Il parricidio di Alfano

Angelo Cennamo

La giornata convulsa che si è consumata nelle aule del senato e della camera, lo scorso 2 ottobre, ce la ricorderemo a lungo. Non sarà forse il caso di scomodare altre ricorrenze, quali il 25 luglio o l’8 settembre, come fa magnificamente Giuliano Ferrara dalle colonne del Foglio, ma quanto è accaduto, in special modo a Palazzo Madama, verso ora di pranzo, è senza dubbio un fatto destinato ad entrare nella storia recente di questo paese. Per la prima volta, infatti, negli ultimi 20 anni, Silvio Berlusconi ha dovuto cedere lo scettro di leader indiscusso ed indiscutibile del centro destra italiano, quella più che gioiosa macchina da guerra che lui stesso provvide a fondare l’indomani di tangentopoli, sulle ceneri del pentapartito liberal-democristiano che il poll di mani pulite aveva asfaltato a colpi di avvisi di garanzia e di custodie cautelari. Dal ’94 ad oggi, tanta acqua è passata sotto i ponti della seconda Repubblica; destra e sinistra si sono alternate vicendevolmente al governo della Nazione dando vita ad un inedito bipolarismo, materialmente costituzionale, sia pure imperfetto secondo i meccanismi ed i rituali della legge scritta. Sono cambiati governi e, in parte, classi dirigenti, ma la costante di Berlusconi, con il suo karisma, la sua forza seduttiva, non è mai venuta meno. Il Cavaliere ha solcato il ventennio come nessun altro uomo politico europeo del dopoguerra. Ed anche quando le elezioni le ha perdute ( sempre per una manciata di voti) il suo peso politico ha fatto comunque la differenza. Quando lo scorso anno il Pdl staccò la spina al governo tecnico di Mario Monti, Berlusconi si eclissò dalla scena politica ed affidò ad Angelino Alfano la guida del partito. Lo fece alla sua maniera, secondo gli ideali cavallereschi che ritroviamo nei classici di Ludovico Ariosto o di Goffredo di Monmouth. Come Re Artù, il Cavaliere di Arcore poggiò la spada sulla spalla di Angelino e lo mandò a combattere contro i comunisti e le toghe rosse. Altro che democrazia e primarie! Erano i mesi del bunga bunga e dei rigurgiti processuali di Ilda Boccassini. Berlusconi sembrava destinato all’emarginazione istituzionale; per lui avevano rispolverato l’epitaffio consolatorio di padre nobile della destra che lo avrebbe trasformato in una sorta di Donna Assunta in giacca e cravatta. Il ritorno in campo da Santoro, con quella sedia spolverata a Travaglio, per poco non gli restituì la presidenza del Consiglio, alla faccia di chi lo dava per spacciato e ne invocava la successione. Poi la condanna definitiva in Cassazione e il voto sulla decadenza. Lo scontro diventa aspro, non solo politico ma anche istituzionale. Il Berlusconi contro tutti delle ultime ore minaccia di far cadere Letta  e tutti filistei giocando sul pretesto dell’aumento delle tasse. Si va ad una conta disperata, e proprio quando il Pdl sembra incrociare sulla sua rotta l’iceberg delle larghe intese, Angelino Lancillotto si toglie l’armatura di fido scudiero e costringe il capo a seguirlo nel voto di fiducia. La parabola di Re Artù si conclude così con l’amara sconfitta del padre, che per salvare se stesso ed il suo figlioccio, si lascia infilzare a capo chino, tra mugugni e sorrisi amari. Sipario.  

 

2 pensieri su “Il parricidio di Alfano

  1. che epitaffio! ti sono vicino in questo momento di lutto politico che stai vivendo. anche se 25 luglio e 8 settembre mostrano ancora una volta che il tuo liberal liberaleggiare è offuscato da cattivi esempi (nel senco che meno male che ci furono quelle date che in qualche maniera ci hanno vietato l’autodistruzione nel sengno di una falsa e razzista superiorità morale e storiografica). però un lutto è sempre un lutto. perciò, davvero, ti dono il mio cordoglio.
    vedrai che quando a mente scombera e libera oltre a sentirti più leggero troverai maggiori e radicate ragioni per liberaleggiare con maggiore libertà senza seguire persone che della propria statura e ricchezza hanno fatto un problema fino a diventarne una caricatura.

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