Salerno: presentazione libro “questo non è amore” presso Archivio di Stato

Lunedì 2 dicembre, ore 12,30-14, 30, aula 12 di Scienze della Formazione, Campus di Fisciano, nel corso del ciclo di lezioni “La violenza spiegata”, organizzato dall’OGEPO e dalla Società Italiana delle Storiche,  M. Antonietta Selvaggio (Dipartimento Studi Umanistici)  e Carlotta De Leo parlano del libro “Questo non è amore: venti storie raccontano la violenza domestica sulle donne” Martedì 3 dicembre, all’Archivio di Stato di Salerno, alle ore 10,00  l’esperienza di questo libro sarà discussa da Carlotta De Leo,  Eugenia Granito (Archivio di Stato di Salerno), Maria Rosaria Pelizzari (Ogepo Unisa), Wilma Tabano (Spazio Donna), Santa Rossi e Federica Di Martino (Sportello antiviolenza Indiani d’Occidente). Moderatrice Maria Rosaria Meo, della Commissione provinciale Pari Opportunità. L’iniziativa è stata promossa e curata da  Maria Teresa Schiavino e Maria Rita Di Cesare per la biblioteca delle donne Melusine dell’Aquila. Di cosa parliamo quando parliamo d’amore? E di cosa invece quando parliamo di violenza sulle donne? Sono le domande cui cerca di rispondere il volume “Questo non è amore” edito da Marsilio e curato dalle giornaliste del blog “La 27a ora” che fa capo al Corriere della Sera. Il volume sarà presentato al campus di Fisciano e all’Archivio di Stato di Salerno  il 2 e il 3 dicembre 2013. Nel corso delle due giornate discuteranno del libro, insieme a  Carlotta De Leo, giornalista della 27a ora e curatrice del volume, le rappresentanti di istituzioni  e associazioni cittadine impegnate a promuovere sul territorio una cultura di tutela delle donne vittime di violenza: l’OGEPO (Osservatorio interdipartimentale di Studi di genere e Pari Opportunità dell’Università degli Studi di Salerno), la Commissione provinciale Pari Opportunità,  Spazio Donna e lo Sportello Antistalking e antiviolenza Indiani d’Occidente. Tante voci, provenienti da esperienze diverse, per far luce su un fenomeno sempre più diffuso, il cui aspetto  più tragico è il fatto che «la cronaca quotidiana e i dati statistici dicono che a violentare, uccidere, perseguitare, sono mariti, figli, fratelli, amanti, uomini legati affettivamente, famigliarmente alle vittime» (Lea Melandri). Il libro mette alla luce una violenza nascosta, che si consuma spesso all’interno delle pareti domestiche e che vede le donne vittime consenzienti, incapaci di reagire e di ribellarsi per una sorta di visione confusa della relazione, in cui l’idea di amore si mescola con la dipendenza affettiva e con l’accettazione della violenza come normalità, aspetto “naturale” del rapporto tra i sessi (e non invece conseguenza  di una cultura orientata storicamente, che in qualche modo giustifica agli occhi stessi delle donne questi comportamenti). I venti casi emblematici riportati nel libro – storie non solo di donne maltrattate ma anche di uomini maltrattanti, e degli operatori sociali che li seguono –  raccontano la difficoltà, da parte delle donne ma anche degli uomini, di riconoscere il punto in cui finisce l’amore e inizia un’altra storia. Raccontano della incapacità di gestire i sentimenti – paura e rabbia –  chiave di volta di tutti i casi di violenza esercitata e subita. E raccontano, soprattutto, la difficoltà di mettere in sicurezza i due attori del dramma: non basta punire, perché la pena da sola non risolve, e, una volta scontata, i due protagonisti si ritrovano ancora uno di fronte all’altro, prigionieri delle stesse dinamiche.  La pena da sola non basta se chi compie violenza non si riconosce come violento, intraprendendo un percorso di cura che lo porti fuori dal problema. Un’azione di vero contrasto presuppone anche un lavoro molto intenso sulla mentalità collettiva che ancora troppo spesso giustifica questo genere di violenza, colpevolizzando chi la subisce nel momento in cui decide di portarla allo scoperto.