Il cattolicesimo intransigente

Fulvio Sguerso

 La reazione ideologico-politica  al secolarismo, al contrattualismo, alla  concezione-Illuministica, materialistica e meccanicistica dell’uomo e della storia e alla  conseguente prassi rivoluzionaria  e ai suoi tragici esiti nel terrore giacobino e nelle guerre napoleoniche, da parte dei così definiti cattolici intransigenti e“ultramontanisti” – che postulavano la supremazia dell’autorità del Papa sui vescovi e sulle chiese nazionali – è rappresentata soprattutto dalle opere del conte Joseph de Maistre (1753  – 1821), del visconte Louis de Bonald (1754 – 1840) e del primo Lamennais (1782-1854), autore del Saggio sulla indifferenza in materia di religione (1817- 23). Vediamo ora per sommi capi le posizioni del de Maistre e del de Bonald. De Maistre, fedele suddito del re di Sardegna e suo ambasciatore a Pietroburgo presso lo zar   Alessandro I, vede nella riforma protestante l’inizio del progressivo distacco  del pensiero moderno dall’autorità della Chiesa cattolica e dall’autentica tradizione religiosa, distacco che si accentua nel corso del Settecento, configurandosi non solo come errore filosofico ma, colpa ben più grave, anche come peccato di superbia della ragione umana, che porterà alla rivoluzione e a quell’”immenso mattatoio” che diviene la storia se disancorata dai suoi fondamenti divini. L’uomo infatti,  per il de Maistre (come, prima di lui, per Sant’Agostino), è irrimediabilmente segnato dal peccato originale, ed è quindi vana la sua pretesa di costruire una civitas giusta e ben ordinata, come è vana la sua pretesa di giungere alla verità con le sole sue forze. E’ a causa di questo peccato di superbia che il mondo è preda dalla violenza,  dell’ingiustizia, della crudeltà, della cupidigia, tanto che anche i giusti vengono puniti per le colpe commesse dai peccatori; queste colpe derivano dall’uso, o meglio, dall’abuso improprio e distorto che gli uomini fanno della libertà: la usano  per  ribellarsi anziché sottomettersi ai poteri legittimi istituiti da  Dio stesso, che si serve della Chiesa e dello Stato per attuare i suoi imperscrutabili disegni. C’è qui il netto rifiuto del contrattualismo hobbesiano e roussoviano quale fonte del potere statale: la costituzione politica non può essere opera umana, non può fondarsi sui deliberati di un’ assemblea nazionale di cittadini autonominatasi costituente, poiché l’uomo non ha il potere di creare alcunché in modo autonomo, essendo incapace di bene e di giustizia senza la guida di un’autorità che agisca in nome e per conto di Dio. Come argomenta in Du Pape – opera del 1819, quindi concepita nel pieno della restaurazione – dato che la vera sovranità non può appartenere al popolo o alla nazione,  e la pretesa di fondare il potere politico su principi giuridici razionali non può che finire in tragedia, come ha dimostrato la storia della rivoluzione francese, il de Maistre indica quale unico e salvifico rimedio un potere unico e sovranazionale, un’autorità indivisa e indivisibile superiore a quella degli stessi sovrani assoluti, in grado di impedire l’eventuale  degenerazione delle monarchie assolute in tirannidi; questa autorità superiore non può che essere quella della Chiesa cattolica romana guidata dal Papa, il cui potere, per essere sottratto a ogni giudizio, deve anche essere considerato  infallibile. Nella sua visione provvidenzialistica  della storia, de Maistre giustifica nondimeno anche gli errori e e le efferatezze  della rivoluzione francese, attribuendo  loro una funzione “pedagogica” espiatoria e purificatrice:  anche i mali e le tragedie   della storia rientrano, infatti, nel piano salvifico di Dio (come giustificare altrimenti la presenza del male – morale e fisico – nel mondo?): servono, oltre che a punire la tracotanza dell’uomo, a ricondurlo all’obbedienza dell’unica Legge veramente giusta ed eterna, la sola in grado di garantire una civile convivenza nella pace universale su questa terra. Anche il de Bonald (dopo una breve infatuazione rivoluzionaria) vede nelle pretese di autonomia della ragione e  nell’individualismo libertino dei philosophes  la causa ideologica e storica dei mali che affliggono l’umanità del suo tempo, e  ritiene impossibile – come dichiara in Teoria del potere politico e religioso (1796) fondare un ordinamento costituzionale della società civile sulla sola volontà umana. L’unica vera fonte del diritto e del potere politico è la tradizione, che a sua volta si fonda sulla rivelazione divina. De Bonald conduce la sua battaglia ideologica su due fronti: da una parte confuta il sensismo meccanicistico e dall’altra il razionalismo cartesiano. L’essenza umana non è comprensibile a partire dai suoi organi sensoriali, ma neppure a partire dal cogito ergo sum. Il pensiero che pensa se stesso gli pare un esercizio ingrato e improduttivo, degno dell’attenzione del medico Samuel Tissot, autore di una famosa Dissertazione sulle malattie prodotte  dalla masturbazione (1760). La coscienza individuale non può essere autonoma per il semplice motivo che non è lei ad aver creato le verità eterne che le sono state impresse da Dio, con il linguaggio primitivo,  all’atto della creazione, e poi tramandate di generazione in generazione, sempre tramite il linguaggio, dono divino conservato e tramandato per mezzo della tradizione. Ed è sempre questo linguaggio d’origine divina a farci  riconoscere e a risvegliare in noi le verità innate poste nella nostra coscienza fin dalla creazione del mondo.Così come il linguaggio è l’intermediario tra l’uomo e le verità rivelate, lo   Stato monarchico, anch’esso di origine divina,  è l’intermediario tra il popolo e Dio. Per il de Bonald, così la società  come lo Stato possiedono una struttura gerarchica modellata sulla Trinità, ed estende il modello trinitario dalla teologia alla fisica,  alla società, alla politica: nella teologia Dio sta al Verbo incarnato come il Verbo incarnato sta all’uomo analogamente, nella famiglia c’è il padre, la madre e i figli; in politica abbiamo il re, i ministri e i sudditi. Tutto questo sistema è tenuto insieme e in equilibrio dalla autorità perenne della Chiesa cattolica, e questo è possibile perché la sua autorità non le viene da volontà umana ma divina, e il suo potere quindi non è basato sui

diritti naturali dell’uomo ma sulla Legge immutabile ed eterna di Dio.Per questo il de Bonald contrappone alla dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino la dichiarazione dei diritti di Dio, nei confronti del quale, come

 nei confronti delle autorità politiche e religiose da lui istituite,  i sudditi  hanno soltanto dei  doveri. Il Lamennais, nella fase intransigente del suo percorso ideologico-politico culminata con il Saggio sull’indfferenza  in materia di religione del 1817, accentua l’oltranzismo cattolico-ideologico-religioso del de Maistre e del de Bonald, sostenendo l’urgente necessità di sconfiggere l’indifferentismo, il materialismo ateo e il razionalismo con la forza della fede incarnata nella Chiesa cattolica, cioè universale. Un autorevole e complessivo compendio delle tesi del cattolicesimo intransigente lo possiamo leggere nell’enciclica Mirari Vos (e poi anche nel famoso “Sillabo” di papa Pio IX) emanata da  Gregorio XVI il 5 agosto del 1832, per condannare il liberalismo così in ambito religioso come in ambito politico. L’enciclica era mirata soprattutto contro il Lamennais e la sua “conversione” alla libertà di coscienza, conversione che lo condusse alla rottura con il clero e con la monarchia, all’accettazione sostanziale della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino del 1789 e alla fondazione del giornale “L’Avenir”, il cui motto era: “Dieu et liberté”. In questa enciclica si riafferma  infatti : 1) la condanna della necessità  di un rinnovamento della Chiesa. 2) L’indissolubilità del matrimonio e del celibato ecclesiastico. 3) La condanna dell’indifferentismo religioso. 4) La condanna della libertà di coscienza come corollario dell’indifferentismo. 5) La condanna della libertà di insegnamento, di associazione e di stampa. 6). Il  dovere dei sudditi di sottomettersi ai legittimi sovrani. 7) La condanna della separazione fra Stato e Chiesa. 8). La superiorità gerarchica della Chiesa nei confronti dell’autorità statale : “Per il resto, i nostri cari figli in Cristo, i Principi, assecondino questi comuni voti per il bene della Chiesa e dello Stato: con il loro aiuto e con quella auto-

 rità che devono considerare conferita loro non solo per il governo delle cose terrene, ma in modo speciale per sostenere la Chiesa. Riflettano diligentemente su quanto deve essere fatto per la tranquillità dei loro Imperi e per la salvezza della Chiesa; si persuadano anzi che devono avere più a cuore la causa della fede che quella del Regno”. Dove “Regno”, pur nel contesto di un’enciclica, non va inteso come Regno dei cieli ma proprio come forma statale monarchica retta da un sovrano fedele a Santa Romana Chiesa.