Psicopatologia e fabbrica delle illusioni

Giovanna Rezzoagli.

In psicopatologia il termine ”illusione”assume una accezione ben precisa, legata alla percezione sensitiva della realtà. E’, in pratica, il frutto di una distorsione della realtà oggettivabile trasmessa attraverso i recettori sensoriali al sistema nervoso centrale. Nel linguaggio parlato l’illusione rappresenta un elemento in cui un soggetto ha investito speranze ed aspettative che poi sono andate deluse. Tutti ci siamo illusi almeno una volta nella vita, è un’esperienza comune che aiuta a maturare e a dimensionare i futuri investimenti affettivi  su parametri sviluppati su di una pur soggettiva concretezza. Ma, come è ovvio, un conto è nutrire aspettative illusorie da adolescenti e/o durante la giovinezza, altro è mantenerle nella fase della maturità. Maturità che arriva sempre più tardi nella vita, sempre che arrivi. La nostra società presenta una dicotomia manifesta agli occhi di chi vuole vedere: da un lato disoccupazione, aumento dei fenomeni di dipendenza, perdita del senso morale nella condotta personale, scarso rispetto per la diversità dell’Altro; dall’altro quarantenni bamboccioni mantenuti da genitori che non hanno mai reciso il cordone ombelicale, scuola che sino a ieri era un diplomificio a cielo aperto, folla e ressa a qualsiasi provino di qualsiasi “reality”. Gianni Agnelli ha coniato una definizione estremamente dissacrante, ma quanto mai calzante, oggi forse più che allora, in cui affermava che la nostra è la società in cui non è vero ciò che è vero ma è vero quello che appare.  In quest’ottica trova spazio il fenomeno del proliferare dei reality di qualsiasi tipo, si va dall’ormai classico “Grande Fratello” all’americanissimo “Cambio moglie”, in cui due donne si scambiano casa e famiglia per un po’ di tempo… Il vivere inseguendo l’illusione di diventare famosi, come se diventare famosi costituisse un punto di arrivo. A parte il fatto che la celebrità offerta da questi spettacoli è quanto mai transitoria, che cosa resta nell’esistenza di quei pochi che sono transitati nell’olimpo televisivo per poi ricadere nell’oblio quotidiano? Cosa ne è dei 9999 su 10000 scartati e che probabilmente vivono il fallimento del “rifiuto”?  Ovviamente la risposta non è facile da formulare, perché non è difficile immaginare che le case di produzione non ci tengano affatto a pubblicizzare i vissuti dei partecipanti post-reality.  Ma perché il bisogno di apparire a tutti i costi? Nel giovane adolescente è un modo per costruire il proprio se, identificandosi in un modello per poi evolvere verso una costruzione personale. Ma negli adulti? E’ un dramma. Recentemente in una famosa cittadina turistica si sono svolti i provini per partecipare ad un noto reality, giusto per dare il buon esempio, un importante personaggio  con incarichi amministrativi ha partecipato. Credo che questo signore veleggi abbondantemente verso i cinquanta e passa anni. Essere o apparire, per parafrasare un lungimirante scrittore di altri tempi, questo, oggi è il problema, pardon: il dramma.