La religione oggi tra laicismo e secolarizzazione

 

Fulvio Sguerso

In un mondo che pare sempre più dominato da “valori” profani come la ricchezza, la potenza della tecnica, la supremazia militare e politica, le biotecnologie, il consumismo di massa,  il benessere materiale e il primato dell’apparire sull’essere, assistiamo al manifestarsi di uno spettacolare ritorno della religione, anzi delle religioni sulla scena della storia e persino della cronaca. Un fenomeno che si pensava ormai avviato a sopravvivere nelle plaghe più povere e inospitali del terzo e quarto mondo, un insieme di miti e di riti di cui qualcuno temeva (e altri profetizzava) l’irreversibile obsolescenza e la progressiva scomparsa dall’anima e dalla cultura viva dell’Occidente, ecco che riemerge più vigoroso e battagliero che mai. Come si spiega e che lettura si può dare di questo risveglio religioso? Si tratta di una vera rinascita o degli ultimi bagliori di un lungo e malinconico tramonto? E, inoltre, è tutto oro quel che luce, o tanti neoconvertiti cavalcano, per esempio, gli ammonimenti e le apostoliche esortazioni dei pastori cattolici a fini politici di parte, magari rivendicando le radici giudaico-cristiane della civiltà europea in funzione antiislamica? Non sarà che molti si professino obbedienti con le labbra in pubblico e poi disobbediscano in privato nel loro cuore? E tuttavia, anche se sulla religiosità di personaggi di spicco del ceto politico e mediatico del nostro Paese è lecito qualche dubbio, non si può negare che, come nota Franco Garelli sulla Stampa dell’11/4, la maggioranza degli italiani “continua a riconoscersi nella religione cattolica, anche se sotto questo grande ombrello convivono forme e intensità religiose molto diverse tra loro”. Come dire che anche in seno alla Chiesa convivono stili di vita e modi di interpretare la Parola non necessariamente coincidenti; e non potrebbe d’altronde essere diversamente in una società pluralista, democratica e secolarizzata in cui vige il diritto della libertà di pensiero e di parola. Quanto poi questa libertà sia condizionata dalla cultura dominante, dalle mode e dai media è un altro discorso. Ma, appunto, quale cultura può considerarsi dominante oggigiorno? O meglio, esiste ancora una cultura dominante? Se la cultura dominante nel medioevo era quella religiosa, e nell’età moderna e contemporanea era quella borghese, capitalistica e laica; quale cultura domina nella società occidentale del terzo millennio? Una risposta ovvia è quella che vede nel mito del progresso tecnico-scientifico la vera religione del nostro tempo; accanto a questa, nondimeno, altri idoli continuano ad essere venerati, come il potere economico-finanziario, parente stretto del dio della guerra, Moloc sanguinario divoratore insaziato e insaziabile di vite umane, esecrato a parole ma onorato nei fatti, come ognuno può constatare anche solo guardando i telegiornali. E le religioni, diciamo così, ufficiali, quale funzione e quale senso conservano in un mondo tanto devastato dai conflitti, dallo sfruttamento selvaggio e criminale delle risorse naturali, da quella che lo stesso Benedetto XVI ha definito “cultura dominante della morte, che si esprime nella droga, nella fuga dal reale, nell’illusorio, nella felicità falsa che si mostra nella menzogna, nella truffa, nell’ingiustizia, nel disprezzo dell’altro, della solidarietà, della responsabilità per i poveri e per i sofferenti, che si mostra in una sessualità che diventa puro divertimento senza responsabilità, che diventa una cosificazione dell’uomo, che non è più persona, ma diventa una merce, una cosa….”? Parole sante! Parole sottoscrivibili anche da un comunista ateo (se le si toglie dal contesto in cui sono state pronunciate, cioè in occasione di un discorso sul significato del Battesimo). Nessuna religione, d’altronde, predica l’odio e la distruzione, tutte esprimono amore per la vita e per la pace, e nonostante ciò si ritorna a parlare di guerre di religione. Come si spiega? La colpa non è certo di noi cristiani, si dirà; non siamo stati noi a dichiarare guerra ai musulmani. Nemmeno degli ebrei in quanti tali. Purtroppo il conflitto israelo-palestinese continua a insanguinare il Medio Oriente. Possibile che non si riesca a metter pace tra i fedeli delle tre religioni monoteiste? In fondo, se c’è un unico Dio, unica dovrebbe anche essere la religione. Come mai, invece, le religioni sono diverse e, in certi casi e in certi paesi, in conflitto aperto tra loro? Le ragioni sono tutte umane, si dirà, non divine: Dio è amore. Il peccato, il male ricade tutto sulle nostre spalle; Dio è il Santo per definizione e non può essere causa dei mali che affliggono l’umanità. Se Dio è il Sommo Bene tutto ciò che non tende, che non è ordinato a Lui è male. Se una religione come la cristiana promette la vittoria sul male, il riscatto dal peccato, la redenzione e il premio finale del paradiso, cioè la vita eterna e beata in Dio, a patto che si accetti e si corrisponda all’amore divino con la nostra fede, le nostra speranza e la nostra carità; e se questa corrispondenza è per così dire resa tangibile per mezzo delle opere, della preghiera  e soprattutto del sacramento eucaristico amministrato dalla Chiesa cattolica, si può ben comprendere che le parole del Pontefice siano accolte da molti come segni di vita e di speranza in mezzo a tante parole vane e irresponsabili. A meno che non sia proprio la Chiesa a dare scandalo! Come è possibile? E’ possibile quando non dice parole di carità e di vita eterna, di accoglienza e di fraternità, ma dice parole di condanna e di esclusione (come quando ha negato la funzione religiosa in chiesa a Piergiorgio Welby). E’ possibile quando si allea con i ricchi e i potenti invece che con i poveri e i diseredati; quando si lascia usare dal potere politico invece di denunciarne gli abusi e la corruttela; quando dogmatizza in base a principi metafisici e non evangelici. Come scrive Gianni Vattimo nel suo Credere di credere “L’interpretazione che Gesù Cristo dà delle profezie del Vecchio Testamento, anzi quella interpretazione che egli stesso è, ne svela il vero senso che, alla fine, è uno solo: l’amore di Dio per le sue creature. E questo senso  “ultimo” , però, proprio per il fatto di essere la caritas , non è mai davvero ultimo, non ha la perentorietà del principio metafisico  oltre il quale non si va e di fronte al quale  cessa ogni domandare”. Di fronte al dogma non rimane altro che obbedire e tacere. Se il ritorno della religione significasse il ritorno ai principi metafisici (su cui magari fondare un’etica stabilita una volta per sempre), verrebbe meno proprio il senso ultimo della buona novella salvifica del Nuovo Testamento. Ma se questo senso ultimo è quello dell’infinità dell’amore divino, allora non c’è più niente di ultimativo e di insuperabile: “Se perseverate nella mia parola, siete veramente miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”.(Gv 8, 31-32). Una verità che libera non può certo essere imposta autoritativamente per decreto o addirittura manu militari. Il giorno in cui la Chiesa parlerà solo il linguaggio dell’amore e del perdono sarà veramente la Gerusalemme celeste e non ci sarà nemmeno più bisogno della religione.