demaniale” e che vede come imputati anche Luigino Mele unitamente all’impresa di costruzioni Carmine Santangelo. Le foto vi mostrano il fabbricato e la strada nel parco così com’era prima dell’inizio dei lavori incriminati. Con la cronaca, non velinata, per oggi mi fermo qui. Con la prossima puntata riprenderò la ricostruzione giornalistica dell’intera vicenda.