Terremoto e Teodicea

                                                   

 Fulvio Sguerso

Nelle sue Réflexions sur le Désastre de Lisbonne (1756) il giansenista Laurent-Etienne Rondet interpretava il terribile sisma che nel giorno di Ognissanti del 1755 provocò tra le sessanta e le novantamila vittime nella cattolicissima capitale portoghese come un castigo e un monito rivolto da Dio alla cristianità europea affinché abrogasse l’Inquisizione e divenisse più tollerante in fatto di religione. Le riflessioni del Rondet cercavano di rispondere in qualche modo alle domande sulla giustizia divina che inevitabilmente una catastrofe di tale portata, e per di più abbattutasi su una città tra le più devote e osservanti d’Europa,  suscitava non solo tra i philosophes (sono note le tesi antiprovvidenzialistiche di Voltaire e quelle “razionalistiche” di Kant). Tuttavia si tratta di domande che, malgrado il progredire e il diffondersi delle conoscenze sperimentali nel campo delle scienze della Terra, continuano a interpellare le coscienze così dei credenti come degli atei o degli agnostici. Persino in occasione del terremoto che distrusse Messina nel 1908, non mancarono le ammonizioni dai pulpiti e le interpretazioni “teologiche” del disastro, suffragate da circostanze  come la comparsa, nei giorni precedenti, di alcuni graffiti non proprio ispirati alla devozione e lo spettacolo satirico dagli accesi toni anticlericali allestito da un  circolo messinese intitolato al martire del libero pensiero Giordano Bruno.  E non è da escludere che qualcuno, anche oggi, nel segreto del suo cuore, non interpreti il recente terremoto in Abruzzo come un castigo divino per i tanti, i troppi peccati che, come si dice, gridano vendetta al Cielo, e che rimangono per la gran parte impuniti. Già, ma i terremoti e gli tsunami non usano distinguere tra i buoni e i malvagi, tra i veri e i finti uomini d’onore, tra i corrotti e i corruttori,  tra ruffian, baratti e simile lordura e i poveri in ispirito, gli umili e i puri di cuore ,  tra vittime e carnefici, tra padri e figli, nonni e nipoti, madri e lattanti, tra sani e malati (forse, a quanto ci dicono le statistiche, un po’ di più tra ricchi e poveri) e nemmeno tra uomini e bestie; e c’è chi è sopravvissuto e chi è morto agonizzando sotto le macerie: anche là ci sono stati i sommersi e i salvati. Per caso o per Provvidenza? E come spiegare, giustificare, accettare la presenza di quelle bare bianche sotto il cielo nel giorno dei funerali? Di fronte a quelle povere vittime, a quei corpicini di innocenti sommersi nel sonno dalle macerie delle loro case, come possiamo pensare di trovarci nel migliore dei mondi possibili? E come può il Dio Padre Onnipotente Signore del cielo e della terra tollerare tutto questo? Ecco l’eterno ritorno del grido del salmista: “Fino a quando, Signore, / continuerai a tenerti nascosto, / arderà come fuoco la tua ira?” (Sal 88, 47); e l’eterna interrogazione del servo di Dio Giobbe: “Se ho peccato, che cosa ti ho fatto, / o custode dell’uomo?” (Gb 7, 20). Secondo la teologia cristiana Dio si è rivelato all’uomo, sì, certo, ma non completamente; anzi, Dio si è fatto uomo perché, tramite la fede, anche l’uomo si facesse simile a Dio (così come era in principio), non con le sue forze (o debolezze) ma con quelle dello Spirito e quando la sua volontà sarà identica  – “una cosa sola” – a quella del Padre: fiat voluntas tua. Ecco quindi l’origine del male: la non coincidenza della nostra volontà con quella di Dio Padre. E tuttavia, come potremo volere esattamente quello che Dio vuole se ora vediamo “come in uno specchio, in maniera confusa”? Appunto per questo, secondo Leibniz – come già aveva spiegato Agostino – noi non possiamo conoscere gli imperscrutabili disegni di Dio (anzi peccheremmo di superbia se pretendessimo di conoscerli) e, di conseguenza, i nostri giudizi umani sono soggetti all’arbitrio e ad ogni sorta di inganni e di errori, ad esempio proprio quando attribuiamo a Dio, o alla natura, l’origine di qualche nostra disgrazia; ma siccome in Dio non può esservi ombra di male, e la natura è stata creata così da Dio, ogni male che noi possiamo scorgervi è solo frutto del nostro limitato, cangiante e soggettivo punto di vista. D’altronde, a ben considerare, un terremoto, di per sé, non è né un bene né un male: se avvenisse in pieno oceano o in pieno deserto, o magari sulla Luna,  non provocherebbe nessuna tragedia e nemmeno ce ne accorgeremmo. Dunque il male non è nel terremoto ma in noi? E sennò in chi? Da chi proviene il male che incontriamo nel mondo? E potremo mai estirparlo, tagliarlo via come si fa con un bubbone maligno? Abbiamo o non abbiamo questo potere? Ah, Leopardi, cosa mai ti è venuto in mente di scrivere questi versi nella tua Ginestra: “ E la possanza / qui con giusta misura / anco estimar potrà dell’uman seme, / cui la dura nutrice, ov’ei men teme, / con lieve moto in un momento annulla / in parte, e può con moti / poco men lievi ancor subitamente / annichilare in tutto”! E qui potrei anche chiudere questo monologhetto se non rimanesse da dir qualcosa sulle responsabilità umane, o, per meglio dire, inumane che hanno indubbiamente aggravato le già gravi sofferenze provocate dal sisma. Ma che cosa potrei aggiungere alle cose già scritte dai più seri e onesti reporter ed editorialisti dei maggiori quotidiani italiani, cose peraltro già tristemente lette e sentite nelle purtroppo ricorrenti e pressoché ininterrotte emergenze nazionali? Mi limiterò a riportare un brano da Gomorra, citato, per chi non lo avesse ancora letto, da Barbara Spinelli nel suo splendido editoriale sulla Stampa di domenica 19 aprile: “ L’imprenditore italiano che non ha i piedi del suo impero nel cemento non ha speranza alcuna. E’ il mestiere più semplice per far soldi nel più breve tempo possibile….Io so e ho le prove. So come è stata costruita mezza Italia. E più di mezza. Conosco le mani, le dita, i progetti. E la sabbia che ha tirato su palazzi e grattacieli. Quartieri, parchi e ville. A Castelvolturno nessuno dimentica le file dei camion che depredavano il Volturno della sua sabbia…. Ora quella sabbia è nelle pareti dei condomini abruzzesi , nei palazzi di Varese, Asiago, Genova” (pagg. 235-236).   

4 pensieri su “Terremoto e Teodicea

  1. Grazie per questa interessante riflessione che aggiunge una ulteriore conferma a quel modesto background culturale di “punti criticamente assodati” che ritengo di avere. Che una certa “Letteratura” porti a vedere chiavi di lettura di giustizialismo divino nei fenomeni fisici che affliggono l’umanità, non mi stupisce più di tanto se è successo anche per il terremoto di Messina …. A quel filosofo che introdusse (se non sbaglio) proprio il termine “Teodicea” e quella bellissima teoria del “migliore dei mondi possibili” si può pure perdonare qualche sciocchezza: in fin dei conti (parallelamente a Isaac Newton) gli dobbiamo il Calcolo Differenziale …
    Mi sorge maligna una domanda. Ma qualche autodafé (successivo al terremoto di Lisbona) l’ho per caso letto da “qualche parte” su un romanzetto “di bassa lega” o in questo “romanzetto” c’è un serio supporto storico?
    Grazie anticipatamente se vorrà chiarirmi questo dubbio.
    Salvatore Ganci

  2. Sì, il termine “teodicea” è stato coniato da Leibniz nel 1710 e il suo significato etimologico è “dottrina del diritto e della giustizia di Dio; ma nei suoi “Saggi di teodicea” lo utilizza con il senso, poi rimasto nella tradizione filosofica, di “dottrina della giustificazione di Dio rispetto al male presente nel mondo”.
    Quanto agli autodafé (atti di fede, in portoghese) erano certamente in vigore in Spagna e in America Latina e ovunque operasse – si fa per dire – il tribunale dell’Inquisizione. In Portogallo fu istituito nel 1536 e tenuto formalmente in vita fino al 1821.
    Va però anche detto che il suo potere fu limitato dal primo ministro Marchese di Pombal, che si ispirava al cosiddetto dispotismo illuminato e che, scampato fortunosamente al terremoto, si dedicò con energia alla ricostruzione della città e diede impulso e sostegno alla ricerca in capo sismologico. E’ rimasta famosa la sua frase:” Seppelliamo i morti e diamo da mangiare ai vivi”. Spero di aver risposto alla domanda del gentile e attento lettore Salvatore Ganci. Fulvio Sguerso

  3. Gentile Autore, come scrivi tu il terremoto non è ne un bene ne un male. Accade. Triste che lo sciacallo sia sempre pronto a straziare le carni di chi già soffre. Ma questo è l’uomo. Nietzsche ha scritto che la donna è stato il secondo errore di Dio, permettimi di affermare che il primo è stato l’uomo. Grazie Fulvio, un mirabile esempio di lucidità ed intelligenza.
    Giovanna Rezzoagli

  4. Caro Fulvio,
    al momento del primo commento non ero ancora a conoscenza di questa chicca di youtube. Ecco il link:
    http://www.youtube.com/watch?v=obKwqICewQA
    dove Don Livio Fanzaga (Direttore di Radio Maria) fornisce una interessante e dotta interpretazione della Teodicea. Definire le considerazioni di Don Livio Fanzaga di “ottimistica necessità della sofferenza nel mondo” un superamento persino la grandezza di Leibniz, è riduttivo. E’ un vero peccato che ci siano al mondo dei “pessimisti” che non la pensano così.
    C’est la faute de Voltaire?

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