Il caso Ruby si sgonfia

Angelo Cennamo

La bolla di sapone nella quale era finito il presidente del consiglio a seguito della vicenda Ruby, comincia piano piano a dissolversi nel nulla. Il teste chiave della procura milanese, la sedicente escort Nadia Macrì, non ha convinto i pm che l’hanno interrogata a più riprese sulle notti trascorse ad Arcore, nella villa del premier. La Macrì aveva dichiarato nella trasmissione di Santoro, Annozero, di aver incontrato ad una delle serate alle quali era stata invitata la marocchina Ruby, e di aver assistito ad un passaggio di denaro tra il presidente del consiglio e la stessa ragazza, con cui il padrone di casa avrebbe fatto sesso. I riscontri dai tabulati, però, hanno escluso la permanenza della Macrì ad Arcore negli stessi giorni in cui era presente l’allora minorenne Ruby. E solo alcune rielaborazioni in corsa, rispetto alla precedente versione, avrebbero trattenuto i magistrati dall’incriminarla per false dichiarazioni. Ad onor del vero, la credibilità della Macrì era stata già messa a dura prova da due interviste, rilasciate alla stampa da sua madre e dal suo ex marito, nelle quali la ragazza era stata descritta come una raccontaballe in cerca di visibilità e di successo. L’impianto accusatorio, almeno in ordine all’ipotesi del reato di prostituzione minorile, sembra ora vacillare, anche per effetto di una memoria difensiva preparata dai legali del premier, nella quale sono state raccolte le testimonianze di una trentina di persone che hanno frequentato villa San Martino durante le serate incriminate. Tutte negano che le cene del Cavaliere siano mai degenerate in orge o roba simile. Al massimo ci si trastullava guardando dei film o, udite udite, un video dei comizi di Nichi Vendola ( se questa non è perversione!). Anche l’altra accusa, quella per concussione, che si sarebbe consumata per effetto delle telefonate intercorse tra il premier e la Questura di Milano, appare poco fondata. Non si comprende, cioè, quale sia la persona offesa dal reato. Il Questore? Eppure l’interessato nega di aver subito condizionamenti o pressioni. La sua versione, oltre tutto, è stata già avallata dal ministro degli Interni Maroni, e dallo stesso capo della procura milanese, Bruti Liberati, il quale aveva giudicato del tutto regolare la procedura di affido di Ruby al consigliere regionale Minetti. Dunque? Ma non è solo nel merito che l’inchiesta desta delle perplessità. Anche la procedura adottata dai pm meneghini, infatti, mostrerebbe delle falle. La competenza, tanto per cominciare, spetterebbe non ai magistrati di Milano, ma – per territorio – a quelli di Monza ( le telefonate tra il premier ed il capo di gabinetto Ostuni sarebbero intercorse, infatti, tra Arcore e Sesto San Giovanni) e – per funzione – al tribunale dei ministri ( esiste già un precedente simile : l’inchiesta di Trani riguardante anche in quel caso una telefonata, quella fatta da Berlusconi al garante per le comunicazioni, Innocenzi, per contestare il programma televisivo di Santoro). Resta infine da valutare la possibilità o meno – sempre ammesso che non venga sottratta loro l’inchiesta – di “agganciare” l’istanza avanzata dai pm milanesi per ottenere il giudizio immediato – che per il reato di prostituzione minorile non è consentito – all’altra fattispecie criminosa, la concussione. Fatto non del tutto scontato. Insomma, la strada sulla quale si sono incamminati la Boccassini e i suoi colleghi d’ufficio diventa sempre più tortuosa ed impervia, un labirinto senza fine che rischia di arroventare oltremodo, se mai ce ne fosse stato bisogno, il clima della politica. In conclusione, una domanda : ma valeva davvero la pena bloccare il Paese per le notti del bunga bunga, presunto o reale che sia?