Il Politico e la “parola d’onore”

Aldo Bianchini

Un tempo, prima che i magistrati con la fantasiosa accusa del “voto di scambio” seminassero lo scompiglio nel variegato mondo politico, non si parlava assolutamente di voto di scambio ma soltanto di “promesse di lavoro” sulla base di un accordo non scritto ma basato sulla parola tra politico e potenziale grande elettore o semplice elettore. L’accordo veniva quasi sempre sancito con due paroline ad effetto che il politico non lesinava quasi mai: “Parola d’onore”. L’interlocutore andava via contento e felice e trasmetteva queste sue sensazioni a tutto il resto della famiglia. Le delusioni certo non mancavano, ma esisteva sempre una nuova occasione, un’altra possibilità. Perchè, a quei tempi, dare la “parola d’onore” voleva dire che prima o poi qualcosa sarebbe, comunque, accaduto; sempre per il bene dell’elettore, beninteso. Poi arrivò la tangentopoli immaginaria e tutto si sfasciò tranne la “parola d’onore” che i politici della cosiddetta seconda repubblica hanno continuato a dare senza tentennamenti. Ma non è stata mai più la parola d’onore degli uomini della prima repubblica; quella che oggi danno i politici non conta più, ha perso mano a mano il suo valore e il suo significato. Non ne parliamo, poi, del disvalore di quella parola con l’avvento dei nuovi politici “nominati” e “non eletti”. Non esistono più gli archivi cartacei delle famose “raccomandazioni” nei cui armadi affondarono le mani zelanti giudici persecutori di una pratica così abominevole; non ci sono neppure le segreterie. Alcuni si servono addirittura di uffici pubblici, come stazioni delle loro campagne elettorali, e chi più ne ha più ne metta. Insomma, come dire, quando un politico, oggi,  dice “parola d’onore diffidare subito e cercare di trovare qualche altra strada!