Italia-Spagna: riforme scolastiche e il ruolo della cultura umanistica

Amedeo Tesauro

Sono tempi movimentati per il governo, l’esecutivo si giostra su più fronti cercando di portare a conclusione parte delle riforme promesse. Tra esse la “Buona Scuola”, l’ennesima riforma scolastica che interviene sul fronte caldo della formazione e le sue istituzioni. Inutile stare a dire che è dalla scuola che si gettano le basi per il futuro del paese, è talmente evidente che sorprende come troppo spesso si sia pensato di tagliare indiscriminatamente nel settore senza provocare conseguenze. È altresì evidente che il decisionismo di Renzi non poteva saltare il tema, per un qualcuno che ha puntato tutto sul rinnovamento la scuola è ambito su cui bisogna intervenire in maniera tale da imprimere quella “svolta buona” tanto sbandierata. Più assunzioni, più potere ai presidi che formeranno la propria squadra di docenti (alto il rischio di clientelismi di ogni genere), investimenti sul digitale, tirocini alle superiori e nuovi piani formativi con l’introduzione di materie come il diritto, l’economia, l’educazione alle nuove tecnologie. A livello teorico ve ne è per tutti, a livello pratico bisognerà ovviamente vedere cosa rimarrà dei buoni propositi una volta completato l’iter parlamentare, e soprattutto in cosa si tradurranno nel concreto i punti della riforma. Ennesimo provvedimento sulla scuola, il ddl reintegra inoltre parte delle ore tagliate dalla precedente riforma Gelmini, dunque ritornano più forti storia dell’arte e musica. È un segnale importante se messo a confronto con quanto sta avvenendo in Spagna dove, come rivela Il Fatto Quotidiano, la riforma della scuola proposta del ministro José Ignacio Wert prevede la riduzione delle ore di filosofia in favore di materie economiche, al fine di creare i consumatori del futuro” (citazione testuale del ministro Wert). Di più, i grandi banchieri e gli amministratori saranno direttamente coinvolti nella redazione dei programmi, creando un circuito che già ha sollevato molte polemiche nel timore di formare individui economici perfettamente integrati nel sistema, evitando dunque lo sviluppo di un pensiero critico. Se da un lato è assolutamente condannabile l’incapacità della scuola italiana di formare giovani con competenze spendibili nel mondo del lavoro, mettendo in luce mancanze nei metodi di insegnamento e nell’ideazione dei programmi, c’è da essere contenti che nessuno abbia ancora parlato degli studenti come “consumatori del futuro”. Invero anche in Italia si allarga la schiera di chi vorrebbe ridotte al lumicino le competenze cosiddette umanistiche in favore di una supremazia totale del pragmatismo; del resto il trend è già ben lanciato come dimostra il tonfo costante degli iscritti al liceo classico scelto soltanto dal 5,5% degli studenti (la metà di dieci anni fa stando ai dati delle iscrizioni online) , un tempo simbolo della buona formazione e oggi il primo sul banco degli imputati. L’errore sta certamente in come determinate discipline sono strutturate e propinate agli studenti, tuttavia chi vorrebbe tagliare il sapere umanistico così come sta avvenendo in Spagna dimentica come il sapere scientifico solo recentemente ha viaggiato da solo. Nel Medioevo i sapienti si occupavano sia di discipline umanistiche che della scienza come oggi la intendiamo, e ancora nell’Illuminismo un matematico come D’Alembert desiderava racchiudere in un testo (la prima Enciclopedia) tutto lo scibile umano. Sarà soltanto da lì in poi che la razionalizzazione dividerà il mondo in due culture separate, un dibattito lungo che oggi trova nel mercato, nella necessità di spendere le proprie competenze sul campo, un ulteriore punto da affrontare. Tuttavia non si può davvero pensare di ridurre proprio la filosofia, tra tutte, a superfluo accessorio, ovvero una disciplina che in sé è sinonimo di riflessione, speculazione finalizzata alla scoperta, ovvero la disciplina che per prima ha cercato di indagare e razionalizzare il mondo (come detto fino a un certo punto della storia i grandi filosofi si prodigavano anche nella scienza). Ma in generale l’attacco alla cultura umanistica ha senso se porta a migliorarne l’insegnamento magari integrando nuovamente quelle due culture che oggi tanto si vuol dividere. Altrimenti c’è da essere contenti che perlomeno in Italia ancora non si sia pensato di piegare ogni cosa alla necessità pratica ritenendo la formazione critica un surplus evitabile.