Una nuova formula: meno scolarizzazione più gravidanze

Maddalena Robustelli       

C’è da rimanere più che sconcertati a leggere un articolo di Camillo Langone, pubblicato giorni fa sul quotidiano Libero. Presentando i risultati di un’indagine condotta dalla Harvad Kennedy School of Governement il giornalista ne esemplificava le conclusioni attraverso la formula “togliete i libri alle donne e torneranno a fare figli”. Creare, quindi, una connessione tra il processo di scolarizzazione ed acculturamento femminile ed il fenomeno della bassa natalità significa leggere la realtà con occhiali caratterizzati da un forte, anzi fortissimo, grado di miopia. Sembra quasi di tornare indietro di sessant’anni, allorquando si affermava che si facessero meno figli perché c’era la televisione. Passato quel periodo ora si dirottano le responsabilità sui libri, sulla voglia di studiare delle donne e conseguentemente sul loro desiderio di realizzarsi  professionalmente. Certo oggi il diritto delle donne al lavoro è fortemente messo in discussione, sia da un contesto economico che le spinge ad essere le prime vittime del fenomeno dei licenziamenti dettati dalla particolare contingenza, sia da un contesto politico che fa ricadere su di loro il peso di un welfare pubblico carente, se non quasi nullo, sia da un contesto sociale che tende ad espellere dal mondo del lavoro le donne dopo la nascita di un figlio. Ci mancava pure l’ambito culturale ad eliminare del tutto le  prerogative delle donne al lavoro,accusate come sono di non fare figli perché impegnate negli studi o nella carriera professionale. Le critiche piovute sull’autore dell’articolo, diffusesi rapidamente in  rete, hanno determinato Langone a giustificarsi con la scusante di aver voluto mettere in campo una forte provocazione. Esimio giornalista (?), non adduca questo becero espediente, perché altrimenti dovrebbe spiegarne le finalità. Se quelle di avere un momento di gloria, seppure negativa, oppure di incrementare la lettura di Libero, il gioco varrebbe la candela; se, invece, ha intenzione di aprire un dibattito sul tema in questione, non le riconosco il ruolo di interlocutore. Difatti non si comprende a che titolo dovrebbe dissertare e comunque, seppur voglia apparire come un provocatore, dovrebbe assumersi fino in fondo la responsabilità di quanto va ad affermare e non rifugiarsi dietro la frase di comodo “di aver solo riportato i risultati di un’analisi”, perché le considerazioni finali dell’articolo sono sue.” Il vero fattore fertilizzante è la bassa scolarizzazione e se vogliamo riaprire qualche reparto di maternità bisognerà risolversi a chiudere qualche facoltà” l’ha scritto lei, quindi, se ne prenda a tutto tondo le conseguenze. Come quelle ironiche, comparse su Twitter, ad opera di chi dice che i libri saranno usati come anticoncezionali, oppure quelle più onerose di un’insegnante che chiede all’Ordine dei giornalisti di varare una norma che preveda l’espulsione per chi si macchi di apologia di violenza di genere, ritenendo che il suo articolo “alimenti una cultura sessista, predichi la medievalizzazione della società e riconduca le donne nel recinto della subordinazione e dell’inconsapevolezza dolorosa”. Forse richiedere tale regola professionale è anche questa una provocazione perché a tutti deve essere garantita la libertà di pensiero, solo che sarebbe giusto che questo pensiero abbia come aggettivo qualificativo sia il vocabolo “femminile” che “maschile”.