Gambino: un caso tra magistratura e questione morale
Aldo Bianchini
La questione morale nell’ambito della sfera della politica è vecchia quanto l’uomo. Spesso, molto spesso, l’azione della magistratura sotto le mentite spoglie della questione morale ha condizionato, oltre ogni ragionevole misura, l’azione politica ed amministrativa di medi e grandi personaggi che dopo le disgrazie giudiziarie sono stati rimessi al loro posto soltanto dalla storia. Anche l’onnipotente Pericle fu abbattuto a causa del poco fedele architetto Fidia che nel progettare e costruire il Partenone, secondo alcuni inquirenti, aveva occultato e distratto danaro pubblico. Non si è mai chiaramente saputo se quelle accuse rispondessero a varità; sta di fatto che Pericle fu sconfitto e Fidia condannato; solo la storia ha rimesso Pericle sul giusto piedistallo. Questi possibili condizionamenti, queste montature artatamente organizzate, insomma la presunta “questione morale” è stata utilizzata a seconda delle circostanze e delle convenienze; non c’è mai stata una regola ben precisa che fissasse i confini oltre i quali dovesse scattare la sua validità con le relative sanzioni. In tempi più recenti ci pensò anche il severo Carlo Alberto che tirò fuori dal cilindro la famigerata “immunità parlamentare” che doveva garantire i personaggi della politica da complotti o colpi di mano in grado di rovesciarli in men che non si dica. Anche il padre costituente Calamandrei gridò spesso in parlamento contro gli sconfinamenti della magistratura a danno della politica; nessuna barriera venne, però, eretta e il rischio di stravolgimenti della vita politica è divenuto sempre più concreto, soprattutto dopo la cosiddetta tangentopoli. Il potere politico è rimasto per troppo tempo alla finestra e non ha saputo o potuto disegnare concreti progetti a tutela della sua stessa azione, in molti casi senza più credito nell’immaginario collettivo. Troppo spesso è stato sufficiennte un semplice “avviso di garanzia” per determinare la conclusione anticipata della parabola politica di questo o quel personaggio. Ora ci si arrovella se la questione morale deve insorgere al momento del rinvio a giudizio, della sentenza di primo grado o dell’appello. Se avessimo la certezza di uno stato di diritto reale, di un’assoluta equidistanza della magistratura, non avrei alcun dubbio nell’affermare che fin dall’avviso di garanzia dovrebbe insorgere la questione morale con le conseguenti dimissioni di chi occupa qualsiasi tipo di carica o di incarico pubblico. Siccome questta certezza non c’è, stante il permanere del contradditorio mondo di leggi e leggine, non è sufficiente che ben quattro giudici monocratici, come messi in fila, dal PM al GIP al GUP fino alla sentenza di primo grado si pronuncino per la colpevolezza; è assolutamente necessario attendere che almeno un collegio di giudicanti (appello) emetta la sentenza di colpevolezza prima di passare alle dimissioni o alle sospensioni. La politica e il legislatore annaspano in un pantano paludoso quando da un lato sostengono che le sentenze sono esecutive solo dopo l’appello e dall’altro danno mandato ai Prefetti di sospendere dalle rispettive cariche i personaggi politici colpiti da sentenza di primo grado. Ed è proprio in questo pantano che allignano congiure, dubbi, sospetti ed azioni mediatiche e strumentali. Il complicatissimo caso Gambino può, senza dubbio, essere ricondotto nel suo giusto alveo se prima di “sparare” qualsiasi giudizio morale si pensi a tutto quanto innanzi descritto, senza voler assolvere nè condannare. Alberico Gambino, il sindaco più votato d’Italia, chi lo potrà mai risarcire se in sede d’appello sarà assolto ?
Ma quale principe del foro ha consigliato l’ottimo sindaco Gambino ad adottare la scelta processuale del rito abbreviato? Si è mai sentito di un uomo politico che,conivolto in processi penali anche dall’esito assolutorio scontato, abbia mai adottato questa scelta?
Cercate di divulgare anche il nome del difensore del Sindaco Gambino,può essere utile conoscerlo.
Auguri Alberico.