Cimitile: progettazione portoghese Cannatà e Fernandes chiude ciclo MdA

L’incontro conclusivo del denso calendario strutturato dalla Fondazione SiebenArchi per il Maggio dell’Architettura vede protagonisti il gruppo di progettazione italo-portoghese che fa base ad Oporto. Michele Cannatà, calabrese di Gioia Tauro e Fatima Fernandes,portoghese, uniti nella vita privata ed in quella professionale, mostrano una carrellata di sperimentazioni ed architetture realizzate nel corso della loro esperienza professionale svoltasi tra l’Italia ed il Portogallo. Ad aprire i lavori dell’ultima giornata di incontri – durante la quale è stato, tra l’altro, consegnato il premio alla carriera “Matita d’Oro” all’architetto Nicola Pagliara – è il prorettore dell’Università Federico II Gaetano Manfredi, presente non solo per svolgere un ruolo istituzionale e rappresentare la volontà di apertura al territorio delle sedi di produzione del sapere, piuttosto per manifestarsi come “uomo di questa terra” (fertile diremo). A seguire è il professore Mario Losasso, direttore del dipartimento di Architettura, che ha invece introdotto l’intervento del gruppo Cannatà e Fernandes che contraddistingue la propria opera nei termini di confronto tra tradizione ed innovazione. Dialogo tra passato e presente. Punto cardine della loro ricerca architettonica che si confronta o va ad innestarsi con preesistenze. L’approccio alla questione nuovo-esistente è mostrato attraverso la presentazione della loro casa-studio: una vecchia fabbrica di lacci di scarpe i cui spazi vengono reinterpretati con pochi interventi puntuali per mantenere vivo lo spirito del luogo. Cannatà presenta interventi realizzati nei primi anni di vita professionale in Calabria: edifici di edilizia economica, una piccola cappella che va ad innestarsi su ruderi preesistenti, la trasformazione di un ampio marciapiede in piazza. Tratti lineari, delicati e chiari, rispetto dei materiali in uso, analogia cromatica, pochi elementi essenziali per definire una qualità spaziale tipica dell’architettura portoghese (siziana ad esempio). L’architetto termina il suo intervento mostrando una serie di sperimentazioni sul tema dell’abitare contemporaneo: prototipi di unità autosufficienti energeticamente, flessibili a vari utilizzi e a vari luoghi, oppure eleganti scatole in vetro sabbiato che devono un tributo alla Farnsworh House di Mies. Fatima Fernandes mostra subito il carisma delle sue architetture attraverso un intervento appassionato ed acuto, che non si lascia indebolire dalle difficoltà linguistiche. La figura dell’architetto deve misurarsi sempre con le preesistenze, imparare da esse, capirne il carattere per portare nel futuro non tanto la materia dell’opera, quanto le sensazioni che da essa sono scaturite. Il compito dell’architetto è quello di vedere oltre la materia ,creare visioni, dare forma ai bisogni della società, anche oltrepassando i limiti spaziali della committenza: in questo modo il progetto diventa generatore di ulteriori trasformazioni. Questa è la sintesi metodologica per il “Nucleo museologico del mondo rurale”, in cui un vecchio frantoio incorpora una contemporaneità che si declina con pochi essenziali elementi, rispettosi, bianchi: pareti che non toccano il pavimento, illuminazione che fuoriesce dalle pieghe dei muri. Alla preesistenza si affianca un volume nuovo, sottile, stereometricamente determinato, che rispetta il limite di altezza del frantoio, che delicatamente si alza da terra dal punto in cui supera il volume esistente. La responsabilità dell’architetto sta nella qualificazione dello spazio, che trasforma in luogo per la società, assecondando non solo le esigenze, quanto gli usi già in essere del luogo stesso. Secondo questo postulato viene realizzata la stazione degli autobus di Mogadouro: una piega del terreno accoglie al suo interno lo stazionamento dei mezzi, ma si ricopre di un giardino dove i bambini – principali utenti – possono giocare. Terzo elemento di grande contemporaneità, un tubo vetrato che fuoriesce dalla piega per accogliere una sala di attesa multifunzionale. Architettura che interferisce con il luogo. Architettura che appartiene a chi la vive. Architettura che si esplica nella cura del dettaglio. Paradigmi racchiusi nell’ampliamento scolastico a Ovar. Un nuovo volume curvo si affianca alla scuola esistente dalla forma squadrata: bracci che allacciano il vecchio al nuovo in modo provocatorio, rivestimenti in piastrelle – materiale tipico della località di mare – che creano riconoscimento identitario nel nuovo, giochi di specchi nei corridoi, riflessi della struttura nei soffitti piastrellati che creano illusioni ottiche di dilatazione dello spazio, organizzazione complessa degli interni “per far sì che la monotonia dello spazio non appiattisca la mente”. Componenti di uno spazio che si struttura come una continua scoperta, che lavora con le emozioni. Ultimo lavoro presentato è il “Laboratorio del paesaggio” di Guimaraes. In un luogo paesaggisticamente suggestivo, lungo la sponda di un torrente, vecchi corpi di una fabbrica dismessa ritrovano nuova vita attraverso  un intervento che si fa ancora più silenzioso, con soluzioni di dettaglio semplici “per ottenere risultati migliori”, perché “nelle cose fantastiche non si deve intervenire”, si può solo aggiungere qualità. Termina così il sesto ciclo di conferenze  MdA che “come tutte le cose che, ripetendosi, riescono ad avere un ritmo, incidono sulla nostra cultura”. Parola di Pica Ciamarra.