Umanità perduta – Umanità tradita

Giuseppe Lembo

Purtroppo nel mondo globale crescono di giorno in giorno le situazioni di umanità perduta, di umanità tradita.Non si sa vivere, né pensare ad una convivenza condivisa basata sullo stare insieme, sullo spirito solidale di saper pensare oltre a se stesso; prevale ovunque l’egoismo di un io materializzato ed attento al proprio fare e fortemente orientato al solo  soddisfacimento dei bisogni quotidiani, con al primo posto l’istinto dello stomaco da riempire. Oggi, ovunque, c’è questo eccesso di attenzione per il “mondo dello stomaco” che ha messo in secondo ordine il “mondo dei cervelli” e soprattutto la morale condivisa, l’ethos, lo stare insieme solidale ed il saper rivolgere lo sguardo verso l’altro che non gode di nessuna attenzione. Purtroppo in me sono pensieri frequenti; mi causano angoscia e tristezza. Il deserto umano è il frutto di un individualismo egoistico che ormai fa sentire soli anche vivendo in mezzo alla gente, una folla anonima distratta ed indifferente a tutto quello che le sta attorno. I casi di umanità perduta, di umanità tradita sono ormai frequenti in tutto il mondo; nelle megalopoli, come nelle piccole realtà di periferia. Indifferenza a tutto e per tutto; anche per la morte di chi ti sta a fianco e che un momento prima respirava la tua stessa aria, il tuo stesso ossigeno. Un caso di morte nell’indifferenza ci viene da Napoli, stazione metropolitana di Montesano, dove il povero Petru Birladeandu, colpito a morte da killer assassini, si è trovato per caso in un posto sbagliato al momento sbagliato. Musicista di strada era venuto in Italia, a Napoli dalla Polonia, nella speranza di un’esistenza migliore, di una vita garantita da dignità umana e del pane quotidiano, un diritto per tutti che il mondo globale deve saper sancire in fretta, se non vuole che si trasformi in mondo globale di barbarie per l’uomo, da troppo tempo tradito in tutto e per tutto. La morte di Petru deve rimanere scolpita nelle coscienze di tutti e soprattutto di tutti quelli che gli erano a fianco e che sono fuggiti, indifferenti alla sua vita che si stava spegnendo tra le lacrime e le grida inascoltate della povera compagna di strada. Mirela,  questo è il nome della ragazza, ha lasciato il campo nomadi di Napoli e con i due figli, conservando negli occhi atterriti, l’immagine del compagno morente se ne è “fuiuta” da Napoli, una città simbolo del degrado umano e dell’umanità perduta, dove è sempre più difficile vivere e/o semplicemente sopravvivere e da dove, come diceva in cuor suo disperato Eduardo De Filippo, è meglio andarsene. “Fuitevenne”, era alto e forte il grido di Eduardo contro il degrado ed il malessere sociale della sua città.Ora questo degrado e questo malessere è ovunque enormemente cresciuto.Non si ha rispetto per nessuno e per niente.La città è sempre più violenta. Napoli, con gran parte della Campania, è zona franca per la criminalità che, espropriando lo Stato che non c’è, impone le sue regole, il suo potere criminale, al quale devono sottostare tutti, tanto succede, con la complicità silenziosa delle istituzioni, covi di vipere, sempre più indifferenti ai bisogni di solidaria umanità che, inascoltati, vengono dalla gente, orma senza protezione e certezze di un domani dal futuro condiviso.Il mio augurio, anche se può sembrare retorico e d’occasione (un augurio tante volte ripetuto) è che  Petru Birladeandu, non sia morto invano.Che  il suo martirio abbia un senso per risollevare i cuori pietrificati e per ridare voce ai senza voce. Che rappresenti un forte segnale contro le barbarie di una criminalità camorristica, ormai indifferente  per gli scenari di terrore e di morte che possono colpire tutti, compresi gli innocenti come Petru che si trovava alla stazione di Montesano per chiedere un soldo di solidarietà; vi ha trovato, invece, vittima innocente, del piombo assassino. Birladeandu,  nella faida dei Quartieri di Napoli, immalinconiti dalla violenza dei criminali che ogni giorno li insanguinano con il tributo di vite umane, era assolutamente estraneo alle faide napoletane. Lui musicista di strada, suonando l’organetto, ha cercato di portare una testimonianza di vita. In cambio, mani assassine, gli hanno dato la morte. Per onorare il suo martirio, è augurabile che qualche mano amica recuperi il suo organetto e vada in giro per i Quartieri a suonare, restituendo quella immagine di vita canora e musicale che un tempo, purtroppo ormai lontano, apparteneva a Napoli ed alla Campania.