Cava de’ Tirreni: Galdi, pianificazione urbanistica e tutela del paesaggio

È stato il candidato Sindaco del Centro destra di Cava de’ Tirreni Marco Galdi, nell’ambito del convegno svoltosi nella sala conferenze del complesso monumentale di Santa Maria al Refugio di Cava de’ Tirreni, a lanciare le proposte in materia urbanistica di cui il candidato alla carica di Governatore della Regione Campania Stefano Caldoro ha già fatto tesoro nel suo programma elettorale. A tratteggiare le criticità dell’attuale sistema e ad illustrare le nuove linee programmatiche sono stati il Prof. Alberto Cuomo, l’Ing. Massimo Adinolfi e l’Avv. Consuelo del Balzo, uniti in un gruppo di lavoro il cui intento è quello di rivalutare la politica urbanistica regionale, rendendola fattore propulsore e non più freno per lo sviluppo della Campania. Portare la co-pianificazione dalle parole ai fatti, riformare il Piano Casa perché sia di reale incentivo per lo sviluppo economico e la riqualificazione territoriale, superare le rigidità del sistema vincolistico campano che inibisce gran parte degli interventi migliorativi del residenziale e del terziario, prevenire e reprimere gli abusi offrendo alternative vantaggiose e di facile ed immediata attuabilità garantendo così il diritto alla casa e alla crescita del terziario nel rispetto della legalità e della salvaguardia del paesaggio identitario, rimuovere gli ostacoli alla rinascita dei centri storici, favorire l’iniziativa privata e le sinergie col pubblico, sono i temi centrali della riforma prospettata. “E’ assurdo che sia di fatto impedito finanche di mettere in sicurezza o riammodernare le strutture esistenti, che i vincoli siano apposti in modo tale da paralizzare l’edilizia su di un versante di una strada e consentire l’edificazione selvaggia dall’altra, che si paralizzi il 60% del territorio campano senza dettare norme d’uso chiare ed univoche delle aree. Il risultato? L’arbitrio della Sovrintendenza che non è ancorata ad alcun criterio oggettivo per rilasciare i propri determinanti pareri, l’incertezza dei diritti edificatori che porta i privati a scegliere la strada dell’abuso o quella dell’abbandono o, nella migliore delle ipotesi, quella dell’ingolfamento dei tribunali amministrativi, un diffuso malcontento ed una drammatica sfiducia nelle istituzioni. Il tutto accompagnato dal proliferare di scempi ambientali ed urbanistici, dal malcostume e dalla corruzione, dalla cultura della elusione della norma e delle prescrizioni”, ribadiscono gli esponenti del PDL. Le nuove proposte sono chiare: basterebbe consentire davvero agli enti più prossimi, quali le province, di promuovere, coordinare e monitorare un adeguato sviluppo del territorio con una pianificazione intersettoriale ed un supporto diretto agli enti minori ed ai privati, agevolando tutte quelle iniziative di crescita conformi alla tutela del paesaggio, da considerarsi come risorsa e non come “natura morta”. “Che senso ha porre dei limiti di dimensionamento del terziario e del commerciale a Positano o ad Amalfi in base ai quali il 90% delle strutture esistenti sarebbero già in esubero? Dovrebbero forse essere demolite? Che senso ha impedire nella città di Cava l’innalzamento di un solaio interno diretto all’utilizzo più funzionale di un immobile? Che senso ha lo sconcerto istituzionale dinanzi alle tragedie annunciate, se non si incentiva la messa in sicurezza degli stabili e non si promuove la delocalizzazione dalle zone a rischio?” si domandano retoricamente i relatori. E perché la riforma non sia demagogica, spiegano, occorrono procedure edilizie facili, chiare e veloci, con amministrazioni congegnate per essere di ausilio e non di ostacolo a tutti coloro che si muovono nel leale e reale intento di valorizzare le risorse proprie in armonia con le complessive esigenze del territorio.  La città di Cava è un emblema di questa schizofrenica pagina di una Campania “infelix”: tante potenzialità, grandi prospettive, idee sane e virtuose arrestate da un Piano Casa destinato a rimanere sulla carta e da un piano paesistico approvato nel 1987, redatto dieci anni prima, nato già vecchio e desueto, che paradossalmente finisce per alimentare gli abusi di fatto e impedire uno sviluppo di diritto.